Corte di Cassazione, ordinanza n. 12383 depositata l’ 11 maggio 2021

il potere di indagine autonoma del Giudice tributario è esercitabile, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, quando gli elementi di giudizio già in atti od acquisiti non siano sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata – Nel processo tributario, retto dal principio misto acquisitivo­ dispositivo, l’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, stante l’abrogazione del comma 3 ( che consentiva un vero e proprio potere officioso in “supplenza” della parte probatoriamente inerte), attribuisce alle commissioni tributarie, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, un potere di “soccorso istruttorio” che, motivatamente, può essere esercitato non per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio ma solo in funzione integrativa degli elementi di giudizio già in atti o acquisiti in quanto non sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata

FATTI DI CAUSA

1. La contribuente ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza n. 284/36/2012 emessa dalla CTP di Milano.

2. Il Giudice di primo grado non aveva accolto l’impugnazione di avviso di accertamento in materia di IVA ed imposte dirette, con riferimento all’esercizio 2005.

3. La CTR, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, ritenne esente da censura l’utilizzo a fini probatori da parte del primo Giudice (oltre che in secondo grado) del PVC a carico della contribuente (ad essa notificato, come chiarito dalla stessa ricorrente), richiamato dall’avviso di accertamento e prodotto in giudizio dall’A.E. ma solo dopo la richiesta ad essa rivolta dalla CTR ( ex 22 del d.lgs. n. 546 del 1992). La Commissione rigettò altresì la doglianza deducente l’illegittimità del provvedimento impositivo prospettata come fondante nella mancata considerazione da parte dell’A.E. delle osservazioni presentate dalla contribuente, delle quali, peraltro, l’Amministrazione aveva dato conto con apposito verbale e comunque nella motivazione dell’avviso.

4. Contro la sentenza d’appello la contribuente ricorre con quattro motivi mentre l’Amministrazione finanziaria, correttamente intimata, non si costituisce.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso merita accoglimento, nei termini e limiti che seguono.

2. I primi tre motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione congiunta, in forza della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti.

2.1 Con il motivo n. 1, in relazione, all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione dell’art. 22, commi 4 e 5, del lgs. n. 546 del 1992.

Con il motivo n. 2, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si deduce l’omessa pronuncia in punto di violazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 e del combinato disposto degli artt. 115 c.p.c. e 1, comma 2, del citato d.lgs.

Con il motivo n. 3, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce, per l’ipotesi in cui si dovesse ritenere insussistenze l’omessa pronuncia di cui al motivo precedente, la violazione dei citati articoli 7, 115 e 1, comma 2.

2.2 I motivi nn. 1 e 3 sono fondati, pur nei limiti e termini di seguito evidenziati, mentre infondato è il motivo n.2

Con i motivi nn. 1 e 3, sostanzialmente, si deduce la violazione del principio dispositivo, governante anche il processo tributario, avendo la CTR ritenuto corretto l’utilizzo a fini probatori (da parte sua ed ancor prima da parte della CTP) del PVC a carico della contribuente, ad essa notificato (come chiarito dalla stessa ricorrente), richiamato dall’avviso di accertamento e prodotto in giudizio dall’A.E. ma solo dopo la richiesta ad essa rivolta dalla CTR (ex art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992). Si censura, in particolare, sia il non corretto richiamo all’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992 sia e soprattutto  la  ritenuta  utilizzabilità  probatoria  del  PVC  in  quanto prodotto dall’A. E. su richiesta dalla CTR, in violazione dell’art. 7 del medesimo d.lgs. n. 546, ratione temporis applicabile nella formulazione successiva all’abrogazione del comma 3 che attribuiva la facoltà alle commissioni tributarie di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia (abrogazione ex art. 3 bis, comma 5, del ci.l. n. 203 del 2005, conv. dalla l. n. 248 del 2005).

Con il motivo n. 2, invece, si deduce un’omissione insussistente, avendo difatti la CTR sostanzialmente pronunciato in merito alla dedotta acquisibilità del PVC, su richiesta dal Giudice tributario, ed utilizzabilità (come sintetizzato al punto n. 3 della presente ricostruzione in fatto) proprio nei termini censurati con i precedenti motivi nn. 1 e 2 e, comunque, avendo essa stessa fondato la propria statuizione anche sulle risultanza del detto PVC.

2.3 Premesso quanto innanzi e ferma restando la non corretta individuazione da parte della CTR della norma di riferimento (l’art. 22 del d.lgs. in luogo dell’art. 7 dello stesso decreto), è fondata nei seguenti termini la censura sostanzialmente deducente la violazione del principio dispositivo, in particolare dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, in ragione di principio, al quale si intende dare continuità, già sancito da questa Corte in considerazione tanto della giurisprudenza di legittimità formatasi circa il citato art. 7 (nelle sue formulazioni antecedente e successiva alla modifica del 2005) quanto delle statuizioni della Consulta (Corte n. 109 del 2007).

2.3.1 Sono in particolare mutuabili, anche perché inerenti fattispecie per certi versi analoghe alla presente, l’approdo ermeneutico e l’iter logico-giuridico nonché ricostruttivo di sez. 5, 31/07/2020, n. 16476, Rv. 658436-01, circa il disposto del comma 1 del citato art. 7, ai sensi del quale: «Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta».

Il principio che emerge dalla giurisprudenza di questa Corte sull’interpretazione del citato art. 7 comma 1, è difatti quello per cui il potere di indagine autonoma del Giudice tributario è esercitabile, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, quando gli elementi di giudizio già in atti od acquisiti non siano sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata. Questo potere sopravvive alla riconosciuta natura dispositiva del processo tributario, sancita anche da Corte cast. n. 109 del 2007 che ha nei detti termini delineato i limiti dei poteri di cui all’art. 7 comma 1, anche a seguito dell’abrogazione del successivo comma 3 (che consentiva un vero e proprio potere d’ufficio in «supplenza» della parte probatoriamente inerte).

Questa Corte, poi, come chiarito dalla citata ordinanza n. 16478 del 2020 ha ritenuto legittimo l’ordine da parte della CTR all’Ufficio di produrre il processo verbale, affermando che nel processo tributario, invero, è attribuito alle commissioni tributarie, dall’art. 7 cit. e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, un potere di indagine che esse possono esercitare qualora dagli atti non risultino sufficienti elementi di giudizio, e sempre che esse non ritengano di averne acquisiti in misura sufficiente (Cass. sez. 5, 21/02/2014, n. 4161, Rv. 629990- 01, in termini sostanzialmente conformi anche Cass. sez. 5, 13/09/2006, n. 19593, Rv. 593930-01).

Cass.  sez.  6-5,  19/06/2018,  n.  16171,  Rv.  649371-01,  ha sostanzialmente ribadito lo stesso principio affermando che nel processo tributario, il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova non può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento dell’onere probatorio a proprio carico, ma solo, in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa  degli elementi istruttori in atti. Già in  epoca risalente Cass. sez. 5, 12/02/2009, n. 3456, Rv. 606837-01, aveva del resto affermato che il contribuente, anche in sede di impugnazione di atti impositivi notificati dopo dell’entrata in vigore della legge n. 212 del 2000, non ha l’onere di produrre in giudizio il processo verbale di constatazione richiamato nell’avviso di accertamento, non essendone, all’epoca, richiesta la contestuale notifica e trattandosi di adempimento che grava sull’ufficio anche in sede contenziosa. Dal mancato deposito del processo verbale non deriva neppure l’inammissibilità del ricorso, prevista dall’art. 22, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 per i soli atti ivi indicati, tra cui non compaiono l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato (comprensivi anche del p.v.c. richiamato nell’avviso di accertamento) ai quali si riferisce invece il comma 4 del medesimo art. 22, e che possono essere prodotti anche in un momento successivo, ovvero su impulso del giudice tributario, qualora si avvalga dei poteri previsti dal successivo quinto comma.

Parimenti, per Cass. sez. 5, 20/01/2016, n. 955, Rv. 638439-01, l’art. 7 cit., «laddove attribuisce al giudice il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, e dunque anche nell’ora abrogato comma 3, dev’essere interpretato alla luce del principio di terzietà sancito dall’art. 111 Cost., il quale non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma gli attribuisce solamente un potere istruttorio in funzione integrativa, e non integralmente sostitutiva, degli elementi di giudizio (Cass. Civ., Sez. 5, n. 673 del 15/01/2007)». Tale statuizione  del  2016 precisa  che il  detto potere,  pertanto,  «può essere esercitato soltanto ove sussista  un’obiettiva situazione di incertezza, al fine di integrare gli elementi di prova già forniti dalle parti e non anche nel caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia (cfr. Cass. Civ., Sez. 5, n. 24464 del 17/11/2006, Rv. 594275; n. 14960 del 22/06/2010, Rv. 613988) e sempre che la parte su cui ricade l’onere della prova non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita ma questa risulti piuttosto ostacolata dall’essere i documenti in possesso dell’altra parte o di terzi (v. Cass. Civ., Sez. 5, n. 7078 del 24/03/2010; Sez. 5, n. 10970 del 14/05/2007)».

In merito la citata Cass.  n. 16476 del 2020 ha però condivisibilmente chiarito che, per quanto, quindi, nel caso concreto affrontato da Cass. n. 955 del 2016 cit., questa Corte abbia rilevato come  carenza   probatoria  dell’Ufficio la mancata produzione     del processo verbale, resta il fatto che questo non può essere affermato come  principio assoluto  dovendo la situazione essere  distinta  in relazione ad ogni caso. Sicché, qualora nel giudizio siano già presenti indizi sugli stessi fatti che una parte intende provare, l’ordine di integrazione probatoria da parte del Giudice di merito è possibile, a maggior    ragione    se   il   processo   verbale sia già conosciuto dal contribuente, perché in tal caso l’ordine del giudice non introduce nel processo alcun elemento nuovo.

2.3.2 È appena il caso di aggiungere che tale ultima precisazione di Cass. 16476 del 2020 è in sintonia con quanto statuito, poco prima, da Cass. sez. 5, 23/12/2019, n. 34393, Rv. 656545-01, che, nella specie, ha ritenuto esente da censure la motivazione da parte della Commissione dell’omesso esercizio del detto potere istruttorio con riferimento ad un PVC.

Il processo tributario, retto dal princ1p10 misto acquisitivo­ dispositivo, con i conseguenti poteri officiasi del giudice, è difatti caratterizzato, come quello amministrativo, dall’asimmetria tra la posizione della parte pubblica, autrice e custode degli atti disciplinanti il rapporto Stato-contribuente, e la parte privata, sfornita di poteri autoritativi ed incapace di produrre atti dotati di esecutorietà. Ne consegue che tale processo esige l’esercizio dei poteri di riequilibrio della  parità  delle  parti e di garanzia  del contraddittorio che  sono affidati fisiologicamente al Giudice, il quale nella fase istruttoria – ove alla parte privata può essere chiesta non la produzione della prova, esulando dalla propria disponibilità, ma solo il principio di prova (i.e. l’indicazione del mezzo) – è chiamato ad adottare provvedimenti che bilancino il rapporto processuale, attraverso l’acquisizione documentale ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992. In ogni caso, però, chiarisce anche Cass. 34393/2019 cit., l’esercizio di detto potere discrezionale di soccorso istruttorio, costituendo una deroga al principio dispositivo, dev’essere compiutamente motivato, previa delibazione della commissione tributaria, non potendo comunque sopperire a carenze o inattività delle parti.

2.3.3 L’orientamento di cui alla citata n. 16476 del 2020 non è infine in contrasto con quanto statuito da Cass. sez. 5, 11/06/2014, n. 13152, Rv. 631140-01, che, non riferendosi al comma 1 dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 bensì agli effetti dell’abrogazione del suo comma 3, ha chiarito che al Giudice tributario (tanto di primo quanto di secondo grado) non è più consentito ordinare il deposito di documenti, dovendo, invece, essergli riconosciuto il potere di ordinarne ex officio l’esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c.

La sentenza da ultimo citata, difatti, senza nulla togliere all’interpretazione della portata del citato comma 1 e del potere integrativo come innanzi specificato, sostanzialmente chiarisce che a seguito dell’abrogazione del detto comma 3 non è più consentito un vero e proprio potere d’ufficio in supplenza della parte probatoriamente inerte.

2.4 I principi di cui innanzi, come chiariti dalla più recente giurisprudenza di questa Corte nei termini appena illustrati ed ulteriormente in questa sede specificati, non sono stati correttamente applicati dalla CTR con la statuizione impugnata.

Nella specie, difatti, nonostante un non pertinente riferimento all’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, è stato sostanzialmente attivato il potere discrezionale di soccorso istruttorio, di cui all’art. 7, comma 1, del medesimo d.lgs., con riferimento a PVC richiamato nella parte motiva dell’avviso di accertamento (nonché notificato al contribuente) ma in assenza di compiuta motivazione da parte del Giudice circa la presenza di elementi di giudizio in merito ai fatti da provare tali però da non essere ritenuti sufficienti per addivenire ad una statuizione ragionevolmente motivata.

2.4.1 Ne consegue, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Giudice di merito per l’applicazione dei seguenti principi di diritto, sanciti ex art. 384, comma 1, c.p.c.

«Nel processo tributario, retto dal principio misto acquisitivo­ dispositivo, l’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, stante l’abrogazione del comma 3 ( che consentiva un vero e proprio potere officioso in “supplenza” della parte probatoriamente inerte), attribuisce alle commissioni tributarie, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, un potere di “soccorso istruttorio” che, motivatamente, può essere esercitato non per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio ma solo in funzione integrativa degli elementi di giudizio già in atti o acquisiti in quanto non sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata».

Con particolare riferimento all’esercizio del potere in esame in merito al PVC, in quanto di rilievo nella fattispecie che ci occupa, occorre comunque distinguere diverse ipotesi.

«Nel caso di PVC non allegato ma richiamato dal provvedimento impositivo, che ne riporta taluni elementi, la Commissione, con onere motivazionale in merito, deve verificare se i detti elementi, considerati di per sé ovvero in uno con altri elementi agli atti, integrino indizi ma non tali da condurre ad una decisione ragionata nei  termini  di  cui  innanzi.  Nel  caso  di  PVC  non  allegato  ma meramente richiamato dal provvedimento impositivo, che, dunque, non riporta parti di esso, il Giudice, sempre con onere motivazionale in merito, dovrà verificare se il semplice richiamo abbia integrato, di per sé o in uno con altri elementi agli atti, un indizio nei termini di cui innanzi. Per converso, nell’ipotesi di PVC allegato al provvedimento impositivo (agli atti) ma non prodotto in giudizio, la Commissione potrà disporre l’acquisizione (in ipotesi, anche ex art. 22, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 546 del 1992) senza che ciò implichi esercizio dei poteri di integrazione probatoria di cui al citato art. 7, comma 1, trattandosi di attività preordinata alla completezza di un atto (quello impositivo) già agli atti processuali nonché funzionale all’integrazione del contraddittorio su esso e compatibile con la natura di impugnazione-merito propria del processo tributario».

3. Con il motivo 4, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, e dell’art. 7, comma 1, della l. n. 212 del 2000, nonché degli art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972. In sostanza, con la censura in esame si prospetta l’errore delle CTR per non aver ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento non illustrante le ragioni del mancato accoglimento da parte dell’A.E. delle deduzioni svolte dal contribuente in sede di osservazioni al PVC, ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000.

3.1 Il motivo in esame è infondato.

In tema di IVA (oltre che di imposte dirette), è difatti valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto  impositivo  (ex  plurimis:  Cass.  sez.  6-5,  31/03/2017,  n. 8387,  Rv.  643641-01;  Cass.  sez.  5,  24/02/2016,  n.  3583,  Rv. 639031-01, nonché Cass. sez. Cass. sez. 6-5, 06/06/2018, n. 14667, Rv. 649018-01).

Nella specie, peraltro, la CTR ha fondato la statuizione sull’accertata presa di posizione dell’A.E. in merito alle osservazioni del contribuente, che la ricorrente, con motivazioni di merito non degne di considerazione in sede di legittimità, qualifica alla stregua di «richiamo formale alla memoria difensiva» oltre che di «controdifesa di stile» senza una degna considerazione degli elementi e degli argomenti di prova addotti in sede di contraddittorio endoprocedimentale.

4. In conclusione, i soli motivi 1 e 3, nei descritti limiti e termini, devono essere accolti, con rigetto degli altri motivi, e la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale per la Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità (in considerazione anche della circostanza per la quale in questa sede l’Ammnistrazione finanziaria intimata non si è difesa).

P.Q.M.

accoglie i motivi nn. 1 e 3 di ricorso, rigetta i motivi nn. 2 e 4, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale per la Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.