CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 aprile 2020, n. 8319
Cartella esattoriale non impugnata – Contributi previdenziali – Azionato dall’Agente della Riscossione un credito diverso da quello originario – Termine di prescrizione ordinario decennale – Non sussiste – Affidamento in riscossione comporta la preposizione del concessionario quale rappresentante del creditore – Novazione soggettiva dell’originaria obbligazione – Esclusione
Rilevato che
Con sentenza pubblicata in data 19/5/2017, la Corte di Appello di Trento ha accolto l’appello proposto da F.C. contro la sentenza resa dal Tribunale di Trento e, per l’effetto, ha annullato due cartelle di pagamento aventi ad oggetto contributi previdenziali relativi agli anni 1993, 1994-1999 non versati all’Inps;
ad avviso della Corte territoriale e per quanto ancora di rilievo in questa sede, i crediti previdenziali erano prescritti essendo decorsi cinque anni tra la notifica delle cartelle di pagamento (avvenuta tra il 2001 e il 2002 ) e la notifica delle intimazioni di pagamento (avvenuta nel 2010);
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate – Riscossione affidandolo ad un unico motivo, al quale ha resistito il Cristofoletti con controricorso;
l’Inps, anche quale mandataria della S.C.C.I. s.p.a., ha depositato procura in calce alla copia del ricorso notificato;
è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio; il controricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
con l’unico articolato motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la Corte territoriale applicato il termine di prescrizione ordinario decennale trattandosi di crediti iscritti a ruolo ed oggetto di cartelle di pagamento non impugnate; si evidenzia che l’applicabilità del predetto termine ordinario ai crediti di cui alle cartelle di pagamento non opposte deriverebbe non dall’art. 2953 cod. civ. ma dal fatto che l’Agente di Riscossione avrebbe azionato un credito diverso da quello originario, essendosi questo novato dal punto di vista soggettivo a seguito della formazione del ruolo e della conseguente cartella di pagamento e essendo divenuto “irretrattabile” a seguito della mancata opposizione nei termini della cartella di pagamento, diritto che si prescriverebbe nell’ordinario termine decennale di cui art. 2946 cod. civ.; tale conclusione discenderebbe dall’art. 20 del d.lgs. n. 112/1999, col quale si attribuisce all’ente creditore, successivamente al discarico dell’agente della riscossione per l’accertata inesigibilità del credito iscritto a ruolo, la possibilità di riaffidare le somme in riscossione, comunicando all’agente i nuovi beni da sottoporre a esecuzione, ovvero le azioni cautelari o esecutive da intraprendere, il tutto alla «condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale»; il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, cod.proc.civ. avendo la Corte territoriale deciso la questione in modo conforme al principio di diritto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 23397 del 17 novembre 2016 secondo cui «LM scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione ” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l’art. 3, commi 9 e 10, della L. n. 333 del 1993) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c. c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30 del d. I. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla l. n. 122 del 2010).»;
Le argomentazioni contenute nel ricorso non valgono a scalfire le ragioni di cui alla motivazione della citata sentenza n. 23397/2016 (qui da intendersi richiamata anche ai sensi dell’art. 118, primo comma, cod. proc. civ.) e che ha trovato conferma in innumerevoli successive pronunce (Cass. 27/9/2018, n. 23418 del; da ultimo, Cass. 17/172019, n.1088; Cass. 8/3/2019, n. 6888);
l’affidamento in riscossione, ai sensi di legge e secondo le modalità previste per le imposte dirette (art. 18, comma 5, seconda parte L. 576/1980, in relazione al d.p.r. 602/1973) comporta, per un verso, la preposizione del concessionario quale adiectus solutionis causa (art. 1188 c.c.) e, per altro verso, assume i contenuti propri del mandato, con rappresentanza ex lege, a compiere quanto necessario perché il pagamento possa avvenire, in forma spontanea, oppure anche a dare corso alle azioni esecutive secondo la disciplina propria dell’esecuzione forzata speciale (Cass. n. 27218/2018, in motivazione) e non certo una novazione soggettiva dell’originaria obbligazione come pure sostenuto nel motivo;
a questa tesi neppure giova il richiamo all’art. 20 comma 6 del d.lgs n. 112 del 1999, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (in tal seno da ultimo, Cass. 8/3/2019, n. 6888); il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
non sussistono i presupposti per la condanna ex art. 96 c. 1 e 3 cod.proc.civ., non ravvisandosi la malafede o colpa grave della Agenzia delle entrate;
le spese seguono la soccombenza nei confronti del controricorrente e si liquidano come da dispositivo in relazione al valore della controversia;
nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi nei confronti dell’Inps, non avendo l’istituto svolto sostanziale attività difensiva; sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. N. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in € 2000 per compensi professionali a € 200 per esborsi, oltre al 15% per rimborso forfettario delle spese generali e agli altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contribuito unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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