CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 19105 depositata il 6 luglio 2023

Lavoro – Contratto di appalto – Risoluzione del rapporto per mutuo consenso – Accertamento della volontà dei contraenti – Indagine di fatto – Inammissibilità

Rilevato che

1. con sentenza 21 gennaio 2019, la Corte d’appello di Palermo ha rigettato l’appello di A.F., G.P. eV.P. avverso la sentenza di primo grado, di inammissibilità (per disinteresse manifestato in relazione al rapporto oggetto di controversia, da ritenere risolto per mutuo consenso) e comunque di rigetto (per difetto di prova di inesistenza dei requisiti prescritti dall’art. 29 d.lgs. 276/2003) delle loro domande di illegittimità del contratto di appalto tra la loro datrice A.F. s.r.l. e la committente P.I. s.p.a., per violazione degli artt. 1 legge n. 1369/1960 e d.lgs. 276/2003 e di condanna di quest’ultima, previa declaratoria di costituzione di un rapporto di lavoro alle sue dipendenze, alla reintegrazione in servizio presso l’unità di applicazione e nelle mansioni di appartenenza;

2. essa ha preliminarmente ritenuto ammissibile la loro domanda, per inesistenza di un mutuo consenso alla risoluzione del rapporto;

3. nel merito, per quanto ancora interessa, la Corte territoriale ha premesso i principi di diritto regolanti l’appalto lecito di opere e di servizi e quelli al contrario individuativi l’appalto fraudolento; in esito ad articolato e argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie (con interpretazione critica, nel contesto della relazione negoziale tra le parti concretamente ricostruita, del contratto di appalto tra loro stipulato il 28 agosto 2000), ne ha quindi ribadito in fatto la genuinità;

4. con atto notificato il 19 luglio 2019, A.F. e G.P. hanno proposto ricorso per cassazione con unico motivo, cui ha resistito la società con controricorso:

5. il P.G. ha quindi rassegnato le proprie conclusioni, ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., nel senso dell’inammissibilità del ricorso;

6. i ricorrenti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.

Considerato che

1. i ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 23 d.lgs. 261/1999, 29 d.p.r. 156/1973, in riferimento agli artt. 1 ss. legge n. 1369/1960, 29 d.lgs. 276/2003, ratione temporis applicabile, connessa violazione dell’art. 1418 c.c., in riferimento alle previsioni dell’accordo tra P.I. s.p.a. e A.F. s.r.l. 28 agosto 2000 e succ. di proroga, erroneamente interpretate dalla Corte territoriale per l’evidente “confusione” di “un concetto di ottimizzazione delle risorse professionali o di miglioramento del servizio, con un diverso concetto di utilizzazione di tali risorse in modo sostitutivo di P.I. s.p.a.”, preclusa dalla riserva esclusiva ad essa dello svolgimento dei servizi postali, quali il servizio di raccolta, smistamento, trasporto e distribuzione del prodotto postale (unico motivo);

2. esso è inammissibile;

3. premesso il richiamo di precedente di questa Corte, relativo alla medesima questione riguardante altro dipendente di A.F. s.r.l., appaltatrice del servizio commesso da P.I. s.p.a. con l’identico accordo del 28 agosto 2000 (Cass. 6 dicembre 2022, n. 35798, di reiezione del ricorso del lavoratore, nel merito dell’interpretazione dell’accordo), il collegio reputa che non si configurino le violazioni di legge denunciate. Esse non ricorrono, non implicando la censura un problema interpretativo delle stesse, né di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addica, perché la fattispecie astratta da essa prevista non sia idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicano la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851). Essa si risolve piuttosto nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa esterna all’esatta interpretazione della norma:

pertanto inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;

3.1. in particolare, oggetto di censura – e pure con profili di novità per la prima volta dedotti nell’odierna sede di legittimità – è l’interpretazione del contratto di appalto tra le parti del 28 agosto 2000, criticamente e più che adeguatamente argomentata (dal secondo capoverso di pg. 9 al penultimo capoverso di pg. 10 della sentenza) dalla Corte territoriale: interpretazione che ha orientato i criteri di accertamento in fatto della genuinità del rapporto di appalto tra le parti (dall’ultimo capoverso di pg. 10 al terz’ultimo di pg. 13 della sentenza).

Come noto, essa è riservata al giudice di merito, traducendosi in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti e pertanto in un’indagine di fatto censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. 14 luglio 2016, n. 14355; Cass. 4 aprile 2022, n. 10745).

Ma essa neppure è stata correttamente denunciata, non essendo stati dedotti i canoni interpretativi violati, neppure indicati nell’enunciazione, né tanto meno essendone specificate le ragioni né il modo in cui se ne sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350; Cass. 16 gennaio 2019, n. 873; Cass. 14 maggio 2019, n. 12791);

4. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la compensazione, per la novità della questione, delle spese tra le parti e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e compensa interamente le spese del giudizio tra le parti.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto