CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 marzo 2019, n. 8726
Rapporto di lavoro – Qualifica di capotreno – Furto di 81 biglietti – Pretesa, del datore di lavoro, di recuperare con trattenute mensili sulle retribuzioni la somma addebitata al dipendente
Rilevato
che con sentenza del 23 marzo – 27 aprile 2017 numero 386 la Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Parma, che aveva accolto la domanda proposta da P.Z., dipendente di T. S.p.A. con qualifica di capotreno, per l’accertamento della illegittimità della pretesa della società datrice di lavoro di recuperare con trattenute mensili sulle retribuzioni la somma di € 1.620, addebitata al dipendente in conseguenza del furto di 81 biglietti;
che la Corte territoriale premetteva che secondo l’assunto di T. vi era negligenza del dipendente nella custodia del borsello di servizio a bordo del treno, fattispecie per la quale operava la clausola penale prevista dal regolamento aziendale.
Osservava, tuttavia, che la disposizione aziendale non risultava sottoscritta per accettazione dal dipendente, in quanto la firma in calce ad essa ben poteva essere stata apposta per presa visione, come già argomentato dal giudice del primo grado.
In ogni caso, un eventuale accordo negoziale sarebbe stato nullo ai sensi dell’articolo 2077 codice civile, in quanto il contratto individuale non poteva derogare in peius alle previsioni del contratto collettivo, introducendo clausole penali.
Nel resto, le valutazioni del primo giudice, secondo cui non era stato provato alcun danno effettivo, non erano state specificamente censurate sicché sul punto si era formato il giudicato interno; che avverso la sentenza ha proposto ricorso T. S.p.A., articolato in tre motivi, cui ha opposto difese P.Z. con controricorso;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’articolo 380 bis cod.proc.civ.
Considerato
che T. S.p.A. ha dedotto:
– con il primo motivo – ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2104 codice civile – censurando la sentenza per avere mandato assolto il dipendente da ogni responsabilità. Ha esposto che, come dedotto in appello, la condotta negligente del dipendente consisteva nell’avere lasciato il borsello di servizio contenente i biglietti all’interno del vestibolo della cabina semipilota, luogo non presidiato, invece di portarlo con sé o comunque lasciarlo all’interno della cabina di guida, sotto il controllo del macchinista. In ogni caso, il dipendente era incorso nella diretta violazione delle direttive aziendali contenute nel foglio «disposizioni di produzione» (nr. 5/2012 della divisione trasporto regionale Emilia- Romagna) a tenore delle quali il capotreno eventualmente poteva lasciare il borsello di servizio in testa al treno nella cabina di guida presidiata dal macchinista.
Ha dedotto che la Corte territoriale aveva omesso di esaminare il comportamento del dipendente sotto il profilo del generale obbligo di diligenza; aveva inoltre ritenuto decisivo il fatto che la disposizione di servizio non fosse sottoscritta per accettazione laddove il prestatore di lavoro è tenuto ad uniformarsi alle direttive ed istruzioni del datore di lavoro;
– con il secondo motivo – ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 cod.civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la formazione del giudicato interno sulla statuizione del primo giudice di assenza di prova del danno, laddove nell’atto di appello essa aveva fatto richiamo alla circolare aziendale (numero 1 del 13 ottobre 2009, documento 4 del fascicolo di primo grado) che prevedeva in caso di smarrimento dei biglietti in consegna al personale di scorta l’addebito al responsabile dell’importo di € 20 per ogni biglietto sottratto o smarrito, deducendone la natura di clausola penale, che sollevava il creditore dall’onere di fornire la prova della esistenza e dell’ ammontare del danno;
– con il terzo motivo – ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile – violazione e falsa applicazione dei canoni ermeneutici di cui agli articoli 1362 e seguenti cod.civ., in relazione alla circolare divisionale nr.1 del 13 ottobre 2009, censurando la sentenza per avere affermato che la circolare non era stata sottoscritta dal dipendente per accettazione bensì per presa visione.
Ha assunto il contrasto della statuizione con le disposizioni:
– dell’articolo 1362 cod.civ., in quanto la comune intenzione delle parti era quella di uniformare la condotta del personale di scorta dei treni e ciò implicava l’obbligatorietà delle disposizioni impartite;
– dell’articolo 1367 cod. civ., secondo cui nel dubbio le clausole si interpretavano nel senso in cui potessero avere qualche effetto mentre se la sottoscrizione del dipendente fosse stata apposta per presa visione le disposizioni contenute nella circolare avrebbero perso ogni efficacia.
Ha inoltre dedotto che la pattuizione individuale non era derogativa in peius del contratto collettivo, poiché la liquidazione anticipata del danno conseguente al furto di biglietti, considerata la modesta entità della penale, aveva la funzione di limitare la pretesa risarcitoria; che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;
che invero:
– il primo motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza giacchè la Corte territoriale non ha affatto inteso affermare la non obbligatorietà delle disposizioni impartite dal datore di lavoro né escludere la responsabilità dello Z. per la negligente custodia dei titoli di viaggio;
il rigetto della domanda è avvenuto, piuttosto, ‘per difetto di prova del danno derivato dall’inadempimento e per la ritenuta inapplicabilità della clausola penale prevista dal regolamento aziendale. Sotto tale profilo la statuizione della Corte territoriale è immune da censure giacchè la previsione di clausole penali accessorie al contratto di lavoro non si sottrae alla regola comune della necessità del consenso e non rientra tra i poteri unilaterali di conformazione della prestazione di lavoro rimessi alla parte datoriale;
– quanto al secondo motivo, il giudice dell’appello ha inteso evidenziare che l’impugnazione non poneva in discussione la ritenuta mancanza di prova del danno, .ma faceva leva unicamente sulla applicazione della clausola penale sicché non le .veniva rimessa alcuna indagine di fatto sulle conseguenze dell’inadempimento. La statuizione, così intesa, appare immune da censure mentre la affermazione della esistenza di un giudicato interno (sulla assenza di danno) non appare di rilievo decisivo;
– da ultimo, deve rilevarsi la inammissibilità del terzo motivo. Esso sotto l’apparente denunzia di errori di diritto – che non è conferente alla fattispecie di causa giacchè dà per presupposta la formazione del consenso delle parti, che era invece da dimostrare – tende ad una rivisitazione del giudizio di merito, conformemente espresso nei due gradi, circa la assenza di prova della accettazione da parte del dipendente della clausola penale. La applicabilità dell’articolo 348 ter commi 4 e 5 cod.proc.civ. peraltro, preclude la deduzione in questa sede dal vizio di motivazione;
che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere definito con ordinanza in camera di consiglio ex articolo 375 cod. proc.civ.
che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art. 1 co. 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata .
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 1.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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