Corte di Cassazione, sentenza n. 19581 depositata il 10 luglio 2023
ICI IMU – DINIEGO DI RIMBORSO – ai fini della determinazione del valore imponibile per l’applicazione dell’ICI, è indispensabile che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti previsti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche; tali criteri, normativamente determinati, debbono considerarsi tassativi e non possono essere surrogati da valutazioni effettuate sulla base di un’aprioristica e del tutto indimostrata valutazione basata su altri argomenti
RILEVATO CHE:
1. il Comune di Caselle Torinese (TO) ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte il 29 settembre 2017, n. 1343/06/2017, che, in controversia su diniego di rimborso per l’ICI relativa agli anni dal 2008 al 2011 e per l’IMU relativa all’anno 2012, con riguardo a suoli edificabili ubicati nel medesimo Comune ed inclusi nelle aree A.T.A. del vigente Piano Regolatore Generale Comunale, dei quali l’“A. S.r.l.” era proprietaria, ha rigettato l’appello proposto dal medesimo nei confronti dell’“A. S.r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Torino il 2 luglio 2015, n. 1067/10/2015, senza alcuna pronunzia sulle spese giudiziali per la contumacia della parte vittoriosa;
2. la Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di prime cure sul presupposto che il giudice tributario potesse integrare con informazioni assunte d’ufficio l’omessa indicazione della superficie dei suoli edificabili nell’istanza di rimborso e che l’erronea applicazione dell’aliquota piena in sede di autoliquidazione (alla luce del riconoscimento della riduzione del 50% per le aree A.T.A. del vigente Piano Regolatore Generale Comunale da parte della delibera adottata dalla Giunta Comunale il 30 gennaio 2003, n. 18) potesse giustificare la rimborsabilità dell’imposta liquidata in eccedenza;
3. la “A. S.r.l.” è rimasta intimata;
4. il ricorrente ha depositato memoria;
CONSIDERATO CHE:
1. il ricorso è affidato a quattro motivi;
1.1 con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 7 comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 115 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stata erroneamente respinta dal giudice di secondo grado l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario per l’omessa indicazione della superficie dei suoli edificabili nell’istanza di rimborso, decidendo nel merito soltanto dopo un controllo d’ufficio sulla superficie dei suoli edificabili, senza limitarsi a tener conto delle prove offerte dalle parti;
1.2 con il secondo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 7, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 101, 115, 210 ss. cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’ente impositore fosse gravato dall’onere di contestare l’imposta dovuta, confrontandola con quella versata, senza tener conto che quest’ultimo aveva verificato che l’imposta dovuta – calcolata sulla base imponibile dichiarata dalla contribuente e con le aliquote fissate dal medesimo – corrispondesse all’imposta versata;
1.3 con il terzo motivo, si denunciano, al contempo: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, comma 5, e 6, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, 59, lett. g, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, 4, comma 1, del regolamento comunale ICI, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 3, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in combinato disposto con l’art. 5, comma 5, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nonché dell’art. 13, comma 6, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché dell’art. 3 del regolamento comunale ICI, in combinato disposto con l’art. 4, comma 3, del regolamento comunale ICI e con l’art. 12, comma 2, disp. prel. cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 164, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la liquidazione dell’ICI e dell’IMU in misura maggiore rispetto alle indicazioni risultanti dalla determinazione periodica per zone omogenee dei valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili potesse giustificare la rimborsabilità dell’eccedenza versata sia in relazione alla indicazione della base imponibile, che in relazione all’indicazione dell’aliquota;
1.4 con il quarto motivo, si denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di «dire perché è corretta la domanda e darsi carico di individuare l’esatta causa petendi della domanda e prendere posizione sulle censure mosse dal Comune tanto per l’ipotesi che si volesse riferire la riduzione all’aliquota (…) sia all’imponibile (…), lasciando così nel vago sia il decisum (l’eccezione respinta) sia il motivo del suo rigetto, e costringendo il Comune ricorrente a confutare le letture teoricamente ammesse dal testo»;
2. il primo motivo è infondato;
2.1 secondo l’art. 7, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546:
«1. Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta»;
2.2 in linea generale, quindi, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, le commissioni tributarie sono titolari di un potere di indagine, che esse possono esercitare, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, qualora non ritengano sufficienti gli elementi di giudizio risultanti dagli atti o già acquisiti;
2.3 invero , secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che attribuisce al giudice il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, deve essere interpretato alla luce del principio di terzietà sancito dall’art. 111 Cost., il quale non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori: tale potere, pertanto, può essere esercitato soltanto ove sussista un’obiettiva situazione di incertezza, al fine di integrare gli elementi di prova già forniti dalle parti, e non anche nel caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 17 novembre 2006, n. 24464; Cass., Sez. 6^-5, 24 febbraio 2020, n. 4762; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2021, nn. 12405 e 12406; Cass., Sez. 5^, 13 febbraio 2023, nn. 4352, 4356 e 4371);
2.4 peraltro, il potere riservato al giudice tributario dall’art. 7, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, deve essere coordinato con l’art. 6, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212, a tenore del quale:
«4. Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni gia’ in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa. »;
2.5 in tale direzione, si è affermato che, in tema di contenzioso tributario, l’art. 6, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212, secondo cui non possono essere chiesti al contribuente documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, dovendo tali documenti ed informazioni essere acquisiti ai sensi dell’art. 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, costituisce espressione di un principio generale applicabile anche al processo tributario, e presuppone che la documentazione sia già sicuramente in possesso dell’amministrazione finanziaria o che, comunque, il contribuente ne dichiari e provi l’avvenuta trasmissione all’amministrazione stessa (Cass., Sez. 5^, 21 gennaio 2015, n. 958; Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2016, n. 7848; Cass., Sez. 6^-5, 3 giugno 2019, n. 15147; Cass., Sez. 5^, 28 maggio 2020, n. 10160; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2020, n. 22888; Cass., Sez. 6^-5, 15 ottobre 2021, n. 28325), pur precisandosi che tale norma non fa riferimento a qualsivoglia documento pervenuto, per qualsiasi evenienza, nella disponibilità dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche, ma deve essere letto in connessione all’art.18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, menzionato nell’ultima parte del medesimo comma, cioè con esclusivo riferimento soltanto a quelli originariamente o istituzionalmente posseduti dalle medesime, che debbono, anzi, essere obbligatoriamente acquisiti d’ufficio (Cass., Sez. 5^, 27 ottobre 2010, n. 21956; Cass., Sez. 5^, 21 gennaio 2015, n. 958; Cass., Sez. 5^, 16 dicembre 2019, n. 33108);
2.6 ne discende che, in base al combinato disposto degli artt. 7, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 6, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212, pur gravando sempre a carico del contribuente l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto al rimborso dell’ICI/IMU versata in eccedenza nell’anno di riferimento, il giudice tributario ha la facoltà di acquisire o consultare d’ufficio – al solo fine di integrare le risultanze emergenti dalla documentazione prodotta dalle parti nel corso del giudizio – i dati catastali (ivi compresa la consistenza) degli immobili imponibili, che sono affidati alla gestione dell’amministrazione finanziaria (art. 64 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300) ed aperti all’accesso informatico delle amministrazioni comunali (art. 19, commi 1, 2 e 2-bis, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122);
2.7 pertanto, la sentenza impugnata si è sostanzialmente uniformata a tali principi, avendo ritenuto che: «I terreni in questione sono siti nel Comune di Caselle, di proprietà del contribuente che ne ha indicato la partita catastale, i mesi di possesso, il reddito e l’imposta, da cui, da un controllo effettuato, risultano 3 terreni: 1) – foglio 6 part. 199 mq. 5.313 – 2) – partita catastale 3877 fg. 6 part. 200 mq. 1.950 3) fg. 6 part. 92 mq. 47.947 dati assolutamente conosciuti dal Comune che in dissenso avrebbe dovuto, in questa sede, contestare l’imposta dovuta confrontandola con la versata»;
2.8 in definitiva, il giudice di appello si è limitato a verificare – attraverso la consultazione d’ufficio dei dati catastali, che erano già nella disponibilità dell’ente impositore – l’esatta superficie dei suoli edificabili, integrando i dati già risultanti dalla documentazione prodotta dalla contribuente a corredo dell’istanza di rimborso, senza alterare la ripartizione dell’onere probatorio tra le parti;
3. il secondo motivo ed il terzo motivo – la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta – sono fondati, derivandone l’assorbimento del quarto motivo;
3.1 le censure attingono – sotto distinti profili – il riconoscimento del diritto dell’“A. S.r.l.” al rimborso dell’ICI e dell’IMU versate in eccedenza per gli anni dal 2008 al 2012, sul presupposto dell’erronea applicazione dell’aliquota piena, in luogo dell’aliquota ridotta, a causa dell’ignorata ammissione al predetto beneficio dei suoli compresi nelle aree A.T.A. del vigente strumento urbanistico generale secondo la delibera adottata dalla Giunta Comunale il 30 gennaio 2003, n. 18;
3.2 in base all’art. 5, comma 5, del d.l.gs. 30 dicembre 1992, n. 504 (relativo all’ICI, ma valevole anche per l’IMU, in forza dell’art. 13, comma 3, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214): «5. Per le aree fabbricabili, il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche»;
3.3 inoltre, ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. g), del d.lgs. 15 novembre 1997, n. 446, il regolamento comunale può: «g) determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del Comune qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l’insorgenza di contenzioso»;
3.4 secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della determinazione del valore imponibile per l’applicazione dell’ICI, è indispensabile che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti previsti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche; tali criteri, normativamente determinati, debbono considerarsi tassativi e non possono essere surrogati da valutazioni effettuate sulla base di un’aprioristica e del tutto indimostrata valutazione basata su altri argomenti (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2010, n. 14385; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2012, n. 7297; Cass., Sez. 5^, 17 maggio 2017, n. 12273; Cass., Sez. 5^, 30 maggio 2017, n. 13567; Cass., Sez. 5^, 31 ottobre 2018, n. 27807; Cass., Sez. 5^, 24 settembre 2019, nn. 23680 e 23681; Cass., Sez. 6^-5, 8 febbraio 2021, n. 2347; Cass., Sez. 6^-5, 26 marzo 2021, n. 8614; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10003);
3.5 in altri termini, stante il percorso vincolato dettato, in relazione alla determinazione del valore delle aree fabbricabili, dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, il giudice del merito, investito della questione della corrispondenza del valore venale attribuito ad un’area fabbricabile, non può esimersi dal verificarne la corrispondenza, tenendo conto dell’anno di imposizione, ai criteri normativi sopra indicati (zona territoriale di ubicazione, indice di edificabilità, destinazione d’uso consentita, oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche), formulando una valutazione di merito che, nella misura in cui risulterà congruamente motivata e rispettosa dei parametri normativi, sarà incensurabile in questa sede (Cass., Sez. 5^, 24 settembre 2019, nn. 23680 e 23681);
3.6 per giurisprudenza consolidata di questa Corte, in tema di ICI, è legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento comunale che, in forza degli artt. 52 e 59 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e 48 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, trattandosi di atto che ha il fine di delimitare il potere di accertamento del Comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’ente impositore ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore, previsti dagli artt. 62-bis e 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, costituenti una diretta derivazione dei “redditometri” o “coefficienti i reddito e di ricavi” previsti dall’art. 12 del d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, ed atteggiantisi come mera fonte di presunzioni hominis, vale a dire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari ISTAT, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 giugno 2010, n. 15555; Cass., Sez. 5^, 13 marzo 2015, n. 5068; Cass., Sez. 6^-5, 12 giugno 2018, n. 15312; Cass., Sez. 5^, 18 dicembre 2020, nn. 29083, 29084, 29085 e 29086; Cass., Sez. 5^, 14 dicembre 2021, nn. 39794 e 39795; Cass., Sez. 5^, 22 marzo 2022, nn. 9187 e 9188; Cass., Sez. 6^-5, 17 novembre 2022, n. 33851; Cass., Sez. 5^, 2 dicembre 2022, n. 35521; Cass., Sez. 5^, 15 febbraio 2023, n. 4814);
3.7 tali parametri non possono ritenersi esclusivi od esaustivi, poiché altri possono in via alternativa essere applicati, purché adeguati ed idonei alla individuazione del valore commerciale (Cass., Sez. 5^, 8 febbraio 2021, n. 2347);
3.8 ne consegue che, essendo fonte di mere presunzioni hominis, la delibera prevista dall’art. 59 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, con la quale il Comune determina periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, non impedisce la rideterminazione dell’imposta dovuta ove l’amministrazione venga in possesso (anche attraverso la consultazione di atti pubblici o privati) di informazioni specifiche idonee a contraddire quelle desunte dai valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche (Cass., Sez. 5^, 28 febbraio 2018, n. 4605; Cass., Sez. 5^, 3 maggio 2019, n. 11643; Cass., Sez. 5^, 31 maggio 2022, n. 17748)
3.9 peraltro, posto che la determinazione periodica per zone omogenee dei valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili deve essere esercitato con un regolamento adottato ai sensi dell’art. 52, comma 1, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, il quale, all’ultimo periodo, prescrive che: «1. (…) Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti», questo inciso impone, quindi, di rispettare, fra l’altro, il disposto dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per il quale il valore delle aree fabbricabili, ai fini ICI, è pur sempre quello «venale in comune commercio»; con la conseguenza che i regolamenti predisposti dagli enti locali per prevenire il contenzioso non possono esonerare gli stessi enti dall’obbligo di determinare l’imposta ai sensi degli atti aventi forza di legge che regolano la materia, che costituiscono una fonte di rango superiore, e, quindi, nel rispetto della regola che impone di accertare l’effettivo valore di mercato dei cespiti (Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2019, n. 28554);
3.10 più in particolare, si è anche detto che, in tema di ICI, ai fini della determinazione del valore imponibile è necessario che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti e tassativi previsti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 504 (che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche) solo laddove si debba pervenire al calcolo del valore venale in comune commercio in mancanza di un valore direttamente riferibile al terreno oggetto di stima; diversamente, nel caso in cui il valore del terreno, e quindi il suo prezzo, sia già assegnato, perché posto in vendita, il valore fissato a quel terreno, considerato congruo o rettificato con avviso di accertamento divenuto definitivo, ne rappresenta il valore venale in comune commercio, sicché la valutazione del giudice del merito che, investito della questione del valore attribuito ad un’area fabbricabile, assuma come parametro oggettivo di riferimento il prezzo dichiarato di acquisto dell’area fabbricabile, motivi congruamente le ragioni per le quali lo stesso debba considerarsi corretto, è incensurabile in sede di legittimità (in termini: Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2017, n. 14118; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2018, n. 11445; Cass., Sez. 5^, 31 ottobre 2018, n. 27807; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2021, n. 2347; Cass., Sez. 6^-5, 15 ottobre 2021, n. 28392; Cass., Sez. 5^, 28 dicembre 2021, n. 41738; Cass., Sez. 6^-5, 28 marzo 2022, nn. 9887, 9889 e 9890; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10003; Cass., Sez. 5^, 31 marzo 2022, n. 10382; Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2023, n. 9311);
3.11 posto, quindi, che la delibera prevista dall’art. 59, comma 1, lett. g), del d.lgs. 15 novembre 1997, n. 446, si deve ritenere conoscibile – al pari di tutti gli atti generali del Comune – dai contribuenti in considerazione del regime di pubblicità legale (Cass., Sez. 5^, 16 marzo 2005, n. 5755; Cass., Sez. 5^, 13 giugno 2012, n. 9601; Cass., Sez. 6^-5, 3 novembre 2016, n. 22254; Cass., Sez. 5^, 25 ottobre 2017, n. 25305; Cass., Sez. 5^, 29 gennaio 2019, n. 2393; Cass., Sez. 5^, 6 febbraio 2019, nn. 3446, 3447 e 3448; Cass., Sez. 5^, 4 novembre 2020, nn. 24536 e 24537; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2021, n. 17403; Cass. Sez. 6^-5, 1 settembre 2022, n. 25774; Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2023, n. 2140; Cass., Sez. 5^, 2 maggio 2023, n. 11449), l’autoliquidazione dell’ICI o dell’IMU non può essere messa in discussione ex post dal contribuente, attraverso un’istanza di rimborso dell’eccedenza versata rispetto alla misura piena, con la mera deduzione dell’ignoranza di una riduzione concessa da tale delibera ad una particolare categoria di suoli edificabili (come, nel caso di specie, alle aree A.T.A. del vigente Piano Regolatore Generale Comunale);
3.12 in particolare, la riduzione accordata dalla predetta delibera (come si desume dalla trascrizione fattane in ricorso, in ossequio al canone dell’autosufficienza) atteneva alla sola determinazione del valore venale dei suoli edificabili, non potendo essere previste riduzioni di imposta dai regolamenti comunali al di fuori delle ipotesi tassativamente previste e consentite dalla legge;
3.13 aggiungasi il valore ostativo dell’art. 4, comma 3, del regolamento comunale, a tenore del quale: «3. Qualora il contribuente abbia dichiarato il valore delle aree fabbricabili in misura superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione dei valori predeterminati ai sensi del comma 1 del presente articolo, al contribuente non compete alcun rimborso relativo all’eccedenza d’imposta versata a tale titolo»;
3.14 tale disposizione del regolamento comunale è coerente con l’esegesi per cui i parametri previsti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, costituiscono un limite minimo per la determinazione del valore venale, che consente, comunque, sia all’ente impositore di accertarlo in misura maggiore sulla base di diversi parametri in relazione alla peculiarità della fattispecie, sia al contribuente di indicarlo in misura maggiore senza la pretesa ad alcun rimborso per l’eccedenza di imposta;
4. alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza del secondo e del terzo motivo, l’infondatezza del primo motivo e l’assorbimento del quarto motivo, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, primo comma, ultima parte, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso originario della contribuente;
5. Le spese dei giudizi di merito possono essere compensate in ragione dell’andamento processuale, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo ed il terzo motivo; rigetta il primo motivo e dichiara l’assorbimento del quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario dell’intimata; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna l’intimata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore del ricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi ed € 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge.
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