CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 16589 depositata il 12 giugno 2023
Lavoro – Avvocato iscritto all’Ordine degli avvocati di Berlino – Iscrizione Cassa previdenziale forense tedesca – Comunicazioni reddituali alla Cassa Nazionale forense – IRPEF – IVA – Esonero obbligo della comunicazione – Diritto di stabilimento – Rigetto
Rilevato che
la Corte d’appello di Milano, a conferma della pronuncia del Tribunale della stessa città, ha dichiarato A.P., avvocato iscritta all’Ordine degli avvocati di Berlino e alla Cassa previdenziale forense tedesca, non tenuta a comunicare alla Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza forense l’ammontare dei redditi IRPEF dichiarati per l’anno precedente nonché il volume complessivo degli affari dichiarato ai fini IVA per il medesimo anno, così come stabilito dall’art. 17 della legge n. 576 del 1980;
la Corte territoriale, richiamata la giurisprudenza di legittimità in merito alla questione concernente l’eventuale obbligo di invio della predetta comunicazione, ne ha escluso l’imposizione a carico del professionista cittadino di uno Stato europeo iscritto all’albo del Paese di provenienza e alla relativa cassa previdenziale;
la cassazione della sentenza è domandata dalla Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza forense sulla base di un unico motivo;
A.P. ha depositato tempestivo controricorso, illustrato da successiva memoria;
all’Adunanza il Collegio si è riservato il termine di 60 giorni per il deposito dell’ordinanza (art. 380 bis 1, secondo comma cod.proc.civ.).
Considerato che
con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 e 22 della l. 20.09.1980 n. 576”; il motivo invoca la generalizzata obbligatorietà della comunicazione reddituale; afferma che la norma esonerativa di cui al D.M. 22.05.1997 (art. 1, n. 1 e 4), contenente il regolamento per l’applicazione della l. n. 576 del 1980, artt. 17 e 18, esenta dall’obbligo delle comunicazioni i soli iscritti ad albi professionali preposti all’esercizio di professioni diverse in ambito nazionale e alle relative casse;
il motivo non merita accoglimento;
la L. n. 576 del 1980, all’art. 17, prevede che “Tutti gli iscritti agli albi degli avvocati e dei procuratori, nonché i praticanti procuratori iscritti alla Cassa devono comunicare alla Cassa con lettera raccomandata, da inviare entro trenta giorni dalla data prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, l’ammontare del reddito professionale di cui all’art. 10 dichiarato ai fini dell’IRPEF per l’anno precedente nonché il volume complessivo d’affari di cui all’art. 11 dichiarato ai fini dell’IVA per il medesimo anno. Chi non ottempera all’obbligo di comunicazione di cui ai precedenti commi o effettua una comunicazione non conforme al vero, è tenuto a versare alla Cassa, per questo sol fatto, una penalità pari a metà del contributo soggettivo minimo previsto per l’anno solare in cui la comunicazione deve essere inviata…“;
il Collegio, in conformità ad analogo precedente (v. Cass. n. 233 del 2006, confermata da Cass. n.24784 del 2009), ritiene che tale norma vada interpretata nel senso che il presupposto dell’obbligo di comunicazione è costituito non solo dalla iscrizione all’albo degli avvocati, ma anche dal concorrente requisito dell’iscrizione alla Cassa di previdenza, per essere tale requisito riferibile non solo ai praticanti procuratori, ma anche agli iscritti all’albo degli avvocati; in realtà, se la ratio dell’obbligo in questione, connesso all’iscrizione alla Cassa, può ravvisarsi nell’utilità per quest’ultima di conoscere i flussi di reddito professionale degli iscritti all’albo degli avvocati, destinatari o potenziali destinatari delle prestazioni previdenziali erogate dalla Cassa stessa ed, in ogni caso, soggetti all’obbligo del contributo soggettivo, la previsione di analogo obbligo risulterebbe irragionevole, e tale da ingenerare dubbi di costituzionalità, ove riferibile (come nel caso in esame) a soggetti che, in quanto non iscritti alla Cassa, perché esonerati dal relativo obbligo, non potrebbero essere destinatari delle relative prestazioni, ne’ soggetti ai previsti obblighi contributivi;
di tale interpretazione (secondo quanto già osservato da questa Suprema Corte nella giurisprudenza sopra richiamata) danno conferma, peraltro, le stesse “istruzioni” impartite dalla Cassa per la compilazione dei modelli di dichiarazione, nelle quali si individua, quale ipotesi di fattispecie eccettuata dalla comunicazione, quella degli avvocati iscritti in altri albi professionali e nelle relative casse di previdenza, in coerenza con quanto prescritto dal D.M. 22 maggio 1997 (“Regolamento per l’applicazione della L. 20 settembre 1980, n. 576, artt. 17 e 18 come modificati dalla L. 11 febbraio 1992, n. 141, artt. 9 e 10”), a norma del quale “Gli avvocati ed i procuratori iscritti anche in altri albi professionali e alle relative casse previdenziali, che abbiano esercitato l’opzione a favore di una di tali casse, se prevista, non hanno l’obbligo di inviare le prescritte comunicazioni. Essi devono provare l’avvenuto esercizio dell’opzione per escludere gli obblighi contributivi e dichiarativi”;
da ciò discende, in perfetta armonia con la ratio – oltre che con la lettera della disciplina in esame – che anche l’avvocato appartenente ad un Paese dell’Unione europea iscritto all’albo del Paese di provenienza, nonché alla relativa cassa previdenziale estera deve ritenersi destinatario della disposizione esonerativa dell’obbligo dichiarativo, voluta dalla stessa Cassa, ed, al tempo stesso, che l’opposta interpretazione, in quanto ritroverebbe la sua esclusiva giustificazione nella nazionalità estera del professionista, ancorché cittadino europeo, o, in altri termini, nel rilievo che verrebbe ad assumere solo l’iscrizione in albi nazionali, sarebbe idonea a determinare una discriminazione sulla base della nazionalità, ed un pregiudizio per la libertà di stabilimento, in violazione dei principi del Trattato (artt. 12, 43);
giova in proposito rammentare come, sulla base dell’ampia nozione di restrizione al diritto di stabilimento, vietato dall’art. 43 (nella sua portata specificativa del più generale divieto di trattamenti discriminatori), accreditata dalla Corte europea di giustizia, si configurano quali restrizioni fondate sulla nazionalità tutte quelle disposizioni previste negli ordinamenti nazionali che siano “suscettibili di porre i cittadini di altri Stati membri in una situazione di fatto e di diritto sfavorevole” rispetto a quella di cui godono coloro che hanno la cittadinanza dello Stato ospitante (Corte di Giust. CE 255/97); dalla corretta applicazione di tale pilastro fondante dell’ordinamento europeo discende che lo Stato di stabilimento deve astenersi dall’adottare o applicare misure che prevedono un regime differenziato sulla base della nazionalità, e che si traducano in discriminazioni dirette o palesi, ovvero simulate o indirette, allorché l’applicazione di criteri neutri sul piano della nazionalità determini, comunque, un obiettivo svantaggio per i cittadini di altri Stati membri (cfr. Corte Giust. CE 22/80); tale principio – giova soggiungere – risulta provvisto di effetto diretto, ossia è direttamente attributivo di diritti suscettibili di tutela innanzi ai giudici nazionali, i quali sono tenuti a disapplicare qualsiasi disposizione di portata generale, posta da autorità statali o da organizzazioni professionali riconosciute dallo Stato, idonea a contrastarne la piena ed effettiva realizzazione (cfr. Corte Giust. CE 21.6.1974, 2/74; 28.1.1986, 270/83; 15.2.1977, C – 53/95);
in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore di A.P., che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1.000,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della l. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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