Corte di Cassazione ordinanza n. 19634 del 17 giugno 2022
IRAP – omessa trasmissione della comunicazione di irregolarità – notifica atto impositivo – inesistenza della notificazione – obbligo di motivazione della cartella esattoriale
RILEVATO CHE
– G.L., titolare di una attività di commercio al dettaglio di articoli di cartoleria, impugnava una cartella di pagamento relativa ad IRPEF, IVA e IRAP per l’anno 2006, oltre a contributi previdenziali Inps, deducendo l’irregolarità della notifica della cartella di pagamento, della preventiva comunicazione di irregolarità, il difetto di motivazione e l’insussistenza della pretesa IRAP;
– la CTP di Roma rigettava il ricorso;
– la contribuente impugnava la decisione e la CTR del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello;
– G.L. ricorre per la cassazione, con quattro motivi;
– Equitalia Sud p.a. resiste con controricorso;
– l’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;
CONSIDERATO CHE
– preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta da Equitalia Sud, per mancanza dei requisiti di cui all’art. 360 cod. proc. civ.;
– l’eccezione è infondata, dato che il ricorso risulta redatto, nel complesso, secondo le prescrizioni previste dalla disciplina in materia;
– con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 del d.lgs. n. 446/97 e 2083 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., lamentando che la CTR non aveva accertato l’assenza di autonoma organizzazione e la conseguente insussistenza della pretesa dell’IRAP;
– il motivo è fondato;
– alla luce dell’art. 2 del d.lgs. n. 446/97 – per il quale presupposto dell’IRAP è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (primo periodo) e “costituisce in ogni caso presupposto d’imposta l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato” (secondo periodo) – questa Corte ha costantemente ritenuto che solo l’esercizio di professioni in forma societaria costituisce ex lege presupposto dell’imposta, senza necessità dì accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione (Cass. Sez. U. 14.04.2016, n. 7371: “presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3 – comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione“).
– diversa è, invece, la conclusione della giurisprudenza di legittimità laddove l’attività di natura imprenditoriale sia svolta – come nel caso di specie – in forma individuale, ed in particolar modo laddove ricorra la figura del cd. piccolo imprenditore, in relazione al quale si è affermato che “In tema di IRAP, l’esercizio dell’attività di piccolo imprenditore è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (Cass. n. 21122/10, con riguardo alla figura del coltivatore diretto; n. 21113/10, con riguardo all’attività di tassista; 21124/10, con riguardo all’artigiano; Cass. n. 4490/12, con riguardo all’esercente di fornitura di software e di consulenza informatica; Cass. n. 1162/12 e n. 24515/2016 con riferimento a un piccolo imprenditore esercente commercio al dettaglio di prodotti del tabacco);
– questa Corte ha, inoltre, chiarito che “a quel che è stabilito per le imposte sul reddito non può essere riconosciuta una efficacia condizionante ai fini dell’interpretazione di imposte, come è l’IRAP, che rispondono ad altri criteri e ad una diversa ratio impositiva”, poiché le attività contemplate dall’art. 2195 c.c. “pur essendo ai fini delle imposte sul reddito considerate produttive d1 reddito d’impresa, possono essere (e spesso sono) svolte dal soggetto senza organizzazione di capitali o lavoro altrui”; d’altro canto, se “si considerassero ai fini IRAP queste attività tout court attività di impresa, l’imposta non troverebbe corrispondenza nella sua ratio, e finirebbe per colpire una base fittizia, un fatto non reale, in contraddizione con una interpretazione costituzionalmente orientata del presupposto Non è, infatti, la oggettiva natura dell’attività svolta ad essere alla base dell’imposta, ma il modo – autonoma organizzazione – in cui la stessa è svolta, ad essere la razionale giustificazione di una imposizione sul valore aggiunto prodotto, un quid che eccede il lavoro personale del soggetto agente ed implica appunto l’organizzazione di capitali o lavoro altrui: se ciò non fosse, e il lavoro personale bastasse, l’imposta considerata, non solo non sarebbe vincolata all’esistenza di una autonoma organizzazione, ma si trasformerebbe inevitabilmente in una sostanziale imposta sul reddito” (Cass. Sez. U. n. 12109/09 cit.);
– nel caso di specie, il giudice di appello non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi avendo omesso ogni accertamento sulla autonoma organizzazione;
– con il secondo motivo, la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli 36 bis del d.P.R. n. 600/73 e 54 bis del d.P.R. n. 633/72, 221 e 222 cod. proc. civ., 6 comma 5 della l. n. 212/2000, in relazione all’art. 360 comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto che non occorresse previamente notificare al contribuente la comunicazione di irregolarità di cui agli artt. 36-bis, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, nonché 54-bis, comma 3, d.P.R. n. 633/1972, e quindi l’invito di cui dall’art. 6, comma 5, della legge n. 212/2000 senza verificare che dal controllo automatizzato emergeva un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione;
– il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
– l’eventuale omessa trasmissione della comunicazione di irregolarità ex artt. 36-bis e 54-bis cit., costituisce, da un lato, mera irregolarità (Cass. n. 13759/2016) e non implica la nullità della cartella, e, dall’altro, la sanzione è dettata solo dall’art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente, in relazione al c.d. avviso bonario;
– sul punto, peraltro, è costante l’insegnamento di questa Corte, secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, l’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso” (Cass. n. 27716/2017). D’altra parte, secondo quanto condivisibilmente affermato da Cass. n. 795/2011, non v’è spazio per la notifica dell’avviso bonario quando “non risulti dall’atto impositivo l’esistenza di incerte e rilevanti questioni interpretative”;
– nella specie, la CTR, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, ha affermato che “nel caso di specie si trattava esclusivamente di imposte dichiarate e non versate, sia riguardo all’IVA, sia relativamente all’IRAP, sia riguardo ad acconti IRPEF tardivamente versati” (p. 3 della sentenza);
– quanto all’omessa motivazione, la censura è inammissibile e per difetto assoluto di specificità, atteso che la critica della ricorrente si risolve nella contrapposizione tra l’interpretazione da esso propugnata e quella accolta dal giudice del merito, senza che, secondo quanto richiesto dall’art. 366 nn. 4 e 6 cod. proc. civ., sia stata formulata e riprodotta la censura ed evidenziato il fatto storico rilevante per il giudizio di cui la motivazione avrebbe omesso l’esame;
– con il terzo motivo, deduce la violazione degli artt. 3 della l. n. 241/90 e 7 della l. n. 212/2000, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 proc. civ., per avere la CTR disatteso l’eccezione di difetto di motivazione della cartella;
– la censura non è fondata;
– la CTR ha affermato, in sintesi, che l’obbligo di motivazione doveva ritenersi assolto “con l’indicazione degli estremi dell’imposta sui quali si fonda l’intervento dei concessionari medesimi, senza menzione di accertamenti, derivando la cartella proprio da una dichiarazione della stessa contribuente poi non ottemperata”;
– questa Corte ha affermato, in tema di riscossione delle imposte, che, sebbene in via generale sussista l’obbligo di motivazione della cartella esattoriale che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo va differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascun tipo di atto. Nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (Cass. n. 21804/2017; 14236/2017; 11612/2017; 15564/2017);
– la semplicità della emissione rilevata in sede di accertamento automatizzata esclude, pertanto la denunciata carenza di motivazione;
– con il quarto motivo, deduce la violazione degli 26 e 49 del dPR n. 602/73; 149 cod. proc. civ. e 65 del d.lgs. n. 112/09, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto regolare la notifica della cartella di pagamento, nonostante l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale anche all’interno di questa Corte sulla notifica diretta da parte del concessionario;
– il motivo non è fondato;
– l’art. 26, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che «La cartella è notificata dagli ufficiali di riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda»;
– come più volte affermato da questa Corte, la notifica della cartella di pagamento, eseguita ai sensi dell’art. 26, comma 1, seconda parte, del d.P.R. n. 602 del 1973, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avvisa di ricevimento, costituisce una modalità di notifica alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione. Essa si perfeziona alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza che sia necessario redigere un’apposita relazione di notificazione, né inviare alcuna raccomandata informativa al destinatario, trovando applicazione le norme del regolamento postale relative agli invii raccomandati e non quelle relative alla notifica a mezzo posta di cui alla legge n. 890 del 1982 (ex multis, Cass. 10037 del 10.04.2019; n. 29710 del 19.11.2018; n. 28872 del 12.11.2018; n. 19270 del 19.07.2018; n. 8293 del 4.04.2018; n. 12083 del 13.06.2016);
– la sopra indicata soluzione interpretativa ha superato il vaglio della Corte costituzionale (Corte cost., sentenza n. 175 del 23/07/2018), la quale ha ritenuta, che tale forma “semplificata” di notificazione trova giustificazione nell’accentuato ruolo pubblicistico dell’agente per la riscossione, volto ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato. Secondo la Corte costituzionale, i rilevati scostamenti della disposizione in esame rispetto al regime ordinario della notificazione a mezzo posta, considerati nel loro complesso, segnano sì un arretramento del diritto di difesa del destinatario dell’atto, ma soddisfano il requisito dell’effettiva possibilità di conoscenza dell’atto, che costituisce il limite inderogabile alla discrezionalità del legislatore in materia;
– nella specie, la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi sopra affermati, evidenziando, peraltro, che il contribuente aveva ricevuto in ogni caso la cartella, impugnandola nei termini di legge;
– questa Corte ha da tempo affermato che la nozione di inesistenza della notificazione deve essere definita in termini assolutamente rigorosi, cioè confinata ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione, quali il caso di totale mancanza materiale dell’atto ovvero di attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto (Cass. Sez. U., 20 luglio 2016, n. 14916); il medesimo principio è applicabile anche alla notifica della cartella di pagamento e conduce a ritenere che ogni ipotesi di difformità della notifica dal modello legale fatta eccezione per i casi di assenza degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione – ricade nella categoria della nullità, sanabile con efficacia ex tunc per raggiungimento dello scopo (Cass. 28.10.2016, n. 21865);
– la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, avuto riguardo al rinvio disposto dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 alle norme sulle notificazioni nel processo civile (Cass. 31.10. 2018, n. 27651; Cass. 13.01. 2016, n. 384);
– va accolto, pertanto, solo il primo motivo del ricorso e la sentenza va cassata con rinvio alla CTR del Lazio anche per le spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, rigetta gli altri, cassa e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
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