CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 dicembre 2019, n. 34711
Tributi – IVA – Commercio di veicoli usati importati da stati esteri – Applicazione regime del margine – Veicoli acquistati da società commerciali – Onere di verifica che l’IVA sia stata assolta a monte senza possibilità di detrazione
Rilevato che
E.M. Srl impugnò, innanzi alla CTP di Campobasso, l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione IVA, per il periodo d’imposta 1998, euro 325.493,86 in conseguenza dell’illegittima applicazione del c.d. «regime del margine» al commercio di veicoli usati, oggetto d’importazione, in quanto, da un’indagine condotta su scala internazionale e dalle segnalazioni degli organi di controllo dei paesi di provenienza, era risultato che, in detti stati esteri (Francia e Irlanda), le cessioni delle (medesime) autovetture non erano state trattate in regime di margine, ma erano state assoggettate al normale regime IVA delle operazioni intracomunitarie;
la CTP di Campobasso, con sentenza n. 90/2005, accolse il ricorso della società;
la CTR del Molise, richiamata la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1841/1999), ha rigettato l’appello dell’ufficio, così argomentando: «[…] appare improbabile che il cessionario nazionale possa vantare i poteri, o gli strumenti materiali, per accertarsi che il cedente estero abbia o meno detratto l’imposta nel Paese d’origine e che il bene abbia assunto una tassazione definitiva al momento dell’acquisto. Ciò detto, questo Consesso, condividendo i principi esternati dalla Suprema Corte, ritiene non attivabile il controllo pratico da parte del cessionario e, pertanto, sollevato da eventuali irregolarità che l’operatore straniero si sia reso responsabile di attuare […].» (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata);
l’Agenzia ricorre per la cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti di A.Z. B.N., soci della E.M. Srl, società estinta e cancellata dal registro delle imprese in data 30/01/2012; questi ultimi resistono con controricorso;
Considerato che
a. preliminarmente va riconosciuta la legitimatio ad causam dei controricorrenti, soci della E.M. Srl, società estinta e cancellata dal registro delle imprese in data 30/01/2012 (nelle more del deposito della sentenza d’appello);
è utile richiamare l’orientamento di questa Corte (Cass. 24/01/2018, n. 1713, non massimata), per il quale, come hanno statuito le sezioni unite, in seguito all’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – il che sacrificherebbe ingiustamente i diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono in capo ai soci, anche se questi ne risponderanno in concreto nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti «pendente societate» (Cass. sez, un. n. 6070/13);
ne discende che i soci, successori della società, subentrano, anche nella legittimazione processuale facente capo all’ente – la cui estinzione è equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell’art. 110, cod. proc. civ. – in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (Cass. 9418/01, 20874/04, 23765/08);
in proposito va anche ribadito che, come è stato sottolineato di recente da questa Corte, la legittimazione processuale dei soci si pone su un piano preliminare e distinto da quello concernente la concreta possibilità di soddisfacimento del credito e non ne viene affatto incisa (Cass. n. 9094/2017 e 15035/2017, non massimate);
la circostanza che i soci abbiano goduto o meno di un riparto in base al bilancio di liquidazione dell’attivo non configura una condizione da cui dipende la possibilità di iniziare o proseguire nei loro confronti l’azione avente ad oggetto il credito vantato verso la società, né può condurre ad escludere l’interesse ad agire del fisco creditore, e cioè del suo interesse a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, subentrati nella legittimazione passiva processuale alla società cancellata, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti (Cass. n. 9094/2017);
b. sempre in via preliminare, non ha fondamento l’eccezione di difetto d’autosufficienza del ricorso per cassazione, sollevata dai controricorrenti, i quali si dolgono dell’omessa esposizione, nel ricorso medesimo, dei fatti salienti della controversia;
diversamente da quanto sostengono gli eccipenti, infatti, l’atto d’impulso processuale dell’Agenzia reca un’enunciazione sufficientemente precisa e dettagliata della controversia, onde è soddisfatto il requisito descritto dall’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., in base al quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena d’inammissibilità – appunto – «l’esposizione sommaria dei fatti di causa»;
1. con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l’Agenzia si duole della motivazione apparente della sentenza impugnata, caratterizzata da meri enunciati, completamente avulsi dalle circostanze concrete;
sottolinea che, trattandosi del trasferimento di automobili, soggetto ad un particolare regime di pubblicità, la società cessionaria disponeva dei libretti di circolazione dei veicoli, dai quali risultava inequivocabilmente la loro provenienza da società estere di commercio, locazione e/o leasing di autoveicoli, che utilizzavano tali beni per la loro attività commerciale e, pertanto, avevano detratto l’IVA sul loro acquisto;
imputa alla CTR di non avere minimamente considerato che, in presenza di elementi obiettivi da cui era possibile desumere che i veicoli non erano assoggettabili al regime agevolato, gravava sul cessionario l’onere di verificare, con la particolare diligenza e accuratezza richieste a un operatore del settore, se sussistessero o meno le condizioni per applicare il regime di favore;
1.1. il motivo è infondato;
va richiamato l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 7/04/2014, nn. 8053 e 8054), per il quale: «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciarle in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione»;
onde, a seguito della riforma del 2012 – proseguono le sezioni unite – scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata;
le sezioni unite della Corte, inoltre, hanno statuito che: «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione)» (Cass. sez. un. 3/11/2016, n. 22232);
nella controversia tributaria in esame, con riferimento al tema del decidere (applicabilità del regime del margine IVA), la CTR ha dato conto, sia pure in modo estremamente conciso, del proprio ragionamento (il che vale ad escludere sia il dedotto error in procedendo che il vizio motivazionale) e, in particolare, ha negato che la cessionaria nazionale disponesse, in concreto, degli strumenti per verificare se le cedenti estere avessero o meno detratto l’IVA al momento dell’acquisto delle autovetture (conf.: Cass. 29/03/2019, n. 8868);
2. con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. da 36 a 40, del d.l. n. 41/1995 (convertito dalla legge n. 85/1995), e degli artt. 19, 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972, nonché l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia censura l’errore di diritto della sentenza impugnata che ha riconosciuto l’applicabilità del regime del margine, in assenza dei necessari presupposti giuridici, in quanto non si è trattato della rivendita di beni mobili usati (nella specie autovetture), acquistati presso privati o presso soggetti ad essi equiparati (come prescrive l’art. 36, cit.), avendo la società contribuente acquistato le autovetture da società commerciali che, a loro volta, le avevano acquistate da imprese di noleggio o leasing che avevano interamente detratto l’IVA, avendo qualificato le cessioni come ordinarie operazioni intracomunitarie (come attestato dagli organismi fiscali nazionali);
in tale contesto, sarebbe stato onere della contribuente (consapevole di avere acquistato le autovetture da società commerciali e non da privati), verificare scrupolosamente che le fornitrici avessero acquistato in regime di margine o che esse fruissero di un regime di franchigia nel proprio paese, sulla base di elementi specifici, non suffragagli in base alle generiche dichiarazioni di «assoggettamento al regime di margine di tutte le autovetture»;
2.1. il motivo è fondato;
è il caso di richiamare l’orientamento delle sezioni unite (Cass. sez. un. 12/09/2017, n. 21105) che, occupandosi del profilo controverso, hanno affermato che: «In tema di IVA, il regime del margine – previsto dall’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995, conv. con modif. in l. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi.
Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione.
Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole»;
nella fattispecie concreta, la CTR si è discostata dal principio di diritto in virtù del quale rientra nella condotta diligente del cessionario l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione (eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità) e, quando emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli (ed è quanto è avvenuto nella presente controversia, secondo la prospettazione erariale, che dovrà essere censita nel giudizio di rinvio), opera la presunzione dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta “a monte” per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole, consistente nell’applicazione del regime d’imposizione (ai fini IVA) del (solo) margine di utile realizzato in occasione della cessione;
3. alla stregua di tali considerazioni, accolto il secondo motivo del ricorso e rigettato il primo, la sentenza è cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR del Molise, in diversa composizione, alla quale è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, rinvia alla Commissione tributaria del Molise, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.