CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 maggio 2019, n. 14800
Licenziamento collettivo – Ristrutturazione aziendale – CIGS – Criterio di scelta dei lavoratori
Rilevato che
1. La Corte di appello di Napoli, in accoglimento del reclamo proposto da C. G. ed altri sei litisconsorti, dichiarava la nullità del licenziamento collettivo intimato dal Centro Tessile Annunziata s.p.a.; ordinava alla società reclamata la reintegra dei ricorrenti nel posto di lavoro e la condannava al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre contributi assistenziali e previdenziali, in applicazione della tutela di cui all’art. 18, quarto comma, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, richiamato dall’art. 5, terzo comma, della legge n. 223 del 1991, come sostituito dalla stessa legge n. 92 del 2012.
2. La società datrice di lavoro aveva subito una crisi aziendale a seguito di un incendio divampato nello stabilimento dell’unità produttiva di Nola in data 16.9.2014, a seguito del quale i lavoratori addetti alla medesima unità produttiva erano stati dapprima posti in cassa integrazione guadagni straordinaria e poi sottoposti alla procedura di licenziamento collettivo.
3. I reclamanti avevano lamentato la violazione dell’art. 5, primo comma legge n. 223 del 1991, non avendo la società incluso nella comparazione del personale destinatario della procedura anche quello appartenente all’unità produttiva sita a San Giuseppe Vesuviano. La società reclamata aveva opposto che le due unità produttive – quella di Nola, interessata dall’incendio, e quella di San Giuseppe Vesuviano – erano distinte e autonome e non vi era alcuna omogeneità di attività, né fungibilità di mansioni del personale ivi addetto.
4. Nell’accogliere il reclamo, la Corte di appello argomentava, in sintesi, come segue:
– secondo costante giurisprudenza di legittimità, in caso di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale; tuttavia, non può essere ritenuta legittima la scelta dei lavoratori solo perché impiegati nel reparto lavorai soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella degli addetti ad altre realtà organizzative;
– nel caso di specie, furono posti in CIGS tutti i dipendenti dell’unità produttiva di Nola per impossibilità di continuare l’attività presso lo stabilimento dello stesso sito; dopo l’utilizzo di alcuni depositi di emergenza, la società prese in affitto un deposito sito in Nola nelle immediate vicinanze di quello incendiato e l’attività di vendita di Nola fu ridimensionata nello spazio di circa 6.000 mq rispetto ai precedenti 16.000 mq; a fronte della situazione di crisi, non contingente, ma strutturale, fu dato avvio alla procedura per licenziamento collettivo; dall’informativa ex art. 4 legge n. 223 del 1991 poteva evincersi che la società non era in grado di reintegrare tutto il personale, rendendosi necessario ridimensionare l’attività aziendale in funzione del modificato assetto organizzativo e delle nuove richieste del mercato e dovendosi così provvedere al licenziamento di n. 8 unità lavorative; precisamente, la società aveva ritenuto di dover sopprimere il reparto addetto alla “predisposizione delle cartelle campionario” e di n. 4 unità, nonché di n. 2 unità degli addetti al reparto “movimentazioni merci e logistica” con attribuzione delle relative mansioni ad altro personale, nonché di n. 1 unità addetta al “centralino” con diversa distribuzione del carico ad altri dipendenti ed infine di n. 1 unità addetta alla “manutenzione degli impianti”, non risultando più necessaria tale figura, visto il ridimensionamento della struttura aziendale;
– nella medesima informativa erano stati indicati i profili e la collocazione del personale occupato con indicazione del personale eccedente, ma limitatamente al personale in forza presso la sede di Nola (n. 32 unità, di cui n. 11 impiegati e n. 21 operai, con esubero di n. 8 unità); l’esame congiunto tra le rappresentanze aziendali e le OO.SS. aveva avuto esito negativo; in data 30 settembre 2015 era stato trasmesso l’elenco dei lavoratori destinatari del provvedimento di mobilità, con eccezione del solo lavoratore Cardarelli, in quanto disabile e non licenziabile ai sensi dell’art. 10, comma 4, della legge n. 68/99;
– la società reclamata, che svolgeva la sua attività relativa all’acquisto e alla commercializzazione di tessuti nella stessa maniera nelle due unità produttive, aveva rappresentato soltanto una distinzione organizzativa delle stesse, senza nulla addurre circa le mansioni e i profili professionali degli addetti alle due strutture;
– nella sostanza, se da un lato non era contestato tra le parti che le due unità produttive fossero indipendenti e autonome e che non vi fosse scambio o sostituzione anche temporanea del personale tra le stesse; dall’altro, però, i reclamanti avevano evidenziato che le due unità avevano sempre operato svolgendo la medesima attività, avvalendosi di lavoratori con mansioni fungibili;
– inoltre, le due unità produttive avevano una collocazione territoriale molto prossima, tale da consentire la possibilità di operare trasferimenti, qualora fossero stati interessati dalla procedura i lavoratori dell’intera azienda e fosse stata proposta ai destinatari del provvedimento tale opportunità;
– occorreva tener conto che, dopo la messa in cassa integrazione guadagni dei dipendenti dell’unità produttiva di Nola, la società aveva provveduto a prendere in affitto un altro locale per tale unità organizzativa, di dimensioni inferiori e con inferiore produttività; non vi era stata soppressione, ma riduzione della produttività e, in ragione di ciò, la società avrebbe dovuto rivalutare l’intero assetto aziendale e comunque tener conto della fungibilità delle mansioni delle due unità produttive, provvedendo eventualmente a proporre trasferimenti;
– in conclusione, si era in presenza di un’ipotesi di violazione dei criteri di scelta, per la quale l’art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, come sostituito dall’art. 1, comma 46, legge n. 92 del 2012, prevede l’applicazione del comma 4 dell’art. 18 (novellato) della legge n. 300 del 1970.
5. Per la cassazione di tale sentenza la società Centro Tessile Annunziata ha proposto ricorso affidato a nove motivi. Resistono con controricorso i lavoratori.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ma le parti resistenti tardivamente, oltre termine di cui all’art. 380-bis.l cod. proc. civ. (inserito dall’art. 1, lett. f, del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).
Considerato che
1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4 e 5 legge n. 223 del 1991 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) per quanto attiene ai rapporti tra cassa integrazione guadagni straordinaria e licenziamenti collettivi. Deduce che l’avere concordato con le organizzazioni sindacali la delimitazione dell’esubero ai fini della CIGS alla sola sede di Nola rende legittima la medesima delimitazione anche ai fini dell’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità.
2. Con il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.). Sostiene che la sentenza non avrebbe chiarito le ragioni per le quali, nel caso di specie, non potrebbe operare il principio enunciato da Cass. n. 10591 del 2005, secondo cui solo l’insorgere di sopravvenienze giustifica la non coincidenza tra destinatari della CIGS e destinatari del licenziamento.
3. Con il terzo motivo la società denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.(art. 360 n. 4 cod. proc. civ.). Assume che la sentenza sarebbe affetta da motivazione apparente o perplessa, laddove ha espresso un giudizio di sola verosimiglianza in ordine al carattere sostanzialmente unitario dell’attività produttiva svolta nelle due sedi operative.
4. Con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4 e 5 legge 223 del 1991 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.). Deduce che, pur avendo rappresentato in sede di incontro sindacale una situazione di crisi aziendale che aveva interessato l’intera produzione, i danni dell’incendio avevano prodotto un mutamento dell’assetto organizzativo specificamente riguardante i reparti che componevano l’unità produttiva di Nola.
5. Con il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 1,4 e 5 legge 223 del 1991 e dell’art. 2697 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) in relazione all’onere di allegazione e di prova circa la fungibilità delle mansioni. Deduce la società ricorrente che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, formatasi a partire dall’anno 2016, l’onere di provare il carattere fungibile delle mansioni grava sui lavoratori che impugnano il licenziamento collettivo.
6. Con il sesto motivo censura la sentenza per violazione dell’art. 434 cod. proc. civ. (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) nella parte in cui aveva argomentato circa la possibilità della società di operare trasferimenti. Parte ricorrente denuncia che, con tale argomento, la Corte di appello aveva ipotizzato l’esistenza di un vizio della procedura (specificamente riferibile alla comunicazione ex art. 4 legge n. 223 del 1991) che non aveva formato oggetto di reclamo.
7. Con il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1,4, 5 legge n. 223 del 1991 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) con riferimento alla medesima ipotizzata violazione della procedura di licenziamento collettivo in relazione all’art. 4, comma 12, da cui potrebbe conseguire solo la tutela di cui al terzo periodo del settimo comma dell’art. 18 e non la tutela di cui al quarto comma dello stesso articolo.
8. L’ottavo motivo verte su violazione degli artt. 112, 324, 343, 345, 414, 420, 434, 437 cod. proc. civ. (art. 360 n 4 cod. proc. civ.) per avere la sentenza argomentato in ordine al fatto che la comunicazione di avvio della procedura di mobilità fosse rivolta solo alla sede di Nola anziché all’intera azienda. Si assume che nel reclamo non era stata sollevata alcuna contestazione circa la completezza e la veridicità della comunicazione di avvio di cui all’art. 4 legge n. 223 del 1991.
9. Con il nono motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4 e 5 legge n. 223 del 1991 e dell’art. 18 legge n. 300 del 1970 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) per quanto attiene alla reintegra nel posto di lavoro. Ribadisce che una violazione correlata alla comunicazione di avvio della procedura non può dare luogo alla tutela reintegratoria. In ogni caso, poi, ove la sentenza avesse fatto riferimento ad una violazione relativa all’art. 5 legge n. 223 del 1991, occorrerebbe distinguere la prima parte del primo comma che prevede il modo in cui si delimita la platea, dalla seconda parte che prevede il modo con cui nell’ambito della platea si individuano i lavoratori da licenziare e quindi i veri e propri criteri di scelta. Si assume che una violazione che riguardi la prima parte della norma non potrebbe interessare i criteri di scelta.
10. Il ricorso è infondato.
11. Innanzitutto, ritiene il Collegio di dare seguito all’orientamento interpretativo secondo cui l’ambito della verifica da effettuare per disporre il collocamento in mobilità ex art. 4 della legge n. 223 del 1991 abbraccia l’impresa nel suo complesso e può estendersi anche a posizioni lavorative non comprese nel trattamento di integrazione salariale. Ne consegue che il provvedimento con il quale il lavoratore è stato collocato in CIGS non assume alcun rilievo in sede di impugnativa del licenziamento conseguente al collocamento in mobilità, la cui legittimità deve essere valutata con esclusivo riferimento agli accordi sindacali che ne costituiscono il fondamento specifico (Cass. n. 15993 del 2001; v. pure Cass. n. 11569 del 1997, n. 9743 del 2001). Il medesimo principio è stato più volte ribadito successivamente (v. Cass. n. 11455 del 2004).
12. La pronuncia richiamata da parte ricorrente, Cass. 10591 del 2005, non supporta la soluzione interpretativa propugnata, in quanto essa ribadisce il principio sopra esposto. Nel caso esaminato con la predetta pronuncia, questa Corte ha confermato l’esito interpretativo cui era pervenuta la Corte territoriale in quella fattispecie, in quanto sulla base delle verifiche contenute in accordi sindacali e tenuto conto che l’impresa era stata esonerata dalla rotazione per l’inutilizzabilità della professionalità dei lavoratori sospesi, è stata ritenuta corretta la scelta datoriale di limitare la mobilità ai soli dipendenti già sospesi la cui professionalità non era fungibile con i dipendenti in servizio. Pertanto anche tale pronuncia, richiamata a sostegno del primo motivo di ricorso, non è dirimente, avendo la Corte di appello di Napoli, nel presente giudizio, evidenziato che l’esame congiunto avvenuto l’il settembre 2015 tra le rappresentanze aziendali e le organizzazioni sindacali aveva avuto esito negativo e che ad esso aveva fatto seguito, in data 30 settembre 2015, la trasmissione dell’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, selezionati nel limitato novero di quelli appartenenti alla sede di Nola.
13. Come è reso evidente dai precedenti giurisprudenziali di questa Corte, la delimitazione della platea dei lavoratori destinatari dal provvedimento di messa in mobilità è condizionata agli elementi acquisiti in sede di esame congiunto nel senso cioè che, ove non emerga il carattere infungibile dei lavoratori collocati in CIGS o comunque in difetto di situazioni particolari evidenziate sempre in sede di esame congiunto, la scelta deve interessare i lavoratori addetti all’intero complesso aziendale.
14. Né vi sono censure riguardanti l’interpretazione dei suddetti atti negoziali da parte della Corte territoriale, per cui non possono trarsi argomenti a favore della operata delimitazione dal verbale di mancato accordo sindacale.
Sono dunque infondati i primi due motivi di ricorso.
15. Nel pari infondato è il terzo motivo. Nel processo civile l’obbligo di cui all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ..Certamente, non può ascriversi a motivazione apparente un giudizio di verosimiglianza.
16. Il quarto motivo richiama la giurisprudenza espressa da questa Corte che avallerebbe la tesi secondo cui, quando il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisce in modo esclusivo ad una unità produttiva, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore.
17. Anche tale motivo è infondato.
17.1. Premesso che nel caso di specie la Corte di appello ha accertato, con giudizio di merito non sindacabile in questa sede, che la sede di Nola non era stata soppressa, ma solo ridimensionata (la società aveva, infatti, preso in affitto una struttura dove continuare ad operare, anche se in modo ridotto), va osservato che la delimitazione può validamente operare solo ove ciò corrisponda ad oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei – per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. n. 203 del 2015, conf. Cass. 19105 del 2017).
18. Occorre ribadire che, ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico-produttive dell’azienda, previsto dall’art. 5 della legge n. 223 del 1991 per l’individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., inteso come regola di equilibrata conciliazione dei conflittuali interessi delle parti. Pertanto, seppure l’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità può essere ristretta in ambito più limitato rispetto al “complesso aziendale”, richiamato dal suddetto art. 5 della legge n. 223 del 1991, ciò, tuttavia, non può avvenire in base ad una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma richiede che la predeterminazione del limitato campo di selezione sia giustificato dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale (cfr. Cass. n. 11034 del 2006).
19. La questione centrale è dunque quella investita dal quinto motivo, che verte sugli oneri di allegazione e di prova circa la fungibilità o meno delle mansioni svolte dai lavoratori interessati dal licenziamento collettivo.
19.1. In proposito, la recente giurisprudenza di questa Corte ha enunciato il principio per cui grava sui lavoratori l’onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni (v. Cass. 18190 del 2016 ed altre successive conformi).
19.2. Nel caso di specie, tuttavia, la sentenza impugnata ha accertato, alla stregua degli atti processuali, che le due unità produttive svolgevano la medesima attività; ha poi esaminato la questione della interscambiabilità dei lavoratori addetti all’una e all’altra sede, ritenendo sussistente – come risulta dalla motivazione e dallo sviluppo processuale di cui alla sentenza impugnata – un’allegazione formulata da parte dei ricorrenti in ordine al carattere fungibile delle mansioni e ha rilevato che, in ordine alla stessa, l’argomento opposto da parte datoriale non era idoneo a confutarne la fondatezza. Ad avviso della Corte territoriale, il datore di lavoro aveva svolto una contestazione inidonea ad infirmare l’allegazione relativa alla fungibilità delle mansioni cui erano addetti i lavoratori dell’una e dell’altra unità produttiva. In altri termini, si era in presenza di una negazione basata su una circostanza fattuale (l’essere le due unità produttive diverse) rivelatasi infondata, mentre era mancata qualsiasi specifica contestazione in ordine all’essere le mansioni fungibili.
19.3. Stante l’accertamento condotto dalla Corte territoriale, il motivo di ricorso oppone in termini del tutto astratti la regola di giudizio, omettendo di confrontarsi con l’ordine argomentativo su cui la sentenza si fonda.
20. Il sesto, il settimo e l’ottavo motivo sono inammissibili. La Corte di appello non ha ritenuto illegittimo il licenziamento per violazione delle procedure richiamate nell’art. 4, comma 12, ma per violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 della legge n. 223 del 1991, come espressamente enunciato nella motivazione della sentenza (pag. 15 sent.).
20.1. Il riferimento, contenuto nella motivazione, alla prossimità delle due sedi operative e alla correlativa possibilità di operare trasferimenti costituisce un argomento integrativo e rafforzativo della incongruità della scelta datoriale di limitare la scelta al solo novero dei lavoratori appartenenti alla sede di Nola, non potendosi aprioristicamente escludere che un lavoratore, potenzialmente destinatario di un provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito ad una valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro (cfr. Cass. n. 17177 del 2013).
21. Il nono motivo, vertente sulla tutela applicabile alla fattispecie, è infondato. L’art. 5, comma 3, della I. n. 223 del 1991, come sostituito dall’art. 1, comma 46, della legge n. 92 del 2012, prevede l’applicazione del comma 4 dell’art. 18 novellato della legge n. 300 del 1970, norma che riguarda tutte le modalità di applicazione dei suddetti criteri (cfr. Cass. n. 18847 del 2016, Cass. 20502 del 2018).
22. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, stante la tardività del controricorso (avviato alla notifica il 6 marzo 2018, a fronte della notifica del ricorso avvenuta il 29 dicembre 2017).
23. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o d inammissibilità della stessa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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