CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 dicembre 2021, n. 41694

Tributi – Riscossione – Cartelle di pagamento notificate in qualità di erede – Abitazione nell’immobile del de cuius – Omessa redazione dell’inventario nel termine tre mesi dall’apertura della successione – Qualificazione di erede puro e semplice – Legittimità

Rilevato che

– S. E. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 9 luglio 2014, di reiezione dell’appello dalla medesima proposta avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile, per tardività, il suo ricorso per l’annullamento di due cartelle di pagamento notificatele nella qualità di erede;

– il giudice di appello, dopo aver premesso che il giudizio verteva solo sulla legittimità di una delle due cartelle, in quanto per l’altra non era stata notificata alla ricorrente, ha disatteso l’appello di quest’ultima ritenendo che doveva riconoscersi in capo a quest’ultima la qualità di erede pure e semplice e non, come da questa invocato, di chiamata all’eredità, atteso che, pur essendo nel possesso dei beni ereditari, aveva omesso di redigere l’inventario nel termine previsto;

– il ricorso è affidato a quattro motivi di ricorso;

– resistono, con separati controricorso, sia l’Agenzia delle Entrate, sia la Equitalia Nord s.p.a.;

– la ricorrente ed Equitalia Nord s.p.a depositano memorie ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.,

Considerato che

– con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., per aver la sentenza impugnata escluso la sussistenza del giudicato esterno, rappresentato da una sentenza del Tribunale di Milano, che aveva annullato una cartella di pagamento emessa per mancato pagamento di contributi previdenziali originariamente dovuti dal de cuius in ragione della rinuncia all’eredità operata dalla ricorrente;

– il motivo è infondato;

l’efficacia del giudicato esterno presuppone necessariamente l’identità delle parti, del petitum e della causa petendi, sicché va esclusa nei casi in cui, quale quello in esame, in cui la pretesa è azionata da un diverso soggetto, l’Agenzia delle Entrate, e sia il petitum, sia la causa petendi sono diverse, attenendo ad un credito derivante dall’assolvimento di obblighi di natura previdenziale (cfr., in tema, Cass., ord., 15 luglio 2020, n. 15026; Cass. 24 marzo 2014, n. 6830);

– con il terzo motivo, esaminabile prioritariamente per motivi di ordine logico-giuridico, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 485, 519 e 521 c.c. e 100 c.p.c., per aver la Commissione regionale ritenuto che la contribuente fosse nel possesso dei beni del defunto – e, in quanto tale, onerata della redazione dell’inventario ai fini dell’esclusione della qualità di erede puro e semplice -, benché si fosse limitata a vivere in un immobile che era condotto in locazione dal de cuius,

– il motivo è inammissibile, in quanto poggia sull’assunto che il de cuius non fosse proprietario, ma solo detentore in virtù di rapporto di locazione, dell’immobile che abitava e che la figlia, odierna ricorrente, aveva continuato ad abitare dopo il decesso del genitore;

– tale assunto trova smentita nella sentenza di appello la quale afferma che «la sig. S. … abbia inoltre continuato a vivere nell’abitazione del padre deceduto», così rendendo palese l’accertamento della qualità di proprietario del de cuius sull’immobile in oggetto;

– orbene, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (così, Cass., S.U., 12 novembre 2020, n. 25573);

– pertanto, una siffatta censura non può che essere formulata se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– con il secondo motivo la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 519 e 521 c.c., 100 c.p.c. e 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per aver il giudice di appello escluso l’ammissibilità dell’impugnazione della cartella per mancato rispetto del termine decadenziale, benché la notifica della stessa fosse stata erroneamente eseguita nei suoi confronti nella qualità di erede, avendo ella rinunciato all’eredità, per cui doveva ritenersi che di tale cartella avesse avuto notizia solo attraverso il rilascio dell’estratto di ruolo;

– il motivo è infondato;

– la Commissione regionale ha fatto seguire all’accertamento della proprietà del de cuius dell’immobile che la contribuente abitava e della protrazione dell’abitazione dello stesso da parte di quest’ultima, chiamata – come dalla stessa riconosciuto – all’eredità, il possesso in capo alla medesima di un bene ereditario e l’insorgenza del conseguente onere per la stessa di redigere l’inventario nel termine tre mesi dall’apertura della successione;

– ha, quindi, ritenuto che si fosse verificato l’effetto dell’assunzione, in capo alla ricorrente, della qualità di erede pura e semplice, per decorso di tale termine senza che l’inventario fosse redatto;

– così argomentata la doglianza si sottrae e alla censura prospettata, in quanto, in primo luogo, l’abitazione dell’immobile da parte della contribuente e l’appartenenza dello stesso al padre deceduto e da questi abitato, costituiscono elementi idonei a dimostrare la sussistenza di una situazione di possesso del bene ereditario, rilevante ai fini dell’art. 485 c.c., in quanto espressivi, in difetto di elementi di segno contrario, di una relazione materiale intesa come situazione di fatto che consenta l’esercizio di concreti poteri sul bene (cfr., in relazione ad una vicenda assimilabile, Cass. 5 maggio 2008, n. 11018);

– in secondo luogo, l’onere di redigere l’inventario grava anche sul chiamato all’eredità che è in possesso o al compossesso anche di un solo bene ereditario (cfr. Cass., ord., 23 luglio 2020, n. 15690; Cass. n. 11018/2018);

– infine, se il chiamato nel possesso o compossesso anche di un solo bene ereditario non forma l’inventario nel termine di tre mesi decorrenti dal momento di inizio del possesso, viene considerato erede puro e semplice e un siffatto onere condiziona, non solo, la facoltà di accettare con beneficio d’inventario, ma anche quella di rinunciare all’eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius (così, Cass., ord., n. 15690/20; Cass. 29 marzo 2003, n. 4845);

– con l’ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 485 e 2697 c.c. e 7, d.lgs. n. 546 del 1992, per aver la sentenza impugnata desunto la circostanza del possesso dei beni ereditari in base alle sole allegazioni dell’Agenzia delle Entrate e della Equitalia Nord s.p.a., ignorando le prove documentali dalla stessa offerte, senza attivare i propri poteri istruttori;

– il motivo è, quanto all’omessa valutazione delle prove prodotte in giudizio, inammissibile, risolvendosi in una critica della valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Commissione regionale, che non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– quanto alla prospettata omessa attivazione dei poteri istruttori officiosi, il motivo è infondato, atteso che il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova non può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del  rispettivo onere probatorio, ma solo in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti, e sempre che la parte su cui ricade l’onus probandi non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita (cfr. Cass., ord., 31 luglio 2020, n. 16476; Cass., ord., 24 febbraio 2020, n. 4762);

– nel caso in esame, non ricorre una siffatta situazione, avuto riguardo all’assenza di una situazione di oggettiva incertezza in ordine al contestato della natura ereditaria dell’immobile abitato e all’agevole dimostrabilità della circostanza;

– per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore dell’Agenzia delle Entrate, in euro 5.000,00, oltre rimborso spese prenotate a debito e, in favore della Equitalia Nord s.p.a., in euro 5.000.00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi, e accessori di legge. Si da atto della sussuitenza dei presuopposti per il versamento del contributo se dovuto.