CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 1851 depositata il 20 gennaio 2023
Lavoro – Licenziamento – Vincolo della subordinazione – Presupposto dell’eterodirezione – Avvicendarsi della medesima attività di gestione – Criteri di scelta datoriali per il recesso tra personale fungibile – Inammissibilità
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma di sentenza del locale Tribunale, confermata nel resto, ha condannato M.D.B. in solido con M.R. e M.S. al pagamento in favore di D.L.L. della somma di € 39.000,04, di cui € 3.571,06 a titolo di TFR; ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato in data 20/2/2009 e, per l’effetto, condannato M.S. alla riassunzione di D.L.L. entro 3 giorni o, in difetto, al pagamento di un indennizzo nella misura di 4 mensilità della retribuzione globale di fatto mensile da ultimo spettante;
2.la Corte di Napoli, per quanto qui rileva, ha ritenuto (diversamente dal Tribunale), l’esistenza di un unico rapporto di lavoro svoltosi nelle 3 diverse gestioni della scuola presso cui l’originaria ricorrente aveva dedotto di avere lavorato continuativamente da aprile 2000 a febbraio 2009, segnatamente alle dipendenze di M.D.B. da aprile 2000 a gennaio 2003, di M.R. da gennaio 2003 a luglio 2006, di M.S. da settembre 2006 a febbraio 2009; ha ritenuto provate differenze retributive sin dalla prima gestione, non estinte per prescrizione (diversamente dal Tribunale, che aveva riconosciuto il diritto al pagamento di differenze di retribuzione solo per l’ultimo periodo), in ragione della continuità giuridica del rapporto; ha ritenuto (diversamente dal Tribunale) generica la comunicazione di recesso e quindi insussistente il dedotto giustificato motivo oggettivo, nonché carente la prova dell’impossibilità di ricollocamento della lavoratrice o comunque dei criteri di scelta per il recesso rispetto alle altre insegnanti, a fronte di generica esigenza di ridurre l’organico;
3. M.D.B., M.R., M.S. propongono ricorso per cassazione con 4 motivi; resiste D.L.L. con controricorso, illustrato da memoria, relativa anche al subprocedimento di sospensiva promosso da M.R. e respinto dalla Corte d’Appello di Napoli con ordinanza 16/9/2020;
Considerato che
1. con il primo motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., per avere la Corte d’Appello deciso la lite ritenendo esistere il vincolo della subordinazione tra le parti in totale assenza del presupposto dell’eterodirezione, criterio principale, e dei sussidiari, ciò perché dall’esame delle dichiarazioni dei testi alcuno di essi ha fatto intendere fosse esistito nel periodo 1/4/2000 – 19/1/2003 l’assoggettamento della sig.ra L.L. al potere di eterodirezione della sig.ra D.B.;
2. con il secondo motivo, le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., per avere la Corte d’Appello dichiarato esistente l’unicità dell’attività d’impresa per l’intero periodo senza tenere conto del fatto che la stessa fosse interrotta nelle date e che fosse oggettivamente riconducibile a tre gestioni separate che si sono succedute nel tempo, ed errata valutazione della prova, inesistenza di essa e del fatto costitutivo, mancanza di prova dell’unicità di azienda o dell’esistenza di un unico complesso aziendale tra le tre ricorrenti;
3. con il terzo motivo subordinato, si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto per avere la Corte d’Appello dichiarato unico il rapporto di lavoro e quindi superato l’eccezione di prescrizione ai sensi dell’art. 2948 c.c. sollevata tempestivamente da M.D.B. in primo grado stante il fatto che il rapporto con la stessa era cessato in data 19/1/2003 e la notifica del ricorso introduttivo era avvenuta in data 14/2/2011, oltre il termine quinquennale, il tutto contemperato con il licenziamento del 19/7/2006 cui aveva fatto seguito nuova assunzione in data 14/9/2006;
4. con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione di norme di diritto per avere la Corte di Napoli dichiarato illegittimo il licenziamento con condanna di M.S. alla riassunzione o al pagamento di indennizzo in misura di 4 mensilità, per correttezza dei motivi di licenziamento e per impossibilità di ripescare la prestazione della lavoratrice per chiusura aziendale, giustificato motivo oggettivo, violazione degli artt. 2119 c.c. e 3 legge n. 604/1966, legittimità del licenziamento per perdita di commesse o chiusura aziendale, giustificato motivo oggettivo;
5. il primo motivo non è ammissibile, in quanto riguarda questione di fatto esaminata dalla Corte d’appello ed esterna al perimetro del giudizio di legittimità, nel quale non è normativamente consentita la rivisitazione del merito della controversia, posto che il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. 20814/2018, S.U. n. 34476/2019, n. 15276/2021), e che esula, altresì, dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5 c.p.c. qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, c. 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova;
6. secondo la giurisprudenza di questa Corte, la valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito; pertanto, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (Cass. n. 22846/2022); ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato in caso di prestazioni di natura intellettuale o professionale, l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui si presenta in forma attenuata in quanto non agevolmente apprezzabile a causa dell’atteggiarsi del rapporto, sicché occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale, la cui valutazione di fatto, rimessa al giudice del merito, se immune da vizi giuridici ed adeguatamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità, ove è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (Cass. n. 5436/2019); la sussistenza dell’elemento della subordinazione nell’ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 14434/2015), ove congruamente e logicamente motivato, come nel caso di specie (v. pp. 4 – 5 della sentenza impugnata);
7. deve parimenti essere qualificato in termini di inammissibilità il secondo motivo, anch’esso concernente la concreta valutazione delle prove relative all’accertamento in fatto della continuità aziendale tra le 3 gestioni succedutesi nella scuola d’infanzia;
8. secondo il costante insegnamento di questa Corte la verifica dei presupposti fattuali che consentono l’applicazione o meno del regime previsto dall’art. 2112 c.c. implica una valutazione di merito che, ove espressa con motivazione sufficiente e non contraddittoria, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. n. 7364/2021, n. 6649/2020, n. 2315/2020, n. 25382/2017, n. 22688/2014, n. 10925/2014, n. 24262/2013, n. 2151/2013, n. 20422/2012);
9. nel caso in esame, la Corte di merito ha osservato che l’affermazione dell’esistenza di 3 distinti ed autonomi rapporti lavorativi era frutto di una non condivisibile valutazione atomistica della vicenda lavorativa, che non teneva conto della successione delle 3 gestioni della scuola all’interno dei medesimi locali, sotto lo stesso marchio, avvalendosi dello stesso personale qualificato, e quindi consistito nell’avvicendarsi della medesima attività di gestione, rimasta invariata nella sua struttura organizzativa preesistente, perciò rientrante nella nozione di trasferimento di azienda che caratterizza il fenomeno circolatorio di impresa; tale fenomeno è definito dall’art. 2112 c.c. quale passaggio da un soggetto ad un altro di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, essenziale o accessoria, in conformità alla definizione di cui all’art. 1, n. 1, della Direttiva UE 2001/23/CE del 12 marzo 2001 (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti);
10. l’accertamento dei presupposti fattuali per l’applicazione della normativa di cui all’art. 2112 c.c. alla vicenda lavorativa per cui è causa porta necessariamente al non accoglimento del terzo motivo subordinato, perché in presenza di un’attività lavorativa continuativa (da non ritenere interrotta da licenziamento e riassunzione e dalla transazione relativa alle differenze retributive concernenti la seconda porzione del rapporto, prevalendo l’applicazione della normativa di tutela dei diritti del lavoratore stabilita dall’art. 2112 c.c.) non assistita da stabilità reale, la prescrizione quinquennale decorre dalla fine dell’unico rapporto (v. Cass. n. 22172/2017 richiamata dalla Corte di merito, e la conforme Cass. n. 29981/2022);
11. il quarto motivo non è egualmente ammissibile, atteso che la Corte d’Appello si è conformata alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, se il motivo consiste nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non è totalmente libera ma comunque limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c., potendo farsi riferimento, a tal fine, ai criteri di cui all’art. 5 della legge n. 223 del 1991, quali standard particolarmente idonei a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale (Cass. n. 16856/2020; v. anche Cass. n. 21438/2018, richiamata dalla sentenza impugnata, Cass. n. 13643/2021);
12. la Corte di merito ha condivisibilmente ritenuto generica la giustificazione del licenziamento collegata a mero esubero di personale, e non esplicitati né trasparenti, e quindi non verificabili, i criteri di scelta datoriali per il recesso tra personale fungibile; a tale specifica argomentazione, nel motivo in esame, non viene sostanzialmente contrapporta alcuna critica specifica;
13. secondo soccombenza le ricorrenti devono essere condannate, in solido tra loro, alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo e da distrarsi in favore dell’avv. M.D.C., difensore della controricorrente dichiaratosi antistatario;
14. la ricorrente M.R. deve essere condannata altresì alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese della procedura incidentale ex art. 373 c.p.c. innanzi alla Corte d’appello di Napoli, respinta con ordinanza 16/9/2020 (cfr. Cass. n. 26966/2018), liquidate come da dispositivo e da distrarsi in favore dell’avv. M.D.C.;
15.al rigetto del ricorso consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi. Condanna M.R. alla rifusione delle spese del subprocedimento innanzi alla Corte d’Appello di Napoli, che liquida in € 2.500 per compensi, spese forfettarie al 15% ed accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto