Corte di Cassazione ordinanza n. 16199 depositata l’ 8 giugno 2023

danni da cosa in custodia – 

Svolgimento dei processo

1. La Corte d’appello di Cagliari ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta da A.A. contro il Comune di (Omissis) per i danni subiti a seguito dell’incidente occorsogli il giorno (Omissis), alle ore (Omissis), allorchè, mentre transitava a piedi nel parcheggio antistante allo stabilimento balneare dei vigili del fuoco di (Omissis), era caduto a causa di una “frattura del manto stradale”, causata dal non perfetto ripristino di uno scavo, all’evidenza eseguito per intervenire sui sottoservizi, non riparata, nè segnalata.

Conformemente al primo giudice la Corte cagliaritana ha ritenuto che l’evento fosse causalmente ascrivibile in via esclusiva alla condotta disattenta del danneggiato, tale da configurare “caso fortuito” escludente la responsabilità dell’ente.

Ha in particolare rilevato che “la presenza sull’asfalto dell’ampia frattura era chiaramente percepibile, data la differenza di colore del tratto privo di asfalto rispetto al resto della zona interessata, per cui l’incidente si era verificato per colpa del A.A., posto che la caduta sarebbe stata facilmente evitabile con l’adozione delle regole di normale prudenza”.

Posto, inoltre, che, per tradizione giuridica, con l’espressione caso fortuito “si designa l’evento che non poteva essere in alcun modo previsto o, se prevedibile, non poteva essere in alcun modo prevenuto (Cass. 2017/25837)”, ha osservato che, “nel caso in esame, la frattura della sede stradale (tra l’altro destinata alla sosta delle auto) era chiaramente visibile, vuoi in considerazione del contrasto cromatico tra il colore chiaro della stessa rispetto all’asfalto, vuoi tenuto conto delle sue dimensioni della stessa, lunga diversi metri, larga non meno di 70 cm, profonda dai 3 ai 7 cm, con fondo in parte terroso in parte cementizio”.

Ha infine espressamente condiviso anche l’ulteriore rilievo del primo giudice secondo cui la ridotta visibilità della zona “avrebbe semmai imposto una maggiore cautela, da parte del A.A., (che) avrebbe dovuto tenere una condotta maggiormente attenta e adeguata alla circostanza”.

2. Avverso tale decisione A.A. propone ricorso per cassazione con tre mezzi, cui resiste il Comune di (Omissis), depositando controricorso.

E’ stata fissata la trattazione per la odierna adunanza camerale con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti. Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 e.: la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere la responsabilità dell’ente comunale sulla base della “mera presunzione di prevedibilità ed evitabilità dell’evento da parte dell’attore”; secondo il ricorrente, i giudici del merito avrebbero dovuto indagare e verificare quali misure il custode aveva adottato nel caso concreto ed hanno invece finito con l’addossare sul danneggiato l’onere della prova dell’insussistenza della colpa.

2. Con il secondo motivo denuncia, con riferimento all’art. 360, comma 1, num. 5, c.p.c., “omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione”, per avere la Corte d’appello omesso di verificare – sebbene a tanto sollecitata con i motivi di gravame – quali accortezze in concreto avesse attuato il custode per neutralizzare la fonte di pericolo.

3. Con il terzo motivo deduce, infine, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2051 c.c.., per avere la Corte territoriale analizzato esclusivamente il comportamento negligente del danneggiato, omettendo di verificare se la condotta in concreto tenuta dal danneggiato fosse o meno prevedibile dal custode.

4. I motivi congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione sono in parte infondati, in parte inammissibili.

4.1 Com’è noto, questa Corte, sottoponendo a revisione i principi in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2477- 2483, che:

a) l’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicchè incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima;

b) la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c. salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso;

c) il caso fortuito, il quale può essere rappresentato da fatto naturale o del terzo, o dalla stessa condotta del danneggiato, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere;

d) la condotta del danneggiato, il quale entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1277, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dalla Cost., art. 2;

e) ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

4.2 Questi principi, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata (v., tra le altre 12/11/2020, n. 25460; 29/01/2019, n. 2345; 03/04/2019, n. 9315), sono stati anche confermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la decisione n. 20943 del 30/06/2022, e sono stati da ultimo ribaditi, con alcune precisazioni concettuali per la avvertita necessità di apportare un “definitivo contributo chiarificatore”, da Cass. 27/04/2023, n. 11152; 05/05/2023, n. 11942; 11/05/2023 n. 12960 (tutte decise nella stessa udienza del 30/03/2023).

4.3 Per quel che nella specie rileva, con particolare riferimento alla condotta colposa del danneggiato, è stato precisato che, sul piano della struttura della fattispecie, non su quello degli effetti (ai quali essenzialmente attengono i principi surrichiamati, ribaditi dalle Sezioni Unite), mentre il caso fortuito, rappresentato dal fatto naturale, si pone in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano quale fatto umano caratterizzato dalla colpa (art. 1227, comma 1), con rilevanza causale esclusiva o concorrente rispetto all’evento di danno, intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed imprevenibile.

Tale condotta si pone in relazione causale con l’evento di danno e va valutata dal giudice di merito alla luce dei principi fissati:

a) nell’art. 41, primo e comma 2, c.p., a mente dei quali “Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento/ Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento“;

b) nell’art. 1227, comma 1, a mente del quale “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate“.

L’art. 41, comma 1, c.p. enuncia il principio secondo cui un fatto è causa dell’evento quando costituisce una delle condizioni necessarie perchè quest’ultimo si verifichi, e che tale nesso non è escluso quando concorrono altre condizioni preesistenti, simultanee o sopravvenute.

Tale formulazione esprime senza dubbio l’adesione alla teoria condizionalistica o dell’equivalenza causale, di cui è già espressione l’art. 40: ciascun fattore assume rilievo condizionante quando presenta un ruolo logicamente essenziale, necessario, ineliminabile ai fini della realizzazione dell’evento; le condizioni, d’altra parte, si caratterizzano per tale relazione di necessità rispetto all’evento e sono quindi tra loro equivalenti.

Tale principio-base deve però essere coordinato con la norma, di portata apparentemente eccentrica rispetto ad esso, posta dal comma 2, a mente del quale “le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento“.

L’opinione largamente prevalente, fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, ritiene che l’unico modo per conferire un senso alla formula è quello di ritenere che si parli di fattori sopravvenuti che non siano realmente – sul piano strettamente logico – gli unici a entrare nella serie causale che determina l’evento, e costituiscano in realtà delle concause giacchè, se ci si trovasse di fronte a cause dotate di piena autonomia, la disposizione sarebbe inutile, ovvia e ripetitiva degli artt. 40, comma 1, e 41, comma 1.

Si ritiene dunque, in prevalenza, che la norma intenda svolgere una funzione limitativa rispetto al principio di equivalenza causale espresso nel comma precedente, alludendo a concause qualificate, capaci di assumere su di sè, da un punto di vista “normativo”, la spiegazione dell’imputazione causale, e che, per ciò stesso, non escluda ma anzi presupponga l’esistenza di un collegamento naturalistico con il preesistente fattore causale (ossia, per converso, la non completa autonomia e indipendenza del percorso causale sopravvenuto, posto che, se vi fosse invece tale completa autonomia, l’esclusione del nesso causale, come detto, dovrebbe affermarsi già in ragione degli artt.  40, comma 1, e 41, comma 1, c.p., e rimarrebbe privo di significato il comma 2 di tale ultimo articolo).

Le citate disposizioni, dunque, accolgono la teoria della condicio sine qua non ma vi apportano limitazioni rese necessarie dall’esigenza di evitare la proliferazione indiscriminata dell’imputazione del fatto, per effetto dell’eccessiva ampiezza del nesso di condizionamento determinato dal principio di equivalenza causale.

La formula legale, tuttavia, non chiarisce in alcun modo quando si realizza la preponderanza della causa sopravvenuta idonea ad escludere l’imputazione oggettiva al fatto considerato, dando così adito al proliferare di varie teorie (causalità umana; causalità adeguata; teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento; scopo della norma violata; aumento del rischio).

La giurisprudenza civile di questa Corte è al riguardo ferma nel prediligere il criterio della cosiddetta causalità adeguata o della regolarità causale, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione ex ante – del tutto atipici e inverosimili, e come tali non prevedibili nè evitabili (tra le molte, Cass. Sez. U. n. 576 del 2008).

4.4 A tale criterio fa riferimento la giurisprudenza di questa Corte nell’indicare il discrimine tra le ipotesi in cui il fatto colposo del danneggiato è mera concausa (come tale rilevante solo ai sensi e per gli effetti dell’art. 1227, comma 1, c.c..) e quello in cui è, invece, causa esclusiva (art. 41, comma 2, c.p.

E’ stato in tal senso affermato, infatti, che:

  • in tema di responsabilità per danni da cosa in custodia, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l’agire umano, non basta a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti come “caso fortuito” e, dunque, per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed inevitabilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa (v. 16/02/2021, n. 4035);
  • la eterogeneità tra i concetti di “negligenza della vittima” e di “imprevedibilità” della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che la condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima, ferma la sua rilevanza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1227, comma 1, c.c., non è di per sè sufficiente ad escludere del tutto la responsabilità del custode, occorrendo anche che si tratti di condotta non prevedibile nè prevenibile (v. Cass. 31/10/2017, n. 25837; v. anche Cass. n. 26524 del 20/11/2020).

4.5 Ebbene, ferma la precisazione dianzi fatta – secondo cui, sul piano della struttura della fattispecie, la condotta colposa del terzo o del danneggiato non costituisce propriamente caso fortuito (designando questo il fatto naturale che interviene a monte del processo causale incidendo sulla res) ma, quale fatto umano connotato da colpa, si pone in relazione causale diretta con l’evento (esclusivo o concorrente) – va tuttavia confermato il criterio logico­ normativo in tali precedenti evocato a presidio del giudizio di causalità (materiale) e, dunque, di imputazione dell’evento, in via esclusiva o concorrente, occorrendo solo ulteriormente avvertire che, nel primo caso (causa esclusiva), appare improprio descrivere tale relazione in termini di  “interruzione  del  nesso  tra  cosa  e  danno”,  trattandosi  piuttosto  della concretizzazione del principi0 disciplinato dall’art. 41., comma  21 c.p.,  che relega il nesso condizionalistico pur sempre esistente tra rese l’evento al rango di mera occasione.

5. Tutto ciò premesso, va rilevato che, nel caso di specie, quest’ultima valutazione, diversamente da quanto postulato dal ricorrente, col terzo motivo, deve ritenersi compiutamente operata dal giudice a quo nel rispetto dei principi esposti.

La Corte territoriale, infatti:

a) da un lato, si è prospettata correttamente i termini della questione, se non sul piano strutturale (stante il ripetuto improprio accostamento della condotta colposa del danneggiato alla nozione di caso fortuito), almeno sul piano della individuazione della quaestio iuris e del governo degli effetti della fattispecie, là dove (v. sentenza, pag. 5, penultimo cpv.), proprio richiamando l’arresto di n. 25837 del 2017, evidenzia che – onde valutare se la condotta del danneggiato assumesse oppure no nella specie rilevanza causale esclusiva – occorreva verificare se la stessa poteva essere in alcun modo prevista o prevenuta;

b) dall’altro, nel cpv. immediatamente successivo, intende chiaramente dare risposta a tale quesito nel senso della non prevedibilità della condotta del danneggiato: valutazione quest’ultima bensì motivata con esclusivo riferimento alla “chiara visibilità” della difettosa conformazione del manto stradale, ma nell’intento (reso chiaro dal raffronto con il cpv. precedente) di porre tale circostanza non a fondamento del solo giudizio di imprudenza e negligenza della condotta del danneggiato, bensì della sua non prevedibilità e non prevenibilità secondo regolarità causale.

Appare in altre parole implicita in queste considerazioni l’esclusione che la condotta del danneggiato potesse considerarsi un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.

6. Le altre censure (di cui al primo e secondo motivo) si appalesano poi eccentriche rispetto al fondamento oggettivo della dedotta responsabilità, non avendo in esso alcun rilievo, come detto, l’indagine circa il carattere diligente della condotta del custode e, dunque, nella specie, di quello che avrebbe potuto o dovuto fare per rimediare alla malformazione del manto stradale.

7. A fortiori va detta inammissibile la denuncia del vizio di omesso esame ex 360 c.p.c., n. 5, sia perchè preclusa, ex art. 348-ter ult. comma c.p.c. dall’essere la decisione d’appello confermativa di quella di primo grado e fondata su conforme ricostruzione della fattispecie concreta, sia perchè comunque estranea al relativo paradigma censorio, la doglianza inerendo non già ad un fatto storico quanto piuttosto ad una mera prospettazione difensiva, peraltro come detto eccentrica rispetto al prospettato fondamento della pretesa risarcitoria.

8. Il ricorso deve essere quindi rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2007, n. 115,. art . 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembr·e 2012, n. 228, art.1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, in Euro 2.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 ciel 2007, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2017, n. 228,. art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.