CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 14975 depositata il 29 maggio 2023

Tributi – Recupero credito IVA indebitamente chiesto a rimborso – Lavori di ristrutturazione di fabbricati ed impianti – Terreno di proprietà di terzi – Acquisto o importazione di beni ammortizzabili – Regime di rimborsabilità – Autonomia procedurale degli Stati membri – Principio di equivalenza e di effettività – Alternatività tra il diritto alla detrazione e il diritto al rimborso IVA – Valutazione dei presupposti – Disponibilità economica del bene 

Fatti di causa

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a B.C.G., esercente l’attività di agriturismo, un atto di recupero del credito iva indebitamente chiesto a rimborso, con conseguente irrogazione delle sanzioni, in quanto le spese sostenute erano relative a lavori di ristrutturazione di fabbricati ed impianti esistenti su di un terreno detenuto in locazione e quindi di terzi; avverso il suddetto atto il contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Brescia; avverso la sentenza del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che sulla questione in esame era intervenuta la pronuncia 11 maggio 2018, n. 11533 delle sezioni unite della Cassazione, con la conseguenza che, in applicazione dei principi in essa affermati, doveva concludersi per la spettanza del diritto al rimborso iva, non costituendo oggetto di contestazione il collegamento strumentale tra le opere realizzate su beni di terzi e l’attività di impresa esercitata e non assumendo rilievo la categoria catastale dell’immobile.

Avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione affidato ad un unico motivo di censura e illustrato con due successive memorie, con cui ha chiesto la rimessione della causa alle sezioni Unite; ha resistito il contribuente depositando controricorso.

Con ordinanza interlocutoria del 6 luglio 2022, la Sesta sezione civile della Corte ha disposto il rinvio della causa alla pubblica udienza attesa la particolare rilevanza della questione, considerato che, con il motivo di ricorso proposto, era stato evidenziato che la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto che la materia del contendere riguardasse il diritto alla detrazione dell’iva mentre la stessa verteva sulla sussistenza o meno del diritto al rimborso.

Ragioni della decisione

Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5, del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 30 comma 3, lett. c), e del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 102 e 103.

Evidenzia parte ricorrente che la sentenza del giudice del gravame ha erroneamente ragionato in termini di diritto alla detrazione iva del contribuente, sebbene la vicenda avesse, invero, riguardato la diversa questione della sussistenza del diritto al rimborso iva chiesto in relazione a spese aventi ad oggetto lavori di ristrutturazione di fabbricati ed impianti insistenti su di un terreno detenuto dal contribuente in locazione.

Sotto tale profilo, precisa parte ricorrente che occorre fare specifico riferimento alla previsione di cui al d.p.r. n. 633 del 1972, art. 30 comma 3), lett. c), secondo cui il diritto al rimborso iva può essere riconosciuto solo relativamente all’acquisto o importazione di beni ammortizzabili, il che presuppone, stante il riferimento normativo di cui al d.p.r. n. 917 del 1986, artt. 102 e 103, a beni strumentali all’attività di impresa di cui gli esercenti hanno il possesso o la titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale.

Evidenzia, quindi, che, dovendo la questione essere ricondotta nell’ambito del diritto al rimborso iva, erroneamente il giudice del gravame ha fatto richiamo ai principi affermati dalle Sezioni Unite con la pronuncia 11 maggio 2018, n. 11533, posto che la stessa ha avuto riguardo alla sola questione del diritto alla detrazione iva, mentre la presente controversia ha riguardo alla diversa questione della sussistenza dei presupposti per ottenere il diritto al rimborso iva che non sarebbero riscontrabili nella fattispecie, in quanto i lavori sono stati eseguiti su beni di terzi e quindi relativamente a beni non ammortizzabili.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione del controricorrente di inammissibilità del motivo in quanto generico e fondato sulle medesime doglianze dell’atto di appello già oggetto di valutazione nel merito: in realtà, quel che parte ricorrente ha prospettato con il presente motivo è la non corretta estensione dei principi giurisprudenziali in materia di diritto alla detrazione iva alla fattispecie, essendo questa relativa al recupero del rimborso iva già operato in favore del contribuente, sicché postula, in diritto, una questione, non sondata dal giudice del gravame, della diversità dei presupposti per potere riconoscere la sussistenza del diritto al rimborso iva.

Con riferimento, quindi, alla questione prospettata, ritiene questa Corte che sussistano i presupposti per la rimessione del ricorso al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della decisione in ordine alla questione in esame.

Va evidenziato, a tal proposito, che parte ricorrente prospetta, in particolare, la violazione del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 30 comma 3, lett. c), e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102 e 103, in quanto il giudice del gravame avrebbe errato nel ritenere legittimo il diritto al rimborso dell’iva dovuta in relazione a beni ammortizzabili su beni di terzi concessi in affitto al contribuente.

A sostegno di tale prospettazione difensiva si argomenta che, con specifico riferimento alla sussistenza del diritto al rimborso iva, la previsione di cui all’art. 30, comma 2, lett. c), cit., dispone che l’iva è rimborsabile solo limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, sicché la suddetta previsione rimanderebbe specificamente al concetto di ammortamento dei beni di cui al d.p.r. n. 917 del 1986, art. 102 e 103 che presuppone il riferimento a beni strumentali dei quali si abbia il possesso a titolo di proprietà, il che comporterebbe la non riconducibilità della fattispecie in esame nell’ambito di applicazione della suddetta previsione normativa, posto che le spese sono state realizzate su beni di terzi, in quanto tali non ammortizzabili dal contribuente.

La questione prospettata involge, necessariamente, una disamina circa i presupposti per il riconoscimento del diritto alla detrazione iva e del diritto al rimborso iva quando le spese sono state sostenute per l’esecuzione di lavori su beni di proprietà di terzi.

Si tratta, invero, di verificare se i presupposti applicativi del diritto alla detrazione iva siano sostanzialmente sovrapponibili a quelli che presiedono al diritto al rimborso iva delle spese sostenute per l’esecuzione di lavori su beni di proprietà di terzi qualora il contribuente abbia un titolo di godimento in forza del quale ha eseguito i lavori.

Il giudice del gravame ha risolto la questione circa la spettanza del diritto al rimborso facendo applicazione dell’orientamento di questa Corte (Cass. civ., sez. un., 11 maggio 2018, n. 11533), secondo cui deve essere riconosciuto il diritto alla detrazione iva per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale.

A tale conclusione, preme precisare, questa Corte a Sezioni Unite è pervenuta facendo applicazione del principio unionale del diritto alla detrazione relativamente a beni che sono comunque strumentali all’attività d’impresa subordinatamente alla riscontrata sussistenza della essenziale condizione del nesso di strumentalità dell’immobile che consenta di evitare a chi è nella sostanza un “consumatore finale” di potere detrarre l’imposta; nesso di strumentalità che viene meno soltanto quando l’attività economica anche potenziale cui avrebbe dovuto accedere non sia stata intrapresa per circostanze non estranee al contribuente.

In particolare, il punto di riferimento sono stati i principi espressi dalla giurisprudenza unionale, che ha più volte ribadito il carattere tendenzialmente assoluto del principio di neutralità dell’imposta (Corte giust. 28 febbraio 2018 C-672/16; Corte giust. 14 settembre 2017 C-132/16; Corte giust. 18 luglio 2013, C-124/12; Corte giust. 29 ottobre 2009 C-29/08).

Da ciò consegue che il diritto alla detrazione, in sostanza, deve essere riconosciuto anche con riferimento alle opere eseguite su beni immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva.

Tuttavia, il suddetto orientamento interpretativo sembra avere definito la questione unicamente sotto il profilo della sussistenza del diritto alla detrazione dell’iva, ma non ha specificamente affrontato la diversa questione, che ora interessa in questo giudizio, circa l’applicabilità del medesimo principio anche nel caso di richiesta di rimborso dell’iva.

L’applicabilità dei principi espressi con la suddetta pronuncia, dunque, al presente giudizio, presuppone che sia configurabile una identità di struttura e di presupposti applicativi tra il diritto alla detrazione iva e quello del diritto al rimborso, profilo del quale la pronuncia censurata dà implicita soluzione nel senso della loro pacifica sovrapponibilità.

Va evidenziato che il legislatore interno, nel d.p.r. n. 633 del 1972, art. 30 dopo avere riconosciuto, al comma 1, il diritto alla detrazione dell’iva, ha previsto che il contribuente può chiedere il rimborso dell’iva indicando specificamente a quali condizioni il suddetto diritto può essere riconosciuto e, ai fini del presente giudizio, ha previsto, al comma 3, lett. c), che il rimborso può essere richiesto “limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili (…)”.

La lettura della suddetta previsione normativa, pertanto, indurrebbe a ritenere che, nella specifica ipotesi di spese sostenute e di cui è chiesto il rimborso iva, debba necessariamente sussistere una stretta correlazione tra le spese sostenute, in relazione alle quali è chiesto il rimborso ai fini iva, e la possibilità di ammortizzare i beni, il che dovrebbe implicare che le spese sostenute debbano essere relative a beni di cui si sia avuto il conseguimento in forza di un titolo di proprietà o di altro diritto reale di godimento che ne consenta la qualificazione di bene ad uso durevole e quindi parte dell’organizzazione permanente dell’impresa, sicché, sotto tale profilo, potrebbe non esservi coincidenza tra strumentalità e ammortizzabilità del bene.

In sostanza, il legislatore interno sembra avere strutturato il regime di rimborsabilità dell’iva in termini limitativi, subordinando il riconoscimento del diritto a determinate e specifiche condizioni, in mancanza delle quali lo stesso non può essere riconosciuto.

Anche la previsione di chiusura di cui al comma 4 dell’art. 30, cit., secondo cui: “Il contribuente anche fuori dei casi previsti nel precedente comma 3 può chiedere il rimborso dell’eccedenza detraibile, risultante dalla dichiarazione annuale, se dalle dichiarazioni dei due anni precedenti risultano eccedenze detraibili: in tal caso il rimborso può essere richiesto per un ammontare comunque non superiore al minore degli importi delle predette eccedenze”, ha inteso imporre, come norma di chiusura, entro quali limiti il suddetto diritto al rimborso può essere riconosciuto, prevedendo, come visto, limiti di ordine quantitativo.

Sul versante del diritto unionale, va evidenziato che l’art. 183, Direttiva 2006/112/Cee, prevede che: “Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite”.

La precisazione contemplata nella previsione normativa in esame, secondo cui per il diritto al rimborso iva occorre tenere conto delle specifiche modalità previste dai legislatori interni, potrebbe avere una duplice lettura: da un lato, nel senso che la norma si limita a lasciare al legislatore interno la determinazione delle sole modalità per procedere al rimborso; d’altro lato, che il legislatore interno sia, altresì, tenuto a disciplinare anche i presupposti applicativi del diritto al rimborso iva, incidendo, in tal modo, sulla stessa individuazione delle condizioni di riconoscibilità del diritto.

Tale ultima prospettiva, dunque, comporterebbe una considerazione a monte di una struttura del diritto al rimborso differente, per presupposti, rispetto a quella sulla quale poggia il diritto alla detrazione dell’iva.

Ponendo, quindi, attenzione alla giurisprudenza unionale sul punto, va osservato che la stessa ha chiarito che “Il diritto a detrazione è tuttavia ammesso a beneficio del soggetto passivo anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce. Spese di tal genere presentano, infatti, un nesso diretto e immediato con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo” (sentenze del 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, EU:C:2009:665, punto 58, e del 18 luglio 2013, A.1, C-124/12, EU:C:2013:488, punto 28).

In questo ambito, va posta attenzione al fatto che il suddetto principio è stato affermato con specifico riferimento al diritto alla detrazione dell’iva, in relazione alla quale soltanto si è posta in luce la necessità della stretta correlazione tra le spese e l’attività di impresa esercitata, sicché, in tal caso, quel che rileva, ai fini del riconoscimento del suddetto diritto, è la strumentalità del bene in relazione al quale sono stati eseguiti i lavori.

Con specifico riferimento, invece, alla materia dei rimborsi iva, la Corte di giustizia (causa C-388/16) ha precisato che l’art. 183 della Direttiva IVA non può essere interpretato nel senso che le modalità stabilite dagli Stati membri ai fini del rimborso dell’eccedenza di IVA siano dispensate da qualsivoglia controllo in riferimento al diritto dell’Unione (sentenze del 12 maggio 2011, E.M.I. 3, C-107/10, EU:C:2011:298, punti 27 e 28, e del 6 luglio 2017, G.A.H., C-254/16, EU:C:2017:522, punto 18).

Da un lato, infatti, l’attuazione del diritto al rimborso dell’eccedenza di IVA previsto dall’art. 183 della Direttiva IVA ricade, di massima, nella sfera dell’autonomia procedurale degli Stati membri, ma tale autonomia è nondimeno inquadrata nei principi di equivalenza e di effettività (v., in tal senso, sentenze del 12 maggio 2011, E.M.I. 3, C-107/10, EU:C:2011:298, punto 29; del 19 luglio 2012, L.R. e a., C-591/10, EU:C:2012:478, punto 27, nonché del 24 ottobre 2013, R.S.R.a, C-431/12, EU:C:2013:686, punto 20).

Dall’altro lato, dalla giurisprudenza della Corte si evince che nell’attuazione del diritto al rimborso dell’eccedenza iva gli Stati membri sono tenuti al rispetto di talune norme specifiche derivate dall’art. 183 della Direttiva IVA, interpretato alla luce del contesto e dei principi generali che disciplinano il settore dell’iva (sentenze del 24 ottobre 2013, R.S.R., C-431/12, EU:C:2013:686, punto 21, e del 6 luglio 2017, G.A.H., C-254/16, EU:C:2017:522, punto 19).

Pertanto, mentre gli Stati membri dispongono indubbiamente di una certa libertà nello stabilire le modalità di rimborso dell’eccedenza iva, dette modalità devono consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da detta eccedenza, ciò che impone che il rimborso sia effettuato entro un termine ragionevole e che, in ogni caso, il sistema di rimborso adottato non faccia correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (sentenze del 12 maggio 2011, E.M.I., C-107/10, EU:C:2011:298, punto 33, e del 6 luglio 2017, G.A.H., C-254/16, EU:C:2017:522, punto 20).

In sostanza, la giurisprudenza unionale, interpretando l’art. 183, cit., riconosce che il diritto al rimborso iva possa avere una disciplina differenziata rispetto a quella che governa il diritto alla detrazione e ha posto l’attenzione sul fatto che, comunque, il legislatore interno non possa prevedere modalità di riconoscimento del suddetto diritto che siano contrastanti con il principio di equivalenza e di effettività.

Sul versante della giurisprudenza interna e con specifico riferimento alla questione in esame, va evidenziata una non uniformità di decisioni sulla questione in esame pronunciate.

Di recente, con la sentenza n. 11 gennaio 2021, n. 215, pronunciando sulla questione del diritto al rimborso dell’iva per le spese sostenute su beni di proprietà di terzi, si è ritenuto che il d.p.r. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, lett. c), deve essere letto, come è ricavabile dai principi affermati con la pronuncia delle Sezioni Unite 11 maggio 2018, n. 11533, del 11/05/2018, alla luce del principio della neutralità dell’IVA, che ha carattere tendenzialmente assoluto (CGUE 28 febbraio 2018, in causa C-672/16; CGUE 14 settembre 2017, in causa C-132/16; CGUE 18 luglio 2013, in causa C-124/12; CGUE 29 ottobre 2009, in causa C-29/08), sicché “il diritto alla detrazione – e, in mancanza, l’alternativo diritto al rimborso – spetta anche con riferimento alle opere eseguite su beni immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva“.

E’ stata, quindi, sostanzialmente affermata una identità di presupposti ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione e del diritto al rimborso iva, dovendosi unicamente volgere l’attenzione al carattere strumentale all’attività di impresa delle opere eseguite.

Questo orientamento era stato già seguito in data antecedente alla pronuncia di questa Corte a Sezioni unite n. 11533/2018.

Con sentenza 5 aprile 2013, n. 8389 (vd. Anche Cass. civ., 28 aprile 2014, n. 9327) pronunciata con riferimento al diritto al rimborso iva su beni ricevuti in locazione, si era, infatti, riconosciuto il suddetto diritto, atteso che: “e’ consentito l’ammortamento per le spese sostenute dall’affittuario per la realizzazione di un impianto turistico su beni altrui, indipendentemente dalla loro autonoma funzionalità o asportabilità al termine del periodo di locazione, purché, come non contestato nella fattispecie, vi sia da parte dell’affittuario l’effettiva utilizzazione di essi – in funzione direttamente strumentale – nell’esercizio dell’impresa e il locatore non operi alcuna deduzione delle quote di ammortamento“.

Tuttavia, anche in data precedente all’intervento a Sezioni unite di questa Corte, si era manifestato un diverso orientamento con la successiva pronuncia 4 dicembre 2015, n. 24779, che aveva ritenuto che non poteva essere riconosciuto il diritto al rimborso iva, atteso che la previsione di cui all’art. 30, comma 2, lett. c), cit., riconosce il suddetto diritto “a condizione che il soggetto passivo di imposta richieda il rimborso all’atto della presentazione della dichiarazione e che l’imposta si riferisca, tra l’altro, ad acquisti di beni ammortizzabili”. Anche successivamente alla pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte, con riferimento alla specifica questione in esame, l’orientamento espresso in sede di legittimità non si è mostrato uniforme.

In particolare, Cass. civ. n. 4 novembre 2020, n. 24518, pronunciando sui presupposti per il riconoscimento del diritto al rimborso dell’iva assolto per spese incrementative e miglioramenti su beni di terzi concessi in comodato, non suscettibili di essere rimossi al termine dell’utilizzo, ha ritenuto che: “la sussistenza delle condizioni per la detrazione dell’iva non implica, di per sé, l’automatico riconoscimento del diritto al rimborso della stessa, in quanto l’innegabile centralità sistematica del principio di neutralità non impone necessariamente un vincolo di biunivocità delle situazioni, tale per cui non si possa dare l’una in difetto dell’altro e viceversa“.

La suddetta pronuncia, in particolare, ha specificato che: “infatti, il diritto al rimborso costituisce una facoltà di natura eccezionale, riservata al contribuente in alternativa all’esercizio, in via ordinaria, del diritto alla detrazione, prevista al fine di consentire agli operatori economici che effettuano operazioni di investimento un più veloce recupero dell’imposta assolta con riferimento ai beni acquistati ed evitare così un aggravio della propria posizione”.

In sostanza, si è posta in evidenza una differenza strutturale tra il diritto alla detrazione e il diritto al rimborso iva derivante dalla natura eccezionale del ricorso al suddetto istituto e, pertanto, giustificando le limitazioni normative al legittimo esercizio del suddetto diritto.

In altre pronunce, invece, si è fatta applicazione dei principi espressi in materia di riconoscimento del diritto alla detrazione dell’iva relativamente a beni che sono comunque strumentali all’attività d’impresa, subordinatamente alla riscontrata sussistenza della essenziale condizione del nesso di strumentalità dell’immobile, anche in fattispecie relative a richieste di rimborso iva (Cass. civ., 22 settembre 2022, n. 27813; Cass. civ., 22 novembre 2021, n. 36014). In particolare, con la pronuncia 22 settembre 2022, n. 27813, tenendo conto del carattere tendenzialmente assoluto dei principio di neutralità, come costantemente affermato dalla Corte di Giustizia (CGUE 28 febbraio 2018 C672/16; 14 settembre 2017 C-132/16; 18 luglio 2013 C-124/12; 29 ottobre 2009 C-29/08), si è affermato che il diritto alla detrazione deve essere comunque riconosciuto in caso di esecuzione di lavori di ristrutturazione o manutenzione su beni immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva e si è fatto espresso richiamo alla pronuncia delle Sezioni Unite 11 maggio 2018, n. 11533.

Con la sentenza 22 novembre 2021, n. 36014, si è fatto richiamo sia ai principi espressi dalle Sezioni Unite che al precedente, sopra menzionato, di cui alla pronuncia n. 215/2021 e, in particolare, si è evidenziato il rapporto di alternatività tra il diritto alla detrazione e il diritto al rimborso iva, poiché “identica è la logica regolatrice”.

Il ragionamento di fondo, posto alla base di queste ultime pronunce, sembra essere rivolto nel senso di una identità strutturale tra i presupposti applicativi del diritto alla detrazione rispetto al diritto al rimborso iva, essenzialmente basato sulla considerazione che quest’ultimo diritto costituisce uno strumento alternativo e, quindi, non autonomo nei suoi presupposti strutturali, rispetto al primo, in aderenza all’unitario principio di neutralità dell’imposta, non valutabile separatamente in sede di applicazione dei due istituti, come costantemente affermato dalla Corte di Giustizia Europea (Corte giust. 28 febbraio 2018 C-672/16; Corte giust. 14 settembre 2017, C-132/16; Corte giust. 18 luglio 2013, C-124/12; Corte giust. 29 ottobre 2009 C-29/08).

Per completezza va evidenziata, altresì, la non piena riconducibilità alla questione in esame dei principi espressi con la pronuncia 4 ottobre 2022, n. 2883, che ha riconosciuto il diritto al rimborso dell’iva ma in una fattispecie in cui il credito chiesto a rimborso aveva riguardo alle spese sostenute per un bene utilizzato dalla società contribuente in forza di un contratto di leasing.

La Corte, in quel caso, ha fatto applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria secondo cui, in applicazione dell’art. 14 par. 1, della direttiva IVA, l’operazione realizzata con la conclusione di un contratto di leasing, relativo ad un bene che preveda o il trasferimento di proprietà al conduttore alla scadenza di tale contratto o che il conduttore disponga delle caratteristiche essenziali della proprietà di detto immobile, e precisamente che gli venga trasferita la maggior parte dei rischi e benefici inerenti alla proprietà legale di quest’ultimo e che la somma delle rate, interessi inclusi, sia praticamente identica al valore venale del bene, sicché va equiparata ad un’operazione di acquisto di un bene di investimento (cfr. Corte Giust., 2 luglio 2015, NLB Leasing; Corte Giust. 16 febbraio 2012, E.A.M.).

In quel caso, dunque, si è data rilevanza alla funzione del contratto di leasing, consistente nel fornire all’utilizzatore la disponibilità economica (con i connessi rischi) del bene oggetto del contratto in modo analogo ad un proprietario, con conseguente anticipazione, ai fini fiscali, dell’effetto traslativo al momento di effettiva consegna del bene, così come imposta dall’art. 14 par. 1, della Direttiva IVA, secondo il quale, per identificare il concetto di “cessione di beni”, occorre fare riferimento al trasferimento non della disponibilità giuridica del bene, ma di quella economica (“trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario”).

In sostanza, la questione della sussistenza del diritto al rimborso iva in caso di realizzazione di opere su beni altrui era stata già definita in senso non uniforme dalla giurisprudenza di questa Corte prima della pronuncia a Sezioni Unite; anche dopo la suddetta pronuncia, peraltro, la specifica questione è stata risolta, ancora una volta, in senso parimenti non uniforme.

Alla base di questa diversità di pronunce sembra presiedere una diversificazione di impostazione in ordine ai presupposti di riconoscimento del diritto alla detrazione dell’iva ovvero del diritto al rimborso.

La pronuncia delle Sezioni Unite n. 11533-2018  è stata resa in relazione alla questione del recupero iva in quanto indebitamente detratta ed ha, quindi, affermato solo con riferimento a tale fattispecie il principio secondo cui deve riconoscersi il diritto alla detrazione iva per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva.

E’ in relazione a questa specifica ipotesi che, in particolare, si è fatta applicazione del carattere tendenzialmente assoluto del principio di neutralità dell’imposta come costantemente predicato dalla medesima Corte di Giustizia.

La suddetta pronuncia, pertanto, non ha esaminato la diversa questione, di cui è causa nel presente giudizio, in cui non si pone un problema di diritto alla detrazione dell’iva ma di sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto al rimborso dell’iva.

Tuttavia, come visto, alcune pronunce successive hanno ritenuto di potere estendere il principio affermato anche relativamente alla questione del diritto al rimborso iva, ragionando in termini di applicazione generalizzata del principio di neutralità, mentre altro orientamento ha espresso un convincimento diverso, precisando che la sussistenza delle condizioni di detrazione dell’iva non implica, di per sé, l’automatico riconoscimento del diritto al rimborso della stessa, in quanto l’innegabile centralità sistematica del principio di neutralità non impone necessariamente un vincolo di biunivocità delle situazioni, tale per cui non si possa dare l’una in difetto dell’altro e viceversa, tenuto conto del fatto che il diritto al rimborso costituisce una facoltà di natura eccezionale, riservata al contribuente in alternativa all’esercizio, in via ordinaria del diritto alla detrazione.

I due diversi orientamenti, pertanto, con riferimento ai presupposti per il diritto al rimborso dell’iva in caso di realizzazione di opere su beni di terzi di cui si abbia la detenzione, poggiano su due basi di partenza differenti che ne hanno condizionato la diversità di soluzione alla questione in esame: da un lato, si è fatto riferimento alla necessaria applicazione del principio di neutralità dell’iva che, pertanto, non può condurre ad una differenziazione tra il diritto alla detrazione dell’iva ed il diritto al rimborso dell’iva, essendo tali istituti, pertanto, strutturalmente identici e, quindi, suscettibili di identico trattamento; d’altro lato, si è fatto riferimento alla diversità strutturale del diritto al rimborso dell’iva, configurato quale fattispecie di applicazione eccezionale nell’ambito della più complessa ed articolata disciplina della tutela del contribuente, in quanto tutela suscettibile di previsioni normative più limitative quanto alle modalità di esercizio.

La sussistenza, quindi, di contrasti giurisprudenziali di questa Corte in ordine alla questione in esame nonché il rilievo nomofilattico della stessa, poiché implica una valutazione in ordine alla struttura ed ai presupposti applicativi del diritto alla detrazione iva e del diritto al rimborso iva, induce a ritenere necessaria la rimessione degli atti processuali al Primo Presidente perché valuti l’opportunità di rimettere l’esame della questione, per cui è causa, alle Sezioni Unite Civili.

P.Q.M.

Rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della presente causa alle Sezioni Unite civili.