CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 marzo 2022, n. 10465

Indennità di disoccupazione agricola – Base di calcolo – Salario effettivo inferiore al minimale – Applicazione retribuzione prevista dai contratti collettivi

Rilevato che

la Corte d’appello di Roma, a conferma della pronuncia del Tribunale di Latina, ha accolto la domanda di M.A. C. diretta alla declaratoria del proprio diritto alle differenze di indennità di disoccupazione agricola per l’anno 2007, maturate in applicazione dell’art. 1, co. 2 del DL n. 338 del 1989, conv. in L. n. 389 del 1989 in materia di minìmale contributivo; secondo la Corte territoriale, le retribuzioni da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali a favore dei lavoratori agricoli devono conformarsi alla retribuzione imponibile, ossia alla retribuzione minimale prevista dai contratti collettivi e non al salario effettivo – di importo inferiore – erogato dall’azienda;

la cassazione della sentenza è domandata dall’INPS sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;

M.A. C. ha depositato controricorso.

Considerato che

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.4, cod. proc. civ., l’Istituto ricorrente deduce “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp.att. cod. proc. civ.”; la Corte territoriale avrebbe motivato in modo generico ed apparente, senza considerare che in appello si era dedotto di avere correttamente calcolato l’indennità di disoccupazione in base alla retribuzione parametro contemplata dalla contrattazione collettiva della provincia di Latina, secondo l’effettiva qualifica rivestita dalla lavoratrice, operaia (comune) addetta alla raccolta, operando una media ponderata delle retribuzioni percepite (un periodo come operaia comune per Euro 46,95 /48,36 e un periodo come operaia comune addetta alla raccolta per Euro 34,12 ed Euro 35,14);

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.3, cod. proc. civ., lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp.att.cod.proc.civ.”; contesta la statuizione di condanna alle spese di lite per Euro 1.272,00, sì come superiore al valore della prestazione dedotta in giudizio, dell’importo di Euro 530,84;

il primo motivo è infondato;

è pur vero che l’Inps aveva eccepito in appello che il motivo di contenzioso era nato per la discordanza tra le qualifiche rivestite dalla lavoratrice, e quindi della diversa base salariale (pag. 3 ric.); tuttavia, la questione appare inconferente rispetto alla fattispecie dedotta, ove il tema centrale investe la questione di diritto di quale debba essere la base retributiva da prendere a base di calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola;

su questo la Corte ha motivato coerentemente, ritenendo che in base alle norme di legge vigenti, la pretesa dell’Inps di liquidare l’indennità di disoccupazione agricola in base alla inferiore retribuzione imponibile non regge, non potendo la stessa essere inferiore alle retribuzioni previste dalle fonti collettive (ccnl leader);

sul tema si è pronunciata recentemente questa Corte, affermando il seguente principio di diritto “In tema di indennità di disoccupazione agricola, ai fini del calcolo delle prestazioni temporanee previste in favore degli operai agricoli a tempo determinato non può farsi riferimento alla misura del salario medio convenzionale di cui all’art. 28 del d.P.R. n. 488 del 1968, in quanto tale criterio, per la categoria in questione, è stato sostituito con quello della retribuzione prevista dai contratti collettivi di cui all’art. 1, comma 1, del dl. n. 338 del 1989, conv. con modif. in l. n. 389 del 1989, secondo quanto previsto dall’art. 01, commi 4-5, del dl. n. 2 del 2006, conv. con modif. in l. n. 81 del 2006, e dall’art. 1, comma 55, della l. n. 247 del 2007, dovendosi escludere che il richiamo contenuto nell’art. 1, comma 785, della l. n. 296 del 2006, all’art. 8, della l. n. 334 del 1968, possa avere il significato di reintrodurre il precedente sistema del salario medio convenzionale” (Cass. n. 40400 del 2021);

neppure, il provvedimento impugnato, può essere censurato per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.; una siffatta doglianza, che dà luogo a nullità della sentenza, opera soltanto in caso di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”; nella fattispecie in esame la motivazione esiste ed è coerente e chiara sia nell’iter argomentativo che nelle conclusioni, che danno concreta attuazione al principio di diritto affermato da questa Corte;

il secondo motivo merita accoglimento;

questa Corte ha avuto modo di affermare, in plurimi arresti, che alla luce del nuovo testo dell’art. 152 disp.att.cod.proc.civ., nella materia previdenziale e assistenziale le spese non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio (cfr. penultimo periodo, aggiunto dall’art. 52, co.6, della L. n. 69 del 2009, applicabile ai giudizi instaurati successivamente al 4 luglio 2009) (cfr. per tutti Cass. n. 30973 del 2019);

nel caso in esame, la norma richiamata è applicabile ratione temporis al giudizio in esame, instaurato con ricorso nel 2012, e il valore della controversia dichiarato dalla ricorrente è di Euro 530,84, di tal che, la condanna, da parte del giudice dell’appello, alla corresponsione della somma di Euro 1.272,00 per il secondo grado di merito a carico della parte soccombente, risulta errata per eccesso, in termini di legge;

in definitiva, il secondo motivo di ricorso va accolto, rigettato il primo. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito, liquidando le spese del giudizio d’appello in favore di M.A. C. nella minor misura di Euro 500,00, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario, oltre spese generali e accessori di legge; le spese del giudizio di legittimità vanno compensate per 1/3, ponendo a carico dell’Inps il pagamento dei rimanenti 2/3, liquidati per intero come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore di M.A. C., dichiaratosi antistatario;

in considerazione dell’esito del giudizio, dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio d’appello in favore di M.A. C. nella minor misura di Euro 500,00, disponendone la distrazione in favore del difensore della stessa, dichiaratosi antistatario, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Compensa per 1/3 le spese del giudizio di legittimità, ponendo a carico dell’Inps il pagamento dei rimanenti 2/3, liquidati per intero nella misura di Euro 200,00 per esborsi, Euro 650,00 a titolo di compensi professionali, disponendone la distrazione in favore del difensore M.A. C., dichiaratosi antistatario, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.