Corte di Cassazione ordinanza n. 4647 depositata il 14 febbraio 2023

Il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti – La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito

Rilevato che:

1. L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale dell’a Campania ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva accolto il ricorso della P. s.p.a. contro l’avviso d’accertamento, relativo all’anno d’imposta 2008, che, all’esito di processo verbale di constatazione, ritenne soggettivamente inesistenti alcune operazioni con le quali la medesima contribuente, grossista di elettrodomestici e di elettronica, acquistò merci dalla S. s.r.l. e dalla E. s.r.l., società meramente cartiere secondo l’Amministrazione. L’atto impositivo, pertanto, non riconobbe alla contribuente la deducibilità dei relativi costi ai fini Ires ed Irap e negò la detraibilità dell’Iva fatturata dalla cedente, recuperando a tassazione il maggior imponibile.

La contribuente si è costituita con controricorso.

Considerato che:

1. Preliminarmente, è infondata l’eccezione, formulata dalla controricorrente, di inammissibilità del ricorso, che è autosufficiente e specifico (anche in ordine all’indicazione ed alla collocazione processuale del v.c., compreso anche tra gli atti indicati come allegati al ricorso) e che non attinge il merito dell’accertamento effettuato dalla CTR, ma i principi ed i criteri che presidiano quest’ultimo.

1.1 Sempre preliminarmente, deve darsi atto che, come dedotto dalla controricorrente, la rubrica del primo motivo, e comunque il corpo di ambedue i mezzi, attinge la pronuncia della CTR limitatamente al rilievo in materia di indetraibilità dell’Iva, e non anche quelli relativi all’indeducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette. Per questi ultimi, invero, vigono principi diversi da quelli applicabili in tema di imposizione indiretta ed armonizzata, avendo questa Corte già ritenuto che « In tema di imposte sui redditi, l’art. 14, comma 4 bis, n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, d.l. n. 16 del 2012, conv. in l. n. 44 del 2012, che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, consente all’acquirente, anche quando consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, di dedurre i costi di beni e servizi non utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, ma per essere commercializzati, a meno che non contrastino coi principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, si applica, ai sensi dell’art. 8, comma 3, d.l. cit. anche ad atti, fatti o attività posti in essere prima della sua entrata in vigore.» (Cass. 21/02/2020, n. 4645; conformi, in ordine alla deducibilità dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti, da ultimo anche Cass. 15/03/2022, n. 8480; Cass. 05/04/2022, n. 11020).

Nel caso di specie, il ricorso erariale, che ribadisce la premessa che l’accertamento ha contestato l’inesistenza soggettiva delle operazioni, non deduce né che sia stato allegato (nella fase procedimentale e poi nei gradi di merito) che si tratti di costi di beni utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato; né contesta specificamente che gli stessi costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. E comunque, il ricorso si concentra esclusivamente su norme e principi (in particolare riguardo la consapevolezza del carattere fraudolento delle operazioni) applicabili in materia di imposizione indiretta, sicché il petitum ancora sub iudice concerne soltanto l’Iva.

2. Con il primo motivo l’Agenzia lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 19 e 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e degli artt. 2697, 2700, 2727 e 2730 cod. civ., per avere la CTR affermato che:

le operazioni non erano inesistenti, in quanto le merci erano state effettivamente fornite;

non era stata fornita «prova documentale» che la contribuente fosse consapevole delle operazioni;

non era dimostrato che gli acquisti fossero avvenuti a prezzi inferiori a quelli di mercato in ragione dell’evasione dell’Iva, potendo incidere sulla determinazione dei relativi corrispettivi «sconti e premi di regola praticati su cessioni consistenti di merci»;

la contribuente aveva versato l’Iva e non risponderebbe dell’evasione del tributo da parte della cedente;

il Tribunale (il G.I.P. presso il Tribunale di Napoli) ha archiviato il procedimento penale a carico dell’amministratore della contribuente.

3. Con il secondo motivo l’Agenzia lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la CTR affermato che i corrispettivi delle merci acquistate dalla contribuente – inferiori in realtà non al prezzo di mercato, ma allo stesso costo al quale la cedente li aveva a sua volta comprati- potessero essere giustificati da «sconti e premi» che la stessa contribuente non aveva allegato. Aggiunge inoltre la ricorrente che sarebbe solo apparente la motivazione resa dalla CTR relativamente alla pretesa sufficienza del versamento dell’Iva da parte della cessionaria; nonché che l’archiviazione del procedimento penale a carico del legale rappresentante della contribuente non sarebbe ragione determinante ai fini dell’indetraibilità dell’Iva evasa dalla cedente interpostasi nell’operazione soggettivamente inesistente.

4. Il primo ed il secondo motivo, per la loro connessione, vanno trattati congiuntamente e sono fondati, nei termini che si diranno.

Occorre muovere dal principio consolidato secondo cui « In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.» (Cass. 09/08/2022, n. 24471; conforme, ex plurimis, Cass. 20/07/2020, n. 15369. Sulla necessità che il soggetto passivo che effettua operazioni soggettivamente inesistenti sappia, o possa sapere, che un’altra operazione, precedente o successiva a quella da lui realizzata, sia inficiata da frode all’imposta sul valore aggiunto, cfr. Corte di Giustizia, 12.01.2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03 – Optigen; oltre agli ulteriori arresti infra citati).

Nello stesso senso, si è detto che «In tema di detrazione dell’IVA correlata ad operazioni inesistenti, la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte giustizia 22 ottobre 2015, C-277/14), può essere fornita dall’Amministrazione anche mediante presunzioni – come espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R.

26 ottobre 1972, n. 633 – valorizzando, nel quadro indiziario, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione.» (Cass. 27/02/2020, n. 5339; conformi Cass. 28/02/2019, n. 5873; Cass. 30/10/2018, n. 27566; Cass. 20/04/2018, n. 9851).

Nell’ambito del medesimo orientamento, si è altresì argomentato che « Invero, per questa Corte, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione I’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere (in tal senso anche Corte di Giustizia UE 22 ottobre 2015, causa C-277/14 PPUK; anche 15 luglio 2015, causa C-159/14 Koela -N; 15 luglio 2015, causa C-123/14 Itales; 13 febbraio 2014 in causa C-18/13 Maks Pen Eood; 21 giugno 2012, in causa C-80/11 e C-142/11, Mahageben et David), con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873). Pertanto, in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., 14 marzo 2018, n. 6291; Cass., 28 marzo 2018, n. 7613).» (Cass. 30/12/2019, n. 34723, cit. in motivazione).

Ed ancora, a proposito delle modalità dell’onere imposto all’Amministrazione, è stato chiarito che «Quanto al “tipo” di prova, essa può̀ ritenersi raggiunta se l’Amministrazione fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e di ogni dettaglio di esse.» (Cass. 24/08/2018, n. 21104).

In ordine, poi, alla prova contraria che deve essere offerta dal contribuente, è stato precisato che «Priva di rilievo è invece sia la prova sulla regolarità̀ formale delle scritture e sull’effettività̀ dei pagamenti, sia quella sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio perché́ i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato, trattandosi le prime di circostanze già̀ insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché́ riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità̀ alla frode (v. Cass. n. 20059 del 2014;Cass. n. 428 del 14/01/2015; Cass. n. 29002 del 05/12/2017; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).» (Cass. 24/08/2018, n. 21104).

La possibilità che l’ Amministrazione assolva all’onere della prova, in ordine alla circostanza che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, anche mediante elementi indiziari, è stata dunque già affermata costantemente da questa Corte, anche in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr. i precedenti sinora citati, tra i quali in particolare Cass. 27/02/2020, n. 5339, cit., in motivazione, al punto 14, con riferimento a Corte giustizia, 22 ottobre 2015, C-277/14; Cass. 30/12/ 2019, n. 34723, cit., in motivazione, punto 3.2.; Cass. 24/08/2018, n. 21104, cit., in motivazione, al punto 3.2.; in generale, in ordine alla circostanza che l’art. 273 della direttiva CE 2006/112/CEE non esclude che l’imponibile Iva possa essere accertato ricorrendo a presunzioni semplici, dovendo gli Stati membri assicurare l’integrale riscossione del tributo armonizzato e l’efficacia della lotta contro l’evasione, cfr. Cass. 04/04/2019, n. 9453 e Cass. 02/04/2020 n. 7655, con riferimento a Corte giustizia 05/10/2016, C.-576/15, Маya Маrinova ET; Corte giustizia, 20/03/2018, C.-524/15, Luca Menci; Corte giustizia 21/11/2018, C.-648/16, Fortunata Silvia Fontana).

Del resto, la stessa Corte giustizia, 22 ottobre 2015, C-277/14, nei punti 51 e 52, considera che la determinazione delle misure che, in una fattispecie concreta, possono essere ragionevolmente imposte ad un soggetto passivo che intenda esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA per assicurarsi che le sue operazioni non si iscrivano in un’evasione commessa da un operatore a monte dipende, essenzialmente, dalle circostanze di detta fattispecie, e quindi non esclude a priori che lo stesso soggetto passivo possa vedersi obbligato, quando disponga di indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione, ad assumere informazioni sull’operatore presso il quale intende acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità.

La stessa pronuncia pertanto (ferma restando l’imputazione all’Ufficio dell’onere di dimostrare «senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto») considera che, in relazione alla specifica fattispecie concreta, non sia irrilevante la presenza di indizi che avrebbero consentito al contribuente di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione. Pertanto solo « gli operatori che adottano tutte le misure che possano essere da essi ragionevolmente pretese al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode all’Iva ovvero di altre frodi, devono potere fare affidamento sulla liceità̀ di tali operazioni senza rischiare di perdere il diritto alla deduzione dell’Iva pagata a monte» (Corte di Giustizia sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen, cit., punto 52).

E’ stato poi, in particolare, rilevato che «In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione IVA, senza che sia necessaria la prova della partecipazione all’evasione (v. Corte Giust. Bonik, C-285/11; Corte Giust, Ppuh, C- 277/14);

Detta prova può̀ ritenersi raggiunta qualora l’Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei ad integrare una presunzione semplice, come prevede per l’IVA l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059 del 2014; Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. Kittel, C-439/04; Corte Giust. Mahagèben e David, C-80/11 e C-142/11);» (Cass. 20/07/2020, n. 15369l, in motivazione, pag. 8 s.).

Ed è stato quindi concluso che «In tema di IVA, la volontaria utilizzazione di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica, configurando nei confronti del contribuente a partecipazione ad una frode fiscale, gli impedisce di avvalersi del principio della tutela del terzo di buona fede, così come delineato dalla giurisprudenza unionale (cfr. CGCE 6 luglio 2009, in cause riunite C-439/04 e C-440/04) e preclude, quindi, la detraibilità dell’imposta risultante dalle fatture.» (Cass. 19/08/2020, n. 17335l; sull’indetraibilità, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, cfr. altresì Cass., 17/07/2020,n. 15288).

5. Tanto premesso, nel caso di specie, come denunziato dalla ricorrente, la CTR ha errato nell’escludere che le operazioni in contestazione potessero essere soggettivamente inesistenti ( ovvero che il contribuente avesse portato in detrazione I’Iva pagata su fatture emesse da un soggetto diverso dall’effettivo cedente dei beni ) per la sola circostanza che «le merci risultano essere state effettivamente fornite», non essendo sufficiente, al fine di negare l’inesistenza soggettiva, dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, Iva compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente ( Cass. 24/09/2014, n. 20059).

5.1 Inoltre, come censurato dalla ricorrente, la CTR ha errato altresì nell’affermare che non vi sarebbe stata «complicità consapevole della stessa società nella frode organizzata dai fornitori esteri e dalle società cartiere» perché «non è stata fornita prova documentale che la società P. fosse coinvolta o quanto meno consapevole di dette operazioni poste in essere dalle società cartiere». Invero, con tale formula il giudice a quo esprime inequivocabilmente la convinzione, errata, che, nella materia sub iudice, la prova della consapevolezza (da intendersi nel senso ante ampiamente illustrato) della contribuente, della quale è gravata l’Amministrazione, debba consistere necessariamente in una prova documentale, nonché diretta, nonostante, in base ai principi di diritto e giurisprudenziali già esposti, l’onere della prova possa essere soddisfatto dall’Amministrazione anche in via indiziaria. La censura sul punto della contribuente non attinge pertanto la valutazione, in fatto, degli elementi dedotti dall’Ufficio come indizianti ( richiamati nel ricorso con riferimento al p.v.c., allegato all’atto, con indicazione autosufficiente della sua produzione in giudizio nel merito), ma il criterio di diritto al quale la CTR si è attenuta nell’accertamento, fondato su un vincolo istruttorio (quello della sola prova documentale diretta) che non trova riscontro nella disciplina della materia controversa.

5.2 E’ pure fondata la censura della ricorrente in ordine alla motivazione inconferente, ovvero sostanzialmente apparente, con la quale la CTR ha escluso « che gli acquisti effettuati dalla P. s.p.a. siano avvenuti a prezzi inferiori a quelli di mercato in ragione dell’evasione IVA, in quanto sulla determinazione di tali prezzi ben possono incidere sconti e premi di regola praticati su cessioni consistenti di merci.». Al riguardo, va premesso che la vendita, da parte dell’assunta cartiera, alla contribuente di merce ad un prezzo inferiore a quello al quale la stessa cedente aveva a sua volta comprato, costituiva un’allegazione dell’Amministrazione sin dal v.c. (come riprodotto nel ricorso per cassazione), prodotto già in primo grado, per cui non può ipotizzarsi la mancanza di contestazione, in ordine al sottoscosto, sostenuta dalla controricorrente (tanto meno sotto il profilo della non contestazione «della veridicità della documentazione probatoria», poiché Il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti: Cass. 05/03/2020, n. 6172 ).

La motivazione espressa dalla CTR, invero ambigua, da un lato commisura il corrispettivo pagato dalla contribuente non al parametro del costo già sostenuto dalla cedente per acquistare la merce rivenduta, ma a quello «di mercato», non meglio individuato, neppure in ordine alla fonte da cui sia tratto il relativo dato. Dall’altro lato la CTR, rispetto allo steso parametro del prezzo «di mercato», non sembra negare in assoluto che la contribuente abbia sostenuto un costo inferiore, ma pare piuttosto giustificare tale differenza con « sconti e premi di regola praticati». Manca, tuttavia, qualsiasi riferimento specifico alla fattispecie concreta, non essendo indicato se l’applicazione di « sconti e premi» costituisca o meno un fatto allegato dalla contribuente e se sia stato oggetto di riscontro istruttorio; ovvero, se si tratti di una pretesa massima d’esperienza, applicata dal giudice di merito finanche a prescindere dalle allegazioni della parte interessata, e comunque senza esprimerne il fondamento e senza raccordarne il contenuto con il caso concreto.

Non è quindi ricostruibile l’iter logico e giuridico della motivazione in parte qua, peraltro totalmente scissa dal riferimento dinamico al materiale istruttorio prodotto nel giudizio di merito, invece indispensabile. Infatti , «La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost.» (Cass. 30/06/2020, n. 13248). Pertanto, «In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.» (Cass. 14/02/2020, n. 3819).

5.3 Fondata è inoltre la censura relativa all’argomentazione della CTR basata sull’archiviazione, in sede penale, del procedimento a carico del legale rappresentante della Invero questa Corte ha già precisato che «In caso di operazioni soggettivamente inesistenti incluse in una frode carosello, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione.» (Cass. 04/12/2020, n. 27814). Tale principio vale tanto più in caso di archiviazione in sede penale, in quanto « In tema di processo tributario, il provvedimento di archiviazione pronunciato in sede penale ex art. 408 c.p.p. non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice tributario, poiché, a differenza della sentenza pronunciata all’esito del dibattimento, detto decreto ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo ad alcuna preclusione, non rientrando nemmeno tra i provvedimenti dotati di autorità di cosa giudicata giusta il disposto dell’art. 654 c.p.p.» (Cass. 04/08/2020, n. 16649).

Nel caso di specie, la CTR non ha fatto buon governo di tali principi, limitandosi a recepire il provvedimento di archiviazione, senza alcuna valutazione delle relative circostanze.

6. Ciascuna delle censure accolte comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo.

P.Q.M. 

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.