CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2020, n. 2051
Tributi – IRPEF – Personale civile della NATO – Esenzione per i salari e gli emolumenti – Estensione del beneficio alla pensione – Esclusione
Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l.. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016 osserva;
Con sentenza n. 769/19/2018, depositata il 29.1.2018 la CTR della Campania accoglieva l’appello di L.C.M. su controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato l’imposta dovuta sulla pensione erogatale dalla Nato sul presupposto che i trattamenti pensionistici hanno natura di retribuzione differita in quanto la ragione dell’obbligazione del datore di lavoro risiede nel pregresso rapporto di lavoro ormai cessato.
Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, con un unico motivo.
La contribuente non ha spiegato difese.
Con l’unico motivo di ricorso, la difesa erariale deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 2083/1962 nonché dell’art. 1 del DPR 917/86 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.” Dopo avere sottolineato che la disposizione normativa richiamata introduce per una parte del personale civile della N.A.T.O. (il cd. International Staff di cui al paragrafo a) 1 del medesimo articolo) una speciale forma di esenzione dal pagamento delle “imposte erariali e locali sui redditi derivanti dagli stipendi ed emolumenti” ad essi corrisposti dai Quartieri Generali Interalleati, lamenta che i giudici di appello, definendo le pensioni percepite come forma di “retribuzione differita”, hanno ritenuto di poter estendere l’applicazione dell’esenzione anche al trattamento pensionistico del contribuente.
La censura è fondata.
Questa Corte ha di recente affermato (Cass. 705/2019) che l’art. 8, comma 1, lett. c) del citato d.P.R. n. 2083 del 1962, ai fini della esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi, presuppone per l’applicabilità del beneficio due condizioni tassative, ossia che si tratti di “redditi derivanti da stipendi ed emolumenti” e che essi siano corrisposti al personale civile “dai quartieri generali interalleati nella loro qualità di impiegati di detti quartieri generali”. La disposizione normativa fa, quindi, esclusivo riferimento agli stipendi ed agli “emolumenti” percepiti in costanza del rapporto lavorativo, senza menzionare le pensioni corrisposte dopo la cessazione del medesimo. Tale limitazione, come è stato evidenziato nella Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 16/12/2009, n. 285/E, trova la sua ratio nella funzione stessa della norma che ha lo scopo di prevedere un trattamento speciale in relazione alle finalità istituzionali perseguite dalle organizzazioni internazionali attraverso la loro struttura, della quale fa parte il personale in servizio, per cui tale regime agevolativo non trova applicazione per coloro che non vi prestano più la loro opera.
A supporto della diversa interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria soccorre il Regolamento pensionistico delle “Organizzazioni Coordinate”, tra le quali rientra la N.A.T.O., ed in particolare la disciplina dettata dall’art. 42 di detto Regolamento (“Pensioni soggette alla legislazione fiscale nazionale”), laddove si prevede, al comma 1, che “la pensione e l’adeguamento sono tassabili quali redditi ai sensi della legislazione fiscale in vigore in tale paese” (comma 1), ossia sono assoggettate ad imposizione nello Stato di appartenenza in cui risiede il beneficiario e secondo le disposizioni contenute nella legislazione fiscale dello Stato stesso.
Il regolamento sopra richiamato, per quello che attiene il trattamento tributario delle pensioni erogate ai dipendenti della N.A.T.O., non introduce una disciplina difforme rispetto a quanto già previsto dalle fonti internazionali N.A.T.O., le quali, con riguardo alle esenzioni fiscali, escludono dalla tassazione i soli salari e gli emolumenti, e dunque quelle attribuzioni che sono erogate in costanza del rapporto di lavoro, senza fare mai riferimento al trattamento pensionistico.
Ciò si evince, in particolare, dalla lettura dell’Accordo di Ottawa del 20 settembre 1951 (ratificato con legge n. 1126 del 10 novembre 1954), il cui art. 19 utilizza i termini “salaries and emoluments”, come pure dall’art. X della Convenzione di Londra del 1951 (ratificata con legge n. 1335/1955) e dall’art. 7 del Protocollo di Parigi del 28.8.1952 (ratificato con legge del 30/11/1955, n. 1338), nei quali è assente qualsiasi riferimento al termine “pensione”.
La disciplina dettata dalla legge del 1962 non può, ovviamente, discostarsi da quella sovranazionale emergente dal richiamato art. 42 del Regolamento pensionistico, in virtù del quale l’importo della pensione concorre alla formazione del reddito imponibile del percettore residente, considerato che l’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 2083/1962 si configura come norma speciale di stretta interpretazione, il cui tenore letterale depone per l’applicabilità del beneficio solamente a coloro che rivestono la qualità di “impiegati” e con riguardo esclusivamente agli “stipendi ed emolumenti” percepiti.
Tale conclusione è, d’altro canto, ulteriormente avvalorata dalla considerazione che lo schema pensionistico applicato alle cd. “organizzazioni coordinate” prevede anche il meccanismo del tax adjustment, ovvero del rimborso ai pensionati delle organizzazioni di circa il 50 per cento delle imposte sul reddito pagate sulla pensione, con ciò riconoscendo implicitamente la legittimità della tassazione delle pensioni stesse.
Lo stesso art. 42 del Regolamento parla, inoltre, del calcolo e “dell’importo delle imposte sul reddito per tutti i beneficiari di pensioni che sono contribuenti nel paese interessato” (comma 3) e di “detrazioni e sgravi fiscali” per carichi familiari (comma 4), elementi tutti che evidenziano la esistenza di un regime diverso tra il trattamento economico esente in corso di rapporto, espressamente previsto dal citato art. 8, e quello non esente dopo la cessazione del rapporto, spiegabile solo con l’intento di limitare al massimo ogni forma di soggezione o pressione, diretta o indiretta, degli Stati membri sul singolo dipendente N.A.T.O.
La interpretazione letterale dell’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 2083/1962, che impone di attribuire la esenzione unicamente agli emolumenti derivanti dai rapporti di lavoro in corso di svolgimento, trova, peraltro, conferma nei principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 16098 del 18/8/2004 (che ha deciso in ipotesi analoga in cui era prevista l’esenzione per i redditi da lavoro prestato all’estero), secondo cui « i redditi da pensione sono equiparati ai redditi da lavoro dipendente solo ai fini della loro inclusione nella base imponibile, ma non anche ai fini della loro esclusione, per cui l’esenzione disposta per gli uni (quali, appunto, i redditi da lavoro dipendente prestato all’estero) non si estende, in mancanza di una espressa disposizione di legge, ai redditi da pensione derivanti dal medesimo lavoro », e ciò in quanto « le norme fiscali che prevedono esclusioni o esenzioni sono regole di stretta interpretazione, che non trovano applicazione se non nelle ipotesi da esse espressamente contemplate ». L’equiparazione dei redditi da pensione a quelli da lavoro dipendente è, infatti, dettata dalla finalità di “omogeneizzare il relativo trattamento tributario” e non anche per estendere ai primi una disposizione speciale prevista solo per una categoria ben precisa di lavoro dipendente.
Va, d’altro, ricordato che le Sezioni Unite, sempre nell’ambito di controversie di lavoro, hanno precisato che gli emolumenti pensionistici, anche qualora siano erogati dallo stesso datore di lavoro ed abbiano natura di “retribuzione differita”, conservano la loro funzione previdenziale e non sono esattamente equiparabili ai redditi da lavoro dipendente, perché «sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa» (Cass. Sez. U., n. 974 del 1/2/1997) e sono conseguentemente sottratti al criterio inderogabile di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro che caratterizza gli emolumenti da lavoro.
La Commissione tributaria regionale, affermando che i trattamenti pensionistici percepiti dal contribuente, avendo natura di «retribuzione differita», sono assoggettati alla medesima esenzione prevista per gli stipendi erogati in vigenza del rapporto di lavoro, ha introdotto, in via interpretativa, una eccezione al principio generale che prevede l’assoggettabilità delle pensioni ad imposizione fiscale, non espressamente prevista da una specifica disposizione di legge, violando in tal modo la regola della stretta interpretazione delle norme eccezionali sancita dall’art. 14 sulla legge in generale.
In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.
Le spese dei gradi del giudizio di merito e le spese relative al presente giudizio di legittimità, in ragione della novità delle questioni trattate, solo di recente affrontate da questa Corte vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi del giudizio.
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