CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 19173 depositata il 6 luglio 2023
Lavoro – Cessione ramo di azienda – Cessione rapporti di lavoro – Autonomia attività cedute – Decadenza del termine – Rigetto
Fatti di causa
La Corte di appello di Torino con la sentenza n. 307/2020, per quel che in questa sede rileva, accertata l’insussistenza dei requisiti per la cessione del ramo di azienda tra V.I. spa e C. spa e dichiarata l’inefficacia della cessione dei rapporti di lavoro dei lavoratori indicati in epigrafe, ordinava a V.I. spa di ripristinare i predetti rapporti.
La corte di merito riteneva infondata la preliminare eccezione di decadenza ex art. 32, co.4 lett. c) l. n. 183/2010 sollevata dalla società con riguardo alla decisione del tribunale di ritenere tale decadenza non applicabile ai trasferimenti antecedenti alla entrata in vigore della legge n. 183/2010, in ciò mutuando quanto chiarito da Cass. n. 6649/2020. Nel merito il giudice d’appello aveva ritenuto che non vi fosse autonomia delle attività cedute e dunque non fossero integrati i requisiti necessari per la legittimità della cessione.
Avverso detta decisione proponeva ricorso V.I. spa cui resistevano con controricorso i soli lavoratori M.E. e P.B., nonché, con separato controricorso, adesivo al ricorso, C. spa. La ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
Preliminarmente deve rilevarsi che nelle more del giudizio intervenivano le conciliazioni della causa di tutti i lavoratori originariamente interessati, ad eccezione degli attuali controricorrenti M. e P.. Deve quindi dichiararsi cessata la materia del contendere con compensazione delle spese ad eccezione di M. e P., nei confronti dei quali si valuteranno le censure proposte (la lavoratrice R.M.L., anche destinataria della decisione della corte di appello, non ha proposto ricorso in cassazione).
1) Con primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art.32 l.n. 183/2010 anche in relazione art. 3 Cost. e 252 disp attuaz. Cod.civ.
La società si duole della interpretazione data all’art. 32 richiamato con riguardo alla esclusione del termine decadenziale per i trasferimenti antecedenti alla entrata in vigore della legge n. 183/2010.
Questa Corte, occupandosi della applicazione dell’art. 32 co.4, della legge n. 183/2010, dispositivo del termine decadenziale per le impugnative delle cessioni dei contratti di lavoro, ha statuito (Cass. n. 6649/2020) che “in tema di cessione del contratto di lavoro, ai sensi dell’art. 2112 c.c., la decadenza di cui all’art. 32, comma 4, della l. n. 183 del 2010, non si applica alle cessioni intervenute prima dell’entrata in vigore della predetta legge, come emerge dall’interpretazione letterale della norma – di carattere eccezionale – che individua espressamente il “dies a quo” del termine di decadenza nella “data del trasferimento”, nonché, sul piano logico-sistematico, dall’assenza, nel comma 4 dell’art. 32 citato, di disposizione analoga a quella prevista per i contratti a termine, ove invece è stata disciplinata chiaramente l’ipotesi anche per quelli già scaduti”.
Il principio enunciato trova la sua ragione nella necessità di dare alla norma in questione, relativa ad una limitazione temporale per l’esercizio dell’azione giudiziaria di non poco conto, una interpretazione particolarmente rigorosa, soprattutto con riguardo alla fattispecie di chiusura prevista dall’art. 32 co. 4 lett. d) legge citata (Cass. n. 13179 del 2017).
Nel richiamare quanto già statuito da questa Corte (Cass. n. 6649/2020) il tema da affrontare è attinente alla determinazione dell’incidenza di una legge sopravvenuta che introduce ex novo un termine di decadenza in una situazione ancora pendente (Cass. n. 15352 del 2015; e Cass. n. 29754 del 2019), come nel caso di specie.
Deve ribadirsi, conformemente ai principi generali dell’ordinamento in materia di termini, che ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applica anche alle situazioni soggettive in essere, ma la decorrenza del termine viene fissata con riferimento alla entrata in vigore della modifica legislativa. Ciò in un’ottica di bilanciamento di due contrapposte esigenze, ovverosia, da un lato, quella di garantire l’efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale e, dall’altro, quella di tutelare l’interesse del privato, onerato della decadenza.
La lettura della disposizione indica che il legislatore non si è limitato a specificare solo la tipologia della fattispecie contrattuale ora sottoposta a decadenza, ma ha individuato esattamente il termine da cui fare decorrere la stessa, così limitando il campo di applicazione temporale della norma unicamente alle cessioni di contratti di lavoro in cui la data del trasferimento, ex art. 2112 cod. civ., sia successiva alla data di entrata in vigore della legge n. 183 del 2010.
Invero, si richiama, condividendolo, il percorso argomentativo già espresso da questa Corte nel precedente indicato (Cass. n. 6649/2020) che porta altresì ad escludere la fondatezza della eccezione di incostituzionalità prospettata dalla ricorrente, in quanto la scelta legislativa di riservare alla cessione d’azienda uno specifico assetto normativo in punto di termine per l’impugnativa, non costituisce un elemento di irragionevole discontinuità nel più ampio quadro costruito dalla legge n. 183/2010, ma risponde ad una concreta esigenza di individuare esattamente un momento cui riferire il decorso temporale utile per l’eventuale impugnazione. Il motivo deve pertanto essere disatteso.
2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. (art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.) per la errata valutazione della corte territoriale circa la illegittimità della cessione del ramo d’azienda in discussione.
Questa Corte ha in più occasioni statuito in punto di elementi identificativi o meno delle ipotesi di cessione del ramo di azienda. I principi di diritto che regolano la fattispecie affermano che “costituisce elemento costitutivo della cessione di ramo d’azienda prevista dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, l’ autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c. che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall’art. 1406 c.c., fornire la prova dell’esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l’operatività” (Cass. n. 10540/2016; più di recente Cass. n. 22249/2021; Cass. n. 19034/2017).
Nel caso in esame la corte d’appello ha esaminato la documentazione in atti da cui è emersa la natura meramente operativa delle attività cedute (call center) già facenti parte integrante di una più ampia divisione aziendale di Customer operation, non ceduta, che provvedeva a stabilire le procedure poi applicate dai singoli operatori. Questi ultimi anche dopo la cessione erano tenuti a seguire le procedure in assenza di qualsivoglia autonomia.
La valutazione così svolta, coerente con i principi sopra enunciati, attiene all’attività propria del giudice del merito non rivalutabile in sede di legittimità. La censura proposta, espressa sottoforma di vizio attinente alla violazione di legge, in realtà nasconde una richiesta di nuova valutazione di merito, estranea a questa sede giudiziale e dunque inammissibile. E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758/017- Cass. n. 18721/2018).
3)- Con ultimo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.1406 c.c. (art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.). La censura denuncia il tacito assenso prestato dai lavoratori alla cessione, significativo di un comportamento acquiescente rispetto alla stessa, evincibile dalla circostanza che l’impugnazione è datata al febbraio 2017 rispetto alla cessione avvenuta nel 2007.
Il motivo risulta essere prospettato per la prima volta in sede di legittimità in quanto la sentenza impugnata non riporta eccezioni di tale contenuto e la censura non indica dove e quando tali doglianze sarebbero state proposte nei giudizi di merito. Tali connotazioni rendono il motivo inammissibilmente proposto.
Il ricorso, per le dette ragioni, deve essere rigettato. Le spese seguono il principio di soccombenza tra la ricorrente ed i lavoratori controricorrenti, con distrazione, mentre rimangono compensate nei confronti di C. spa, la quale ha sostanzialmente aderito al ricorso. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso nei confronti dei controricorrenti M. e P. e condanna la ricorrente società al pagamento, nei loro confronti, delle spese processuali liquidate in E 6.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, disponendone la distrazione in favore del procuratore anticipatario; dichiara cessata la materia del contendere con compensazione delle spese, nei confronti degli altri lavoratori in epigrafe indicati. Compensa le spese nei confronti di C. spa.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.