Corte di Cassazione ordinanza n. 19792 del 20 giugno 2022
IVA – contraddittorio preventivo
Fatti di causa.
Emerge dalla sentenza impugnata che nei confronti di S.M., che esercita attività di trasporto marittimo e costiero, l’Agenzia delle entrate ha recuperato materia imponibile ai fini irpef, irap e iva per gli anni 2003, 2004 e 2005 perché, da un lato, non si era adeguato agli studi di settore e, dall’altro, aveva trattato come esenti le proprie attività, che non rispondevano al trasporto marittimo di passeggeri, ma erano minicrociere, in quanto tali soggette a imposte.
Il contribuente ha impugnato gli avvisi di accertamento che ne sono scaturiti, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Messina.
Quella regionale della Sicilia ha accolto, invece, l’appello dell’Agenzia.
A sostegno della decisione il giudice d’appello ha sottolineato che S.M. non ha confutato le risultanze dell’Agenzia, né ha richiesto di essere sentito, nonostante l’invito al contraddittorio. Ha poi escluso l’applicabilità dell’esenzione, perché le attività svolte si sono sostanziate nel trasporto dei passeggeri per brevi crociere, estranee all’ambito di applicazione dell’esenzione.
Contro questa sentenza propone ricorso il contribuente per ottenerne la cassazione, che affida a quattro motivi e illustra con memoria, cui l’Agenzia delle entrate risponde con controricorso.
Ragioni della decisione.
1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 10, comma 3-bis, della I. n. 146/98, perché l’Ufficio non avrebbe attivato il contraddittorio, ossia non avrebbe invitato il contribuente a comparire, a norma dell’art. 5 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218.
Il motivo presenta al contempo profili d’inammissibilità e d’infondatezza.
Anzitutto, il ricorrente, nel riportare uno stralcio degli avvisi di accertamento, in cui si legge che l’Agenzia aveva ravvisato delle incongruenze considerate spia di condotte antieconomiche, riconosce che l’accertamento è stato fondato”…non solo sugli studi di settore, ma anche sugli studi di settore- dacché implementato di ulteriori elementi/parametri (i.e. la valutazione, comunque presuntiva, di antieconomicità…” (pag. 25 del ricorso).
E allora, in base all’orientamento prevalente di questa Corte, che il precedente citato in memoria (Cass. n. 31495/19) non riesce a incrinare, va escluso l’obbligo di instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi dell’art. 10 della I. n. 146 del 1998, il quale non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o, appunto, antieconomiche gestioni aziendali (Cass. n. 31814/19, relativamente ad avviso di accertamento, non preceduto da preventivo contraddittorio, emanato a carico di un’impresa che aveva chiuso il proprio bilancio annuale con utili molto esigui, a fronte di ingenti investimenti sostenuti; conf., da ultimo, Cass. nn. 1505/20, 7584/20, 21824/20).
Inoltre, il ricorrente assume che “il giudice di seconde cure, aderendo alla tesi dell’Agenzia, ha escluso l’obbligo del contraddittorio preventivo, a fronte di un accertamento scaturito da verifica fiscale… ” (pag. 17 del ricorso); laddove il giudice d’appello, lungi dall’escludere l’obbligo del contraddittorio, ha ritenuto che il contribuente non abbia fruito delle facoltà intese a svilupparlo, là dove ha affermato che “Non risulta agli atti che la ditta abbia presentato le note ex art. 12 comma 7 della I. 212/00 con richiesta di essere sentita, pur essendo stata edotta di detta facoltà”.
Ancora, il motivo è inammissibile perché, pur essendo pacifico in atti che gli avvisi di accertamento abbiano fatto seguito a una verifica culminata nella redazione di un processo verbale di constatazione, una copia del quale è stata consegnata al contribuente, non è dedotto l’unico profilo rilevante ai fini del rispetto del contraddittorio, ossia l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni: in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, è l’art. 12, comma 7, della I. n. 212/00 a fissare la regola speciale e avanzata di garanzia, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso ante tempus, di là e indipendentemente dalla prova di resistenza (Cass. n. 701/19).
Infine, la riproduzione in ricorso della sezione conclusiva del processo verbale di constatazione non giova alle ragioni del ricorrente, poiché vi si legge del contraddittorio intercorso tra lui e i verbalizzanti in ordine al disallineamento rispetto al ricavo puntuale di riferimento. Il che comporta l’applicazione del principio affermato da questa Corte, in base al quale, in tema di accertamento dell’iva, ai sensi dell’art. 63, comma 3, del d.P.R.. n. 633/72, che, nel disciplinare i compiti di cooperazione della guardia di finanza con gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto, richiama le disposizioni del precedente art. 51, le garanzie in favore del contribuente in sede di procedimento istruttorio sono oggetto di identica previsione sia se ad operare è l’ufficio, sia se l’istruzione sia svolta -di propria iniziativa o su richiesta dell’ufficio- dalla guardia di finanza (Cass. n. 10402/11).
Il motivo va quindi respinto.
2.- Inammissibile è il secondo motivo di ricorso, col quale si lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., perché non ricorrerebbe la prova che l’attività svolta fosse di tipo turistico-ricreativo: col motivo, difatti, dietro le spoglie della violazione di legge, si propone una rivalutazione del merito.
Si denuncia difatti un preteso errore di valutazione del giudice di merito, che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa (o meno) del fatto che si intende provare, e che non è sindacabile dal giudice di legittimità per violazione dell’art. 115 c.p.c., il quale vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. n. 7187/22).
3.- Infondato è il terzo motivo di ricorso, col quale si prospetta la violazione o falsa applicazione dell’art. 10, comma 1, n. 14, del d.P.R. n. 633/72, là dove il giudice d’appello ha escluso la spettanza dell’esenzione perché il servizio di trasporto sarebbe stato comprensivo di prestazioni accessorie turistico-ricreative.
Questa Corte al riguardo ha già avuto occasione di chiarire (con sentenza n. 419/20) che, a fronte dell’art. 10, comma 1, n. 14), d.P.R. n. 633/1972, il quale riconosce l’esenzione delle “prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante veicoli da piazza o altri mezzi di trasporto abilitati ad eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare. Si considerano urbani i trasporti effettuati nel territorio di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri”, qualora quelle prestazioni siano eseguite insieme con altre (nella specie turistiche), occorre valutare la complessiva attività svolta, lo scopo e l’interesse economico sottostante al contratto stipulato; sicché, ove si accerti che detti servizi costituiscono il mezzo per assicurare l’effettiva finalità economica perseguita, devono considerarsi prestazioni accessorie, con conseguente assoggettamento a imposta in applicazione della medesima disciplina tributaria prevista per la prestazione principale.
4.- Nel caso in esame si accerta in sentenza che l’attività svolta consisteva nel “trasporto dei passeggeri per brevi crociere a bordo della motonave”. E allora, va anzitutto ribadito che la previsione normativa in esame, in quanto relativa a un’esenzione, dev’essere interpretata restrittivamente; con la conseguenza che il contratto di trasporto di persone deve essere limitato, nella sua funzione causale, delineata dall’art. 1678 e.e., unicamente al trasferimento da un luogo a un altro dietro corrispettivo per il servizio reso. In questo contesto occorre valutare la rilevanza delle prestazioni di servizi turistico-ricreativi resi ai clienti mediante l’organizzazione delle minicrociere delle quali dà conto il giudice d’appello.
4.1.- È al riguardo applicabile la giurisprudenza unionale in base alla quale, quando un’operazione è costituita da una serie di elementi e di atti, si devono prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l’operazione considerata per determinare se tale operazione comporti, ai fini IVA, due o più prestazioni distinte o un’unica prestazione (v., in tal senso, sentenze del 10 marzo 2011, Bog e a., C-497/09, C-499/09, C- 501/09 e C-502/09, punto 52 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 21 febbraio 2013, 2amberk, C-18/12, punto 27 e giurisprudenza ivi citata; da ultimo Corte giustizia UE, Sent., 18 gennaio 2018, causa C-463/16).
Quella Corte ha altresì dichiarato che, da un lato, dall’articolo 2 della sesta direttiva discende che ciascuna operazione dev’essere considerata di regola come autonoma e indipendente e che, dall’altro, l’operazione costituita da un’unica prestazione sotto il profilo economico non dev’essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell’iva.
Si è dunque al cospetto di un’unica prestazione quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo al cliente sono a tal punto strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale (sentenze del 10 marzo 2011, Bog e a., C- 497/09, C-499/09, C-501/09 e C-502/09, punto 53 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 10 novembre 2016, Bastovà, C-432/15, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).
In particolare, vi è un’unica prestazione nel caso in cui uno o più elementi debbono essere considerati costitutivi della prestazione principale, mentre altri elementi devono invece essere considerati come una o più prestazioni accessorie, cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale: pertanto, una prestazione è considerata accessoria ad una prestazione principale quando costituisce per la clientela non già un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (sentenze del 10 marzo 2011, Bog e a., C-497/09, C-499/09, C-501/09 e C-502/09, punto 54 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 10 novembre 2016, Bastovà, C-432/15, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).
5.- La pronuncia del giudice del gravame ha dato prevalenza alla finalità turistico-ricreativa del servizio prestato, sicché l’attività di trasporto di persone non può essere considerata in sé e per sé, ma come il mezzo per assicurare l’effettivo perseguimento della intendeva perseguire. È, quindi, proprio in considerazione della complessiva attività svolta e della finalità economica perseguita che, correttamente, il giudice del gravame ha ritenuto non riconducibile la prestazione di servizi svolta nell’ambito della previsione di cui all’art. 10, comma 1, n. 14), del d.P.R. n. 633/72.
5.1.- Non pertinente è, dunque, il precedente citato nel corso
della discussione, col quale questa Corte (con sentenza n. 6966/21) ha stabilito che, in tema di iva, le prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate con mezzi di trasporto marittimo, fluviale o lagunare godono dell’esenzione prevista dall’art. 10, comma 1, n. 14, d.P.R. n. 633 del 1972 (testo previgente alla I. n. 232 del 2016) a condizione che siano eseguite con mezzi a ciò abilitati.
Il motivo è respinto.
6.- Inammissibile è, infine, il quarto motivo di ricorso, col quale si denuncia l’omessa pronuncia sulla mancanza di prova dei maggiori ricavi accertati. E ciò perché la pronuncia c’è stata, visto che il giudice d’appello ha sottolineato che “L’appellata non ha prodotto alcuna prova contraria a supporto di quanto dichiarato”.
6.1.- Il ricorso è rigettato e le spese seguono la soccombenza.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Per questi motivi
rigetta il ricorso e condanna il contribuente a pagare le spese, che liquida in euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
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