CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 16858 depositata il 13 giugno 2023
Lavoro – Personale non medico degli istituti universitari – Servizio presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle università – Indennità – Equiparazione al trattamento economico del personale non medico ospedaliero di pari mansioni ed anzianità – Assimilazione del personale universitario a quello del SSN – Prestazione di un’attività funzionale a quella medica – Accoglimento
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 7 ottobre 2008 presso il Tribunale di Padova C.D., A.G. e D.S. hanno esposto che:
erano dipendenti dell’Università degli Studi di Padova, assegnati a cliniche o istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con l’Azienda ospedaliera di Padova;
l’art. 1 della legge n. 200 del 1974 e l’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 avevano previsto che il personale delle cliniche e degli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dall’Università ricevesse un’indennità nella misura occorrente ad equiparare il loro trattamento economico complessivo a quello del personale non medico ospedaliero di pari mansioni ed anzianità;
l’Università degli Studi di Padova aveva rifiutato il pagamento dell’indennità in questione affermando che presupposto di detta indennità fosse l’inserimento del personale in apposita convenzione con l’Azienda ospedaliera di Padova.
Essi hanno chiesto la condanna dell’Università degli Studi di Padova a corrispondere l’indennità equiparativa di cui agli artt. 1 della legge n. 200 del 1974 e 31 del d.P.R. n. 761 del 1979.
Il Tribunale di Padova, nel contradditorio delle parti, con sentenza n. 757/2011, ha rigettato il ricorso.
C.D., A.G. e D.S. hanno proposto appello che la Corte d’appello di Venezia, nel contraddittorio delle parti, ha rigettato.
C.D., A.G. e D.S. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
L’Università degli Studi di Padova si è difesa con controricorso.
L’Azienda ospedaliera di Padova si è difesa con controricorso.
L’Università degli Studi di Padova ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1) Con un unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 200 del 1974 e dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscere loro l’indennità oggetto di causa nonostante essi svolgessero mansioni tecniche presso il Dipartimento di Scienze Ginecologiche e della Riproduzione umana (C.D.) ed amministrative presso il Dipartimento di Scienze oncologiche e chirurgiche (A.G. e D.S.), ossia attività di per sé strumentali a quelle di assistenza e cura proprie dei menzionati Dipartimenti.
La doglianza è fondata.
L’art. 1 della legge n. 200 del 1974, recante disposizioni concernenti il personale non medico degli istituti universitari, riconosce il diritto di “tutto il personale non medico universitario che presta servizio presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle università è corrisposta una indennità, con esclusione di qualsiasi onere a carico del bilancio dello Stato, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, nella misura occorrente per equiparare il trattamento economico complessivo ivi compresi i compensi per lavoro straordinario, ma escluse le quote di aggiunta di famiglia, a quello del personale non medico ospedaliero di pari mansioni ed anzianità”.
Tale diritto è, poi, precisamente disciplinato dall’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 (stato giuridico del personale delle Unità Sanitarie Locali) il quale, al comma 1, prevede che al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura, convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, è corrisposta un’indennità, non utile per la pensione (divenuta, però, pensionabile a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 126 del 1981), nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali, di pari funzioni, mansioni e anzianità; analoga integrazione è corrisposta sui compensi per lavoro straordinario e per le altre indennità previste dall’accordo nazionale unico, escluse le quote per le aggiunte di famiglia.
Il comma 4 dell’art. 31 citato vincola la corresponsione di detta indennità all’equiparazione del personale universitario a quello del SSN, a parità di mansioni, funzioni e anzianità, secondo apposite tabelle contenute negli schemi tipo di convenzione di cui all’art. 39 della legge n. 833 del 1978.
Per l’esattezza, il comma 4 dispone che “Per la parte assistenziale, il personale universitario di cui ai precedenti commi assume i diritti e i doveri previsti per il personale di pari o corrispondente qualifica del ruolo regionale, secondo modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui alla legge 23 dicembre 1978, n. 833 e tenuto conto degli obblighi derivanti dal suo particolare stato giuridico. Nei predetti schemi sarà stabilita in apposite tabelle l’equiparazione del personale universitario a quello delle unità sanitarie locali ai fini della corresponsione della indennità di cui al primo comma”.
Con il Decreto interministeriale 9 novembre 1982, recante l’approvazione degli schemi tipo di convenzione tra Regione e Università e tra Università e Unità Sanitaria Locale, tali schemi sono stati approvati e con l’art. 7 è stata introdotta una specifica disciplina per il personale universitario non medico, prevedendo che “…ai fini previsti dalla presente convenzione la corrispondenza del personale universitario a quello delle USL viene stabilita nell’allegata tabella D…” (sulle modalità di equiparazione del personale non medico cfr. Cass., SU, n. 8521 del 29 maggio 2012; Cass., Sez. L, n. 10629 del 22 maggio 2015).
Tanto premesso in ordine alla ricognizione del quadro normativo, la conclusione della Corte d’appello di Venezia, secondo la quale i ricorrenti avrebbero omesso di indicare le mansioni e le funzioni parificate, “di contenuto assistenziale, costituente il presupposto di fatto necessario per accedere al beneficio economico” e, quindi, la ratio della disciplina risiederebbe nella valorizzazione del personale universitario che svolge, presso presidi ospedalieri convenzionati, attività assistenziale, caratterizzata da un “imprescindibile raccordo con l’attività medica e supporto ad essa”, non può essere condivisa in adesione a quanto già rilevato da questa Corte di cassazione in analoga fattispecie (Cass., Sez. L, n. 4713 del 23 marzo 2012).
Va evidenziato, infatti, che la disposizione che ha esteso l’indennità de qua al personale universitario non medico richiama, nel precetto introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge n. 200 citata, il personale non medico universitario “che presta servizio” presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle università, valorizzando esplicitamente “la prestazione del servizio”, diversamente dalle disposizioni successive, ove il legislatore ha esplicitamente fatto riferimento all’espletamento di fatto di “attività assistenziali”, ma ai diversi fini del passaggio, a domanda, del personale di ruolo non medico, in servizio presso istituti clinici universitari, alle dipendenze dell’ente ospedaliero.
L’intento del legislatore, reso palese dal significato delle parole contenute nell’art. 1 della legge n. 200 menzionata, è preordinato ad introdurre un trattamento perequativo in favore del personale non medico universitario per la prestazione del servizio reso presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle università, in modo da garantire un trattamento analogo a quello del personale non medico ospedaliero di pari mansioni ed anzianità.
Il riconoscimento di siffatto trattamento presuppone la verifica normativa del carattere inscindibile delle funzioni assistenziali rispetto a quelle didattiche e la Loro innegabile compenetrazione, pure ove il servizio reso, in virtù delle mansioni proprie del personale non medico, si svolga sul piano meramente tecnico o amministrativo, ma, comunque, per le ragioni esposte, in imprescindibile accordo con l’attività medica e a supporto di essa.
Altresì nel già richiamato art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 il legislatore ha inteso valorizzare, nell’incipit della disposizione, “la prestazione del servizio” nell’indicare i destinatari del trattamento economico perequativo, con esplicito riferimento alla “parte assistenziale” della prestazione, ma solo ai fini dei diritti e doveri del personale in questione, disponendo che, “Per la parte assistenziale, il personale universitario di cui ai precedenti commi assume i diritti e i doveri previsti per il personale di pari o corrispondente qualifica del ruolo regionale, secondo modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui alla legge 23 dicembre 1978, n. 833 e tenuto conto degli obblighi derivanti dal suo particolare stato giuridico…”.
Ne consegue che, nel delineato sistema normativo, la perequazione del “trattamento economico” del personale non medico universitario che presti servizio “presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura, convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali” al “trattamento economico” del personale non medico ospedaliero di pari mansioni ed anzianità è legata all’esecuzione del servizio presso le strutture de quibus, ancorché lo stesso sia svolto attraverso un’attività che, pur non essendo strettamente sanitaria o di cura e, quindi, assistenziale in senso tradizionale, va considerata, comunque, per le ragioni esposte, funzionale a quella medica (Cass., Sez. L, n. 209 dell’11 gennaio 2016, non massimata).
La pregnante funzione perequativa rende, pertanto, del tutto irrilevante qualsivoglia considerazione e accertamento in ordine all’aggravio di lavoro, rispetto all’omologo personale dei servizio sanitario, per il personale universitario non dedito solo alla prestazione in favore dell’Università, e del pari rende superflua l’indagine preordinata ad accertare l’effettiva natura assistenziale dell’attività svolta presso l’ospedale, non essendo connotata detta indennità da un contenuto corrispettivo dell’attività assistenziale prestata, oltre quella didattica, ma esprimendo, per l’appunto, un mero carattere perequativo, mutuando quanto, peraltro, statuito da Corte costituzionale n. 136 del 1997, con riferimento all’indennità De Maria per il personale sanitario docente.
La corte territoriale doveva limitarsi, quindi, a verificare, al fine del riconoscimento dell’indennità di perequazione spettante al personale universitario non medico in servizio presso strutture sanitarie indicate dagli artt. 1 della legge n. 200 del 1974 e 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 (c.d. indennità De Maria), se i ricorrenti prestassero servizio presso le menzionate strutture sanitarie; una volta accertato ciò, era irrilevante controllare se le loro mansioni avessero contenuto assistenziale e se fossero caratterizzate da un “imprescindibile raccordo con l’attività medica”, così da essere di “supporto ad essa”.
2) Il ricorso è accolto.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di lite, applicando il seguente principio di diritto:
“Il giudice adito per il riconoscimento dell’indennità prevista in favore del personale universitario non medico in servizio presso le strutture sanitarie indicate dagli artt. 1 della legge n. 200 del 1974 e 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 (c.d. indennità De Maria) è tenuto a verificare se i soggetti richiedenti svolgano effettivamente detto servizio presso le menzionate strutture sanitarie; una volta accertato ciò, diviene irrilevante appurare se le loro mansioni abbiano contenuto assistenziale e se siano caratterizzate da un imprescindibile raccordo con l’attività medica, così da essere di supporto ad essa, poiché tali mansioni, pur non essendo strettamente sanitarie o di cura e, quindi, assistenziali in senso tradizionale, vanno considerate, comunque, funzionali alla detta attività”.
P.Q.M.
– accoglie il ricorso;
– cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di lite.
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