Corte di Cassazione ordinanza n. 16479 depositata il 23 maggio 2022
IVA – momento impositivo delle prestazioni di servizio
Fatti di causa
Emerge dalla sentenza impugnata che l’Agenzia delle entrate ha irrogato alla s.p.a. M. Holding sanzioni per l’anno 2005 perché sebbene la società avesse provveduto al pagamento delle prestazioni di servizio svolte dalla controllata M. 3 A. s.r.l. nel 2005, a fronte dell’omissione della fatturazione da parte della prestatrice, la contribuente ha provveduto ad autofatturare le prestazioni soltanto nel 2008.
La s.p.a. M. Holding ha impugnato il provvedimento d’irrogazione delle sanzioni ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, e quella regionale della Lombardia ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia.
A sostegno della decisione il giudice d’appello ha rilevato che la contribuente svolgeva nel periodo in questione la funzione di tesoreria accentrata del gruppo M., e ha ritenuto che l’Agenzia non avesse fornito la prova che le movimentazioni finanziarie riscontrate, che ben potevano essere çJiustificate dall’interesse di evitare scoperti bancari delle controllate, rispondessero in realtà allo scopo di pagare i servizi resi dalla s.r.l. M. 3 A..
Contro questa sentenza propone ricorso per ottenerne la cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida a due motivi, cui la contribuente replica con controricorso. Il giudizio proviene da adunanza camerale, in esito alla quale è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo al fine della trattazione in pubblica udienza, in prossimità della quale la società ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 6 e 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dei principi in materia di abuso del diritto nel settore dell’iva e delle altre imposte armonizzate.
Da un lato, secondo la ricorrente la contribuente non chiedeva corrispettivi dovuti dalla propria cliente, e contemporaneamente s’indebitava per un eguale importo, evitando di far valere la compensazione, all’unico scopo di evitare la perdita del diritto di detrazione, poiché l’emissione delle fatture avrebbe comportato, per il meccanismo del pro rata, l’indetraibilità dell’iva pagata sugli acquisti in misura corrispondente all’incidenza delle operazioni in
questione, esenti, sul fatturato complessivo dell’impresa.
Dall’altro lato, tuttavia, l’Agenzia sottolinea che le parti avevano realizzato un meccanismo tale da produrre il medesimo effetto economico di un pagamento, pur senza provvedervi formalmente.
1.1.- La prospettazione è intrinsecamente contraddittoria, in quanto per un verso si sostiene che il pagamento nella sostanza vi sia stato, mediante il congegno dei movimenti finanziari avvenuti per mezzo del cash pooling, ma, per altro verso, si assume che sia stata proprio l’assenza di pagamento, che si è riverberata sulla mancanza di esigibilità dell’imposta, a propiziare il meccanismo di abuso del diritto.
2.- La censura si rivela quindi in parte inammissibile e in parte infondata.
Essa è inammissibile nella parte in cui si reputa che movimenti di cash pooling abbiano comportato nella sostanza il pagamento delle prestazioni che la contribuente ha ricevuto dalla controllata.
E ciò perché col motivo di ricorso in questione l’Agenzia non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata: la Commissione tributaria regionale ha evidenziato che, proprio perché gli spostamenti finanziari ben possono essere giustificati dall’esigenza della controllante di evitare scoperti bancari della controllata, non è stata fornita la prova che, nel caso in esame, essi abbiano, invece, trovato causa nel pagamento dei servizI resi dalla controllata e ricevuti dalla controllante.
2.1.- In effetti, il contratto di cash pooling, evocato dalla Commissione tributaria regionale mediante il riferimento alla funzione di tesoreria accentrata, consiste in un contratto di conto corrente intersocietario in virtù del qualEi una società (pooler), solitamente la capogruppo, si assume l’onere di gestire un conto corrente accentrato intestato a proprio nome (pool account) in cui confluiscono, in tempi prestabiliti, i saldi, sia positivi sia negativi, dei conti correnti delle società del gruppo aderenti. L’adesione al conto corrente intersocietario di norma prevede l’impegno delle società aderenti a considerare indisponibili i crediti maturandi fino al termine del contratto, che regola modalità e termini di trasferimento dei saldi periferici al pool account e la successiva restituzione della liquidità in capo alle singole società. Si tratta, quindi, della tenuta della cassa comune tra due o più società che, di là dalle modalità di gestione, adempie la funzione di escludere o di limitare l’accesso al credito bancario, finanziando l’impresa partecipante alla cassa comune con gli attivi di cassa clell’altra o delle altre imprese, in rispondenza ai principi contabili nazionali (OIC14) (Cass. n. 20332/19, punto 5.1.).
Funzione e fisionomia del contratto comportano quindi effettivamente la necessità di una rigorosa prova della causale delle movimentazioni, in armonia, del resto, coi principi generali che regolano il riparto dell’onere della prova nei rapporti di conto corrente (sui quali, tra le più recenti, Cass. n. 22387/21); laddove nel caso in esame il giudice d’appello ha ritenuto, con statuizione non aggredita, che la prova in questione non sia stata fornita dall’Agenzia, che ne era onerata, perché ha fondato su quelle movimentazioni la propria pretesa.
3.- La censura è poi infondata in relazione all’altro versante in cui è prospettata.
Come questa Corte ha già evidenziato in relazione a fattispecie similare (si veda Cass. n. 25455/21), il pagamento delle prestazioni di servizio determina l’esigibilità dell’imposta, ossia l’attitudine attuale dell’imposta ad essere pretesa da parte dell’erario. Sicché, con riguardo alla normativa italiana, la giurisprudenza unionale ha stabilito che l’art. 6, comma 3, del d.P.R. n. 633/72, là dove attribuisce rilevanza a fini impositivi, quanto alle prestazioni di servizi, al dato del pagamento del relativo corrispettivo, non contrasta con l’art. 10 della sesta direttiva proprio «in quanto questa disposizione, pur identificando il fatto generatore dell’imposta con l’esecuzione della prestazione, consente tuttavia agli Stati membri di stabilire che l’imposta diventi esigibile, per tutte le prestazioni, solo con l’incasso del corrispettivo» (Corte giust. 26 ottobre 1995, causa C-144/94): la norma nazionale deve quindi essere necessariamente intesa nel senso che la ficta identificazione con il pagamento del corrispettivo («le prestazioni di servizio si considerano effettuate… ») investe il compimento della prestazione con riferimento alla sua rilevanza ai fini dell’esigibilità dell’imposta.
3.1.- Il pagamento del corrispettivo identifica quindi l’estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione (in termini, Cass. n. 9064/21): se il legislatore dell’Unione avesse voluto che il diritto a detrazione sorgesse invariabilmente al momento della cessione di beni o della prestazione di servizi, avrebbe potuto collegare il momento in cui sorge il diritto a detrazione al fatto generatore dell’imposta, che non è modificato dalle norme speciali di cui agli articoli da 64 a 67 della direttiva iva, invece che al momento in cui l’iva diventa esigibile, che è soggetto a tali norme (Corte giust. causa C-9/20, Grundstucksgemeinschaft Kol/austraBe 136, punto 58).
Per conseguenza, nel caso in esame, la mancanza di prova del pagamento del corrispettivo si è riverberata sulla mancanza di prova del superamento dell’estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione e, per conseguenza, dei presupposti di applicazione dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471/97.
4.- L’adombrato abuso del diritto è rimasto poi relegato al piano delle asserzioni: anzitutto perché il principio della neutralità fiscale non consente una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite (Corte giust. causa C-455/98, Salumets e c., punto 19; causa c- 158/99, Coffeeshop «Siberie», punti 14 e 21; cause C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling, punto 50); ma poi, in particolare, perché la circostanza valorizzata dall’Agenzia, ossia l’addebito di interessi di mora soltanto in epoca successiva alla chiusura del controllo, non è di per sé significativa, in mancanza di ulteriori specificazioni, alla luce delle possibili configurazioni del contratto di cash pooling, che annoverano, secondo le prassi aziendali, oltre al cd. notional cash pooling, generante interessi attivi a carico della capogruppo/tesoriere e a favore delle partecipate/gestite, anche il cd. zero balance cash pooling, che, invece, azzera le partite di dare e avere e 9enera, in alcune ipotesi, al massimo un aggio a favore della capogruppo e a carico delle partecipate per il servizio di tesoreria svolto (ancora Cass. n. 20332/19, loc. cit.).
Il motivo va quindi respinto.
5.- Il che determina l’assorbimento del secondo, col quale si denuncia per altro profilo la violazione o falsa applicazione dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471/97, nonché la falsa applicazione dell’art. 10 della I. n. 212/00.
Il ricorso è rigettato.
I profili di novità delle questione comportano, tuttavia, l’integrale compensazione delle spese di lite.
Per questi motivi
rigetta il ricorso e compensa le spese.
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