Corte di Cassazione ordinanza n. 12835 depositata il 22 aprile 2022
IRAP – omessa dichiarazione – l raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’Irap
RILEVATO CHE
1. La Commissione tributaria provinciale di Milano respinse il ricorso proposto da B.L., quale socio della Consortium di B.L. e s.a.s., ora s.r.l., appartenente al gruppo M., avverso l’avviso di accertamento e relativa cartella di pagamento emessi per il recupero di Irap relativa all’anno 2004, disattendendo tutte le eccezioni formulate e ritenendo che la frode attuata dal gruppo M. fosse consistita nell’avere creato artificiosamente nel 2002 un avviamento del valore di euro 8.236.446,14 le cui quote di ammortamento erano state portate in deduzione nel 2003 e negli anni successivi.
2. Il contribuente, proposto appello, dedusse, tra l’altro, che: a) non era stato socio della Consortium s.r.l., ma amministratore della società dal 20 aprile al 10 luglio 2004 a seguito della fusione per incorporazione della Consortium s.a.s. nella Consortium s.r.l.; b) la notifica dell’avviso di accertamento era inesistente; c) l’Ufficio era decaduto dal potere di accertamento, non essendo consentito il raddoppio dei termini per l’Irap; d) l’avviso era carente di motivazione sia con riguardo alla configurabilità del reato ex d.lgs. n. 74 del 2000, sia con riguardo alla prova della trasmissione della denuncia ex art. 331 cod. proc. civ.; e) non era stato rispettato il termine di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, né era stato notificato un verbale di chiusura delle operazioni di controllo.
L’Agenzia delle entrate replicò che l’atto impositivo era stato emesso all’esito di controllo della società Consortium di B.L. e s.a.s., di cui il B.L. era stato socio con quota pari allo 0,01 per cento, per il periodo d’imposta 1° gennaio – 20 aprile 2004
3. La Commissione tributaria regionale confermò la sentenza di primo grado, rilevando che:
- l’Ufficio aveva dimostrato di avere agito nei confronti del contribuente quale socio della Consortium di B.L. e C. s.a.s. per una frode fiscale attuata dal gruppo M., consistente nella artificiosa creazione nel 2002 di un avviamento del valore di euro 8.236.446, 14, successivamente portato, in deduzione, pro quota, nel 2003 e negli anni successivi; il B.L., a seguito di patteggiamento, era stato condannato in sede penale;
- la notifica degli atti impositiva era rituale, come si evinceva dal relativo avviso di ricevimento firmato dal destinatario, non essendo necessaria ai fini della validità la compilazione della relata;
- in presenza di obbligo di denuncia, il raddoppio dei termini era legittimo a prescindere dalla sua presentazione e fondatezza;
- l’irrogazione delle sanzioni era del tutto legittima;
4. B.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione d’appello, con due motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex 380-bis.1. cod. proc. civ..
L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo d’impugnazione il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione vigente ratione temporis, nonché dell’art. 1, comma 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. civ., e censura la decisione gravata nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto applicabile il cd. raddoppio dei termini.
Essendo pacifico che la dichiarazione relativa all’Irap, asseritamente dovuta dalla Consortium s.a.s. con riferimento al periodo d’imposta 1° gennaio – 20 aprile 2004, era stata presentata in data 25 ottobre 2005, ad avviso del ricorrente, il termine ordinario per la rettifica era scaduto il 31 dicembre 2009, mentre l’avviso di accertamento, presupposto dell’iscrizione a ruolo per Irap e correlative sanzioni, era stato emesso tardivamente in data 30 maggio 2011. Evidenzia, inoltre, che le violazioni della disciplina sull’Irap, non assumendo rilievo penale, non possono configurare i delitti previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, al quale fa riferimento il raddoppio dei termini decadenziali di cui all’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e che in ogni caso non era stata inoltrata comunicazione di notizia di reato ex art. 331 cod. proc. pen. entro il 31 dicembre 2009.
1.1 Il motivo è fondato.
1.2 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, «In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’I.V.A., nella versione applicabile ratione temporis, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della I. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass., sez. 5, 9/08/2016, n. 16728; conf. Cass., sez. 5, 16/12/2016, n. 26037).
1.3 Questa Corte ha avuto cura di precisare: a) che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice; b) che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero, ai sensi dell’articolo 405 cod. proc. pen, mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass., sez. 5, 15/05/2015, n. 9974)» (Cass., sez. 5, 9/08/2016, n. 16728, cit.); c) che su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame, in cui gli atti impositivi risultano notificati in data 30 maggio 2011 – si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto (Cass., sez. 5, 13/09/2018, n. 22337; Cass., sez. 6-5, 14/05/2018, n. 11620; Cass., sez. 6-5, 19/12/2019, n. 33793).
1.4 Si è altresì chiarito che il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’Irap posto che, «non essendo l’Irap un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento quale applicabile ratione temporis» (cfr. Cass., sez. 6-5, 25/08/2017, n. 20435; Cass., sez. 5, 11/03/2016, n. 4775; Cass., sez. 6-5, 7/11/2017, n. 26311; Cass., sez. 6-5, 9/10/2017, n. 23629).
1.5 Vertendosi nel caso in esame in ipotesi di atti impositivi emessi ai fini del recupero di Irap, è del tutto evidente che l’avviso di accertamento è stato tardivamente emesso, considerato che il termine ordinario per la rettifica scadeva, ai sensi dell’art. 43, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, il 31 dicembre del quinto anno successivo alla data di presentazione della dichiarazione Irap (25 ottobre 2005).
2. L’accoglimento del primo motivo consente di dichiarare assorbito il secondo motivo d’impugnazione, con il quale il ricorrente, in via subordinata, ha dedotto la violazione dell’art. 1, comma 2, del lgs. n. 471 del 1997, nella formulazione successiva alla novella introdotta dall’art. 15, comma 1, lett. a), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, e chiesto la rideterminazione delle sanzioni, in forza del principio del favor rei, contestando ai giudici di appello di non avere tenuto conto che l’avviso di accertamento impugnato contiene l’irrogazione immediata delle sanzioni pecuniarie nella misura massima calcolata nella formulazione anteriore rispetto alla novella introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015, che ha ridotto la sanzione massima per l’infedele dichiarazione.
3. Conclusivamente, va accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente Commissione tributaria regionale affinché provveda a nuovo esame alla stregua dei principi sopra richiamati, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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