CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 luglio 2022, n. 23518
Tributi – IRPEF – Socio lavoratore di cooperativa – Indennità di trasferta percepita in regime di esenzione – Disconoscimento esenzione. – Contenzioso tributario – Ricorso in cassazione – Rinuncia – Estinzione del giudizio con compensazione delle spese
Rilevato che
1. L’Agenzia delle Entrate notificò a B.V. un avviso di accertamento per maggiore Irpef (oltre addizionali e sanzioni) relativa all’anno d’imposta 2008.
L’atto impositivo traeva origine dalla verifica effettuata nei confronti della società cooperativa C., la quale, in veste di sostituto di imposta, aveva omesso di assoggettare a tassazione i compensi erogati ai soci lavoratori, tra i quali il V., per le prestazioni di lavoro straordinario, facendo figurare il relativo emolumento come indennità denominata “trasferta Italia”, esente da tassazione ex art. 51, quinto comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986 (t.u.i.r.) in quanto rimborso forfetario.
2. Il contribuente impugnò l’avviso innanzi alla C.T.P. di Potenza, che respinse il ricorso.
La sentenza, appellata dal contribuente, fu confermata dalla C.T.R. della Basilicata.
I giudici d’appello ritennero anzitutto che i motivi inerenti ai profili di legittimità intrinseca dell’atto fossero stati articolati in guisa di mere riproposizioni delle corrispondenti deduzioni formulate in primo grado, respingendoli con mero richiamo alla sentenza della C.T.P.
Nel merito, poi, dopo aver rilevato che l’art. 51, quinto comma, T.U.I.R., interpretato alla luce dell’art. 12 delle preleggi, riconduce il concetto di “indennità esente”, a fini fiscali, a quello delle «spese di viaggio, di trasporto, di alloggio e di vitto», vincolandole ad un obbligo di documentazione, ritennero infondato l’argomento del V., secondo cui gli emolumenti in questione andavano ricondotti al rimborso di spese per trasferta, proprio in quanto non adeguatamente documentato; mentre, per converso, la contabilità aziendale esponeva idonea documentazione in relazione alle occasioni nelle quali i soci erano stati effettivamente sottoposti a trasferta.
A tal fine, in particolare, ritennero che non fossero sufficienti le lettere di incarico e gli ordini di servizio allegati dal V., perché non contenevano indicazioni specifiche relative alle presunte trasferte ma solo la generica e astratta possibilità per i lavoratori, tutti impiegati in attività di facchinaggio presso strutture della grande distribuzione, di prestare lavoro al di fuori della sede di servizio. Inoltre, dalle indagini svolte dalla Polizia tributaria era emersa, in seno al piano-presenze aziendale, una chiara corrispondenza fra l’importo corrisposto alle unità di personale a titolo di indennità “trasferta Italia” e quello che le stesse avevano maturato per le ore di straordinario.
Da ultimo, osservarono che il motivo di appello proposto dal contribuente in punto alle sanzioni era inammissibile, poiché la relativa deduzione in primo grado era stata formulata tardivamente.
3. Avverso detta sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. L’amministrazione resiste con controricorso.
Considerato che
1. Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 10 della l. 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Il ricorrente rileva di aver eccepito, innanzi al giudice di primo grado, la nullità dell’avviso di accertamento, sul rilievo del fatto che lo stesso non recava allegato il p.v.c. redatto dalla Polizia tributaria nei confronti del sostituto d’imposta C., limitandosi a riportare alcune righe delle relative risultanze.
Ne deduce una lesione del proprio diritto di difesa, oltreché dei principi di buona fede e collaborazione enunciati dalla l. n. 212 del 2000, riportando, a sostegno di tale tesi, l’indirizzo della giurisprudenza tributaria di merito.
Assume, inoltre, che la sentenza impugnata, decidendo la questione con mero richiamo alla decisione di primo grado, in realtà sostanzialmente apodittica, sarebbe affetta da vizio di omessa pronuncia.
2. Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, il ricorrente svolge analoghe considerazioni in punto al «vizio di delega e di sottoscrizione dell’avviso».
Osserva, al riguardo, che il potere di accertamento spettante all’amministrazione va esercitato unicamente dal Direttore dell’Agenzia delle entrate, ovvero da soggetto che questi abbia specificamente delegato, deducendone la nullità dell’atto impositivo che non sia sottoscritto dal «capo dell’ufficio con carriera direttiva» o da altro «impiegato della carriera direttiva da lui delegato» (nel senso precisato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015), e sempreché la delega sia allegata all’avviso e contenga altresì precise disposizioni per l’esercizio del potere sostitutivo.
Nessuna di tali condizioni, secondo il ricorrente, sussisterebbe nella specie, risultando: (a) indimostrato il fatto che il direttore dell’Ufficio di Potenza che ha emesso l’avviso fosse titolare di incarico dirigenziale; (b) mancante una valida delega al sottoscrittore, investito del relativo potere a mezzo di un semplice ordine di servizio; (c) in ogni caso, sottoscritto l’atto da un impiegato sprovvisto di qualifica dirigenziale.
3. Il terzo motivo si articola in cinque distinti profili.
In via generale, infatti, il ricorrente denunzia «violazione e/o errata applicazione degli articoli 1, 6 e 51 d.P.R. 917/1986 ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi del giudizio»
Dopo aver riportato copiosa giurisprudenza di merito della quale assume la conformità al senso della propria doglianza, il ricorrente sostiene:
(a) che le motivazioni addotte dalla C.T.R. a sostegno della ritenuta fondatezza dell’avviso si fondano su una nozione fiscale di trasferta che in realtà non è conforme a quella elaborata dagli interpreti in relazione all’art. 51 t.u.i.r., omettendo di pronunciarsi sulle finalità sostanziali dell’erogazione, che nel caso di specie varrebbe a compensare i lavoratori «da tutti i disagi derivanti dalla variabilità di luogo e di tempo imposta»;
(b) che la C.T.R. avrebbe altresì omesso di pronunziarsi, nonostante egli avesse svolto precise considerazioni in tal senso, sulle diverse funzioni (indennitaria, restitutoria, risarcitoria) attribuibili all’indennità di trasferta, che, nella specie, erano tutte rinvenibili nell’emolumento oggetto di indagine;
(c) che, ancora, il vizio di omessa pronunzia riguardava la natura «anche risarcitoria e complementare» dell’indennità in questione;
(d) che, sotto il profilo probatorio, la sentenza impugnata non aveva preso in considerazione il fatto che l’erogazione della voce indennitaria esente, ove – come nella specie – corrisposta in via forfetaria, è sufficientemente dimostrata dal fatto che il lavoratore venga temporaneamente e provvisoriamente spostato in un luogo diverso da quello in cui abitualmente si svolge l’attività lavorativa, non occorrendo – come invece ritenuto dai giudici d’appello – la dimostrazione delle voci analitiche che danno luogo al rimborso, non prefigurandosi in punto alla corresponsione dell’indennità alcun sistema di prove legali della trasferta;
(e) che la sentenza avrebbe inoltre dovuto tener conto del fatto che l’art. 11 del CCNL Logistica, Trasporto e Spedizione Merci, vigente all’epoca in fase sperimentale, consentiva l’erogazione di tale indennità in ogni caso di «”missione” straordinaria per conto del datore di lavoro al di fuori della sede “normale”»;
4. Con il quarto motivo, denunziando «erronea e falsa applicazione dell’art. 51, sesto comma, d.P.R. 917/86» e «omessa e/o insufficiente motivazione sul punto», il ricorrente lamenta che la C.T.R. ha omesso di pronunziarsi sulla sua domanda relativa alla possibile «configurazione della sussistenza della figura dei “trasfertisti”», ai quali spetterebbe il riconoscimento dell’indennità in parola.
5. Il quinto motivo denunzia «errata e carente pronuncia e motivazione sull’applicabilità dell’art. 3 d.lgs. n. 314/1997 relativo alla “diaria di missione” parzialmente esente».
Il ricorrente, ancora richiamando l’esistenza di precedenti in seno alla giurisprudenza di merito, ed evocando il fatto che in fattispecie analoga (relativa ad altra vertenza che coinvolgeva la stessa cooperativa sostituto d’imposta) l’intervenuta Direzione provinciale del lavoro avesse riconosciuto la legittimità di un tetto di esenzione giornaliero, censura il diverso avviso dei giudici d’appello.
6. Infine, con il sesto mezzo il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto tardiva la domanda di annullamento delle sanzioni, che assume di aver proposto con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, anziché con la memoria integrativa come ritenuto dalla C.T.R.
7. Con atto depositato in Cancelleria il 15 giugno 2022, e notificato a mezzo PEC all’Agenzia delle entrate, il contribuente ha dichiarato di rinunciare al ricorso ed ha chiesto che il giudizio venga dichiarato estinto con integrale compensazione delle spese tra le parti.
Sussistono, pertanto, i presupposti per l’estinzione del giudizio ai sensi degli artt. 390 e 391 cod. proc. civ.; la peculiarità della fattispecie concreta giustifica la compensazione, tra le parti, delle spese della presente fase.
P.Q.M.
Dichiara l’estinzione del giudizio e compensa fra le parti le spese della fase di legittimità.
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