CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 10192 depositata il 17 aprile 2023

Tributi – Omessa dichiarazione dei redditi – IRAP e IVA – Avviso di accertamento – Rilevanza fiscale delle fatture di costo – Principio di capacità contributiva – Violazione – Accoglimento

Rilevato

1. La società ricorrente era destinataria di un avviso di accertamento per omessa dichiarazione di redditi, oltre che ai fini IRAP ed IVA se dovuta, per l’anno d’imposta 2013. Dai dati forniti in base al cosiddetto “spesometro” l’ufficio aveva invero accertato l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e IVA, omissione accertata anche in capo alla società E. soc. coop, sua fornitrice. Esperita infruttuosamente la procedura di accertamento con adesione, la società ricorrente adiva il giudice di prossimità lamentando il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento per aver escluso la rilevanza fiscale delle fatture di costo emesse dalla fornitrice.

2. I due giudizi di merito confermavano la legittimità dell’operato dell’Ufficio. Segnatamente la CTR riteneva corretto il disconoscimento dei costi indicati nelle fatture emesse dalla fornitrice giacché carenti dei requisiti previsti dall’art. 109 TUIR, in particolare quelli di certezza e di inerenza, nonché per recare dette fatture una causale generica e per essere prove di riscontro probatorio in ordine al pagamento delle prestazioni.

3. Ricorre avanti a questa Corte la società contribuente, che si affida a due motivi di ricorso, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso, mentre in prossimità dell’adunanza la parte privata ha depositato memoria.

Considerato

1. Con il primo motivo la società ricorrente denunzia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, c.p.c. per violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova relativamente all’inerenza e conseguente deducibilità dei costi per presunta mancanza dei requisiti di cui all’art. 109 TUIR nonché della L. n. 289-91, l. n. 212 del 2000, artt. 3, art. 7 del d.p.r. n. 600/1973, art. 42 e d.p.r. n. 633 del 1972, art.53 in materia di motivazione degli atti amministrativi.

1.1 In sostanza, prendendo l’abbrivio dalla presunta carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, giacché basato “esclusivamente” sulle risultanze dello spesometro, la ricorrente lamenta la violazione, da parte della CTR, dei principi applicabile in tema di onere probatorio.

2. Il motivo è inammissibile, come eccepito in controricorso, perché la doglianza afferente la violazione del riparto dell’onere probatorio è radicalmente nuova e non vi è prova della sua rituale proposizione in primo grado e riproposizione in appello né esso può essere rilevato d’ufficio da questa Corte (Cfr. Cass., V, n. 35203/2022; Cass., V, n. 706/2017). La sentenza impugnata riassume invero le conclusioni della ricorrente, formulate in grado di appello come “annullamento dell’atto impugnato per difetto assoluto di motivazione e violazione del principio di cui alla Cost., art. 53”, per poi precisare come la censura attenga al “mancato riconoscimento da parte dell’A.F. delle fatture emesse dalla cooperativa E.”, mentre nulla dice sull’onere probatorio, né la parte ricorrente ha avuto cura, nel silenzio della sentenza, di trascrivere in seno al ricorso la doglianza svolta nei precedenti gradi di giudizio.

Il motivo va dunque dichiarato inammissibile.

3. Con la seconda doglianza la parte ricorrente avanza censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 di nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p. per violazione dell’art. 2697 c.c. per violazione del principio di capacità contributiva (Cost., art. 53; d.p.r. n. 600 del 1973, artt. 41 e d.p.r. n. 633 del 1972, 55).

3.1 In sostanza critica la sentenza che non ha riconosciuto la deducibilità delle fatture emesse dalla subappaltatrice E., giacché non tenere conto delle spese avrebbe falsato la pretesa impositiva dell’Ufficio. In particolare afferma che sarebbe stato violato il principio di capacità contributiva di cui alla Cost., art. 53 non avendo la CTR ritenuto di determinare, nemmeno in via induttiva, i maggiori costi relativi ai maggiori ricavi accertati.

3.2 A tale censura replica l’Ufficio osservando che, non avendo la ricorrente mai fornito alcuna indicazione in ordine all’attività effettivamente svolta, gli era inibito un calcolo, anche solo induttivo, dei costi deducibili.

4. Orbene, se è vero che in caso di omessa presentazione della dichiarazione l’Ufficio è abilitato a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al d.p.r. n. 600 del 1973, comma 3, dell’art. 38 sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti” (Cass. V n. 19174/2003; n. 2605/2000), non è men vero che con sentenza n. 225/2005 la Corte Costituzionale ha ricordato doversi dedurre i costi dai ricavi induttivamente o presuntivamente ricostruiti (nella specie, tramite prelievi di titolare di conto corrente), in modo da rispettare il principio di capacità contributiva, valorizzando l’incidenza percentuale dei costi relativi. Sul punto la Consulta è intervenuta anche di recente, estendendo i principi di cui alla precedente pronuncia, in virtù d’interpretazione costituzionalmente orientata, riguardo alla necessità di deduzione forfettaria di costi anche in relazione ad accertamento analitico – induttivo supportato da indagini bancarie (cfr. Corte Cost. n. 10-2023).

Era stato già affermato che “Alla luce dell’intervento del Giudice delle leggi, questa corte ha avuto modo di statuire che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nel d.p.r. n. 600 del 1973, art. 41 (cd. Accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dal d.p.r. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109) in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente (cfr. Cass., V, n. 1506/2017, ma già anche Cass. V n. 3995/2009). Sicché, quanto all’accertamento globalmente induttivo del reddito d’impresa, vale sempre la regola che il fisco deve ricostruire il reddito, tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinandole induttivamente e/o presuntivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva, venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto (Cass. VI-5, n. 26748/2018; Cass., sez. V, n. 23314/2013; Cass. V, n. 13119/ 2020; conf. Circ. AdE, n. 9/E/2015, p.2) (Cfr. Cass. V, n. 2581/2021).

4.1 A tali principi non si è uniformata la gravata sentenza, sicché il motivo è fondato e merita accoglimento.

5. Conclusivamente, il primo motivo è respinto mentre è fondato e va accolto il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR che provvederà a nuova valutazione della questione dei costi deducibili da determinarsi induttivamente e/o presuntivamente nonché alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per il Piemonte, Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.