Corte di Cassazione, ordinanza n. 893 depositata il 13 gennaio 2023
imposte dirette ed IVA – avviso di accertamento – deducibilità dei costi – il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa
Rilevato che:
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello proposto da Associazione C.F.M. Padova avverso la sentenza n. 1/6/13 della Commissione tributaria provinciale di Padova, che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2006.
La CTR osservava in particolare che:
-che non sussistevano i presupposti statutari e di attuazione statutaria occorrenti per il riconoscimento alla contribuente delle agevolazioni fiscali spettanti agli Enti non commerciali;
-qualificato l’atto impositivo impugnato come accertamento “induttivo puro” ex artt. 39, secondo comma, dPR 600/1973 e 55, dPR 633/1972, le determinazioni presuntive effettuate dall’agenzia fiscale erano fondate.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’associazione contribuente deducendo quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
Con il primo motivo –ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione dell’art. 148, 73, dPR 917/1986, 4, dPR 633/1972, poiché la CTR ha escluso la sua qualità di Ente non commerciale e l’ha ritenuta perciò non meritevole del correlativo trattamento fiscale quale disciplinato dalle evocate disposizioni legislative.
Con il secondo motivo –ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente, sotto diverso profilo, lamenta la violazione dell’art. 148, dPR 917/1986 in relazione alle previsioni di cui alla legge 398/1991, sostenendosi che non era alla prima disposizione legislativa che doveva farsi riferimento nel caso in esame, bensì alla seconda fonte normativa, con la conseguenza della violazione del regime opzionale speciale dalla medesima prevista, essendosi applicato il regime di tassazione ordinario.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Sono consolidati orientamenti di questa Corte che:
-«In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Cass., n. 26110 del 2015).
-«Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass. n. 9097 del 07/04/2017).
Pur suggestivamente, evocando un errore di sussunzione (falsa applicazione) della fattispecie concreta in quella astratta, la ricorrente mira ad ottenere una revisione del giudizio di merito pacificamente non consentito in questo giudizio sulla base dei citati arresti giurisprudenziali.
A ben vedere infatti il giudice tributario di appello non ha fatto alcuno specifico e tantomeno espresso riferimento alle disposizioni del dPR 917/1986, quanto piuttosto, in via pregiudiziale, ha affermato -con valutazione di merito non ulteriormente sindacabile- che l’associazione contribuente ha natura di Ente commerciale.
Ciò sulla base dell’esame dello statuto (come prescritto dall’art. 73, comma 4, dPR 917/1986) e delle prassi applicative dello stesso, quali emergenti dagli accertamenti documentali dall’agenzia fiscale.
Non vi è stata quindi alcuna violazione/falsa applicazione dell’art. 148 ovvero 73, TUIR (primo motivo) né della legge 398/1991 (secondo motivo).
Quanto a questa censura, va premesso che l’art. 9 bis, dl 417/1991, prevede che «Alle associazioni senza fini di lucro e alle associazioni pro loco si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398», la quale a sua volta prevede un regime agevolato di tassazione, basato sulla semplificazione contabile e sulla forfetizzazione delle aliquote d’imposta.
E’ perciò chiaro che per poter usufruire di tale speciale regime fiscale l’associazione contribuente doveva comprovarne, secondo onere, il presupposto fondamentale ossia di non avere finalità lucrative.
Come appena rilevato, su tale, pregiudiziale, questione basante l’atto impositivo impugnato ha -insindacabilmente- pronunciato nel merito la CTR veneta chiarendo sinteticamente, ma puntualmente, i termini fattuali del punto decisionale.
Nell’ambito di tale statuizione la valutazione circa le quote associative non risulta avere rilievo sul piano del quantum delle pretese creditorie erariali, quanto piuttosto in ordine a detta questione pregiudiziale.
Con il terzo motivo –ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per vizio motivazionale assoluto in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, d.lgs 546/1992, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118, disp. att. cod. proc. civ. in relazione alla metodologia accertativa utilizzata dall’Ente impositore (accertamento induttivo puro).
La censura è infondata.
Va ribadito che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01).
La motivazione della sentenza impugnata non corrisponde affatto ai paradigmi invalidanti di cui al citato consolidato arresto giurisprudenziale, contenendo una puntuale ed articolata argomentazione circa le statuizioni assunte, ben oltre il “minimo costituzionale” (v. Sez. U, 8053/2014).
La CTR veneta infatti, previa qualificazione dell’avviso di accertamento impugnato quale “induttivo puro”, ex artt. 39, secondo comma, dPR 600/1973, 55, dPR 633/1972, ha poi svolto considerazioni sintetiche, ma puntuali, sulla metodologia accertativa impiegata in concreto dall’agenzia fiscale (prezzi di vendita delle bevande alcoliche e superalcoliche con costi documentati; calcolo presuntivo degli introiti associativi).
Non si tratta dunque di una mera apodittica conferma della attività di verifica dell’Ente impositore.
Con il quarto motivo –ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente deduce la violazione/falsa applicazione degli artt. 39, secondo comma, 61, terzo comma, dPR 600/1973, 109, quarto comma, dPR 917/1986, poiché la CTR ha considerato in deduzione dei ricavi induttivamente accertati soltanto i costi documentati, non quelli pure induttivamente determinabili.
La censura è infondata.
Va ribadito che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, tanto che, qualora per alcuni proventi non sia possibile accertare i costi, questi possono essere determinati induttivamente, perché diversamente si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.» (Sez. 5, Sentenza n. 3995 del 19/02/2009, Rv. 606915 – 01) e che «In tema di accertamento induttivo cd. puro, l’Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26748 del 23/10/2018, Rv. 651111 – 01).
Nel caso di specie, prima l’agenzia fiscale in sede procedimentale, poi il giudice tributario di appello in sede processuale hanno “depurato” i redditi induttivamente determinati dai costi rivenienti dalla contabilità associativa, il che ne esclude un’ulteriore determinazione di tipo induttivo.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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