CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 20806 depositata il 18 luglio 2023

Tributi – Cancellazione registro imprese – IVA – Liquidazione – Crediti esigibili – Comunicazione cessazione attività – Diritto al rimborso – Accoglimento

Rilevato che

1. L’antefatto è che C. s.r.l., cancellata dal registro delle imprese il (…), richiedeva il rimborso della somma di Euro 21.856, indicata a credito nella dichiarazione iva per il 2015, presentata dal liquidatore il 9 febbraio 2016. L’ufficio, dopo aver sollecitato chiarimenti alla società, rigettava l’istanza, osservando che nel bilancio finale di liquidazione erano indicati in modo generico crediti esigibili entro l’esercizio successivo per Euro 33.303 e che nella nota integrativa al bilancio la corrispondente voce non era menzionata, mentre vi era evidenziata l’assenza di attivo e la conseguente non necessità di redazione del piano di riparto. La società, in persona del liquidatore, proponeva impugnazione. La CTP di NAPOLI, con sentenza n. 21618/12/16, rigettava il ricorso per non essere stati documentati i presupposti di esistenza del credito. Su appello della società, la CTR della Campania, con sentenza n. 6110/03/17, dichiarava inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio ed il ricorso in appello in quanto proposto da soggetto inesistente. Detta sentenza della CTR si rendeva definitiva per mancata impugnazione.

2. Con precipuo riguardo ai fatti oggetto del presente giudizio, rileva che, in data 18 gennaio 2018, C.S. e N.G., nella qualità di ex soci, presentavano istanza di rimborso del credito iva per la predetta somma di Euro 20.856. L’ufficio, con provvedimento del 21 febbraio 2018, notificato il 2 marzo 2018, rigettava l’istanza, confermando i motivi di diniego già espressi in ordine all’istanza della società.

3. Avverso tale provvedimento, presentavano ricorso i contribuenti avanti la CTP di NAPOLI, la quale, nel contraddittorio dell’ufficio, che eccepiva in via preliminare la tardività dell’istanza di rimborso in quanto proposta soltanto il 10 gennaio 2018 e quindi oltre il termine biennale dalla data di cessazione della società, avvenuta il (…), con sentenza n. 16926/34/2018, depositata in data 13 novembre 2018, rigettava il ricorso, ritenendo fondata detta eccezione di tardività.

4. Proponevano appello i contribuenti, sostenendo la tempestività dell’istanza, in quanto il credito era già stato esposto nella dichiarazione iva per il 2015, dalla quale decorreva l’ordinario termine di prescrizione.

4.1. La CTR della Campania, nel contraddittorio dell’ufficio, che insisteva nelle proprie ragioni, accoglieva l’impugnazione sulla scorta della seguente letterale motivazione:

I giudici di prime cure hanno ritenuto l’istanza di rimborso degli ex soci tardiva. Tale decisione non risulta condivisibile in quanto /1..), in materia di rimborsi iva, laddove il contribuente abbia esposto la somma a credito nella dichiarazione annuale, come avvenuto nel caso di specie, tale circostanza integra già la manifestazione della volontà di recuperare il credito di imposta, ed il relativo diritto non può ritenersi più assoggettato al termine di decadenza di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21 comma 2 ma solo a quello di prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c..

La Corte di cassazione ha, peraltro, specificato che la compilazione, nella dichiarazione annuale iva, del quadro relativo al credito vale come istanza di rimborso, mentre la presentazione del modello “VR” è necessaria al solo fine di dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso.

La Corte ha, altresì, chiarito che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; poiché, nel caso di specie, i presupposti per l’insorgenza del diritto dipendono dall’esposizione del credito nella dichiarazione, il ‘dies a quò non poteva che coincidere con il termine ultimo entro cui la dichiarazione poteva essere presentata.

Tale interpretazione, sostenuta dalla dottrina e ormai consolidata in giurisprudenza, risulta peraltro coerente con la sesta direttiva CE per la quale il diritto al ristoro dell’iva versata a monte è una regola basilare del sistema comunitario, in applicazione del principio di neutralità.

5. Avverso detta sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con due motivi, cui resistono i contribuenti con controricorso, ulteriormente insistito con brevissima memoria depositata telematicamente.

Considerato che

1. Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21 comma 2, e dell’art. 2945 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. La sentenza impugnata è illegittima in quanto non considera che nel caso di specie il credito iva era stato meramente esposto nella dichiarazione iva 2016 per il 2015 della società; nondimeno, stante l’estinzione di questa, la richiesta di rimborso poteva ritenersi formulata solo con la successiva istanza presentata dai due soci quali successori solo il 10 gennaio 2018, ossia oltre il termine di due anni dall’estinzione. Contrariamente a quanto dedotto in sentenza, l’Agenzia non ha contestato la mancata compilazione del modello VR, ma ha evidenziato che, ai fini del rimborso, è insufficiente l’esposizione del credito in dichiarazione, poiché è necessaria un’esplicita manifestazione di volontà contenuta anche nella dichiarazione stessa. Il liquidatore della società, una volta intervenuta la cancellazione, non ha più alcun potere di disporre dei rapporti giuridici che furono della stessa, spettando la relativa titolarità unicamente in capo ai soci. Logica conseguenza per il caso di specie è che la dichiarazione iva per il 2015, presentata dopo la cancellazione della società, poteva al più contenere l’esposizione del credito di questa, ma non poteva costituire atto a mezzo del quale era manifestata la volontà di ottenere il rimborso.

1.2. Il motivo è infondato.

La giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte è nel senso che, in tema di iva, l’esposizione di un credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi fa sì che non occorra, da parte del contribuente, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento, dovendo solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte ovvero, ricorrendone i presupposti, attraverso lo strumento della rettifica della dichiarazione. Ne consegue che il relativo credito del contribuente è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, mentre non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21 comma 2, in quanto l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto ma solo il presupposto di esigibilità del credito (cfr. in motiv. Cass. n. 26371 del 2019 e giurisprudenza ivi richiamata).

A fronte di quanto precede, destituita di fondamento è la tesi dell’Agenzia ricorrente in ordine all’inidoneità della dichiarazione presentata dal liquidatore della società a determinare l’effetto impeditivo della decadenza, siccome presentata in epoca successiva alla cancellazione della società dal registro delle imprese e quindi, in tesi, “tamquam non esset”, promanando da soggetto privo di poteri, poiché legittimati a chiedere il rimborso sarebbero stati ormai solo i soci succeduti alla società.

Invero, come correttamente rilevato in controricorso, la messa in stato di liquidazione non interrompe il periodo d’imposta ai fini dell’iva e non determina la necessità di presentare un’autonoma dichiarazione. Pertanto, tenuto presente il d.p.r. n. 633 del 1972, art. 35 comma 4, (nel testo modificato dalla l. n. 228 del 2012, art. 1 comma 330, lett. g)), restano ferme le disposizioni relative a versamenti, fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione, con soltanto la duplice particolarità che, nell’ultima dichiarazione, deve tenersi conto anche dell’Iva dovuta per assegnazione all’imprenditore o ai soci e che, entro trenta giorni dall’ultimazione delle operazioni di liquidazione, deve essere comunicata la cessazione dell’attività.

Donde nella fase della liquidazione la società seguita ad essere un soggetto iva altro e distinto dai soci.

Sotto altro profilo, tenuto alla presentazione delle dichiarazioni per la società in liquidazione è il liquidatore, in tanto in quanto questi assume la rappresentanza della società, come espressamente previsto dall’art. 2487, comma 1, lett. c), cod civ.

Donde la dichiarazione del liquidatore, che espone (nei termini, non essendovi contestazione al riguardo) un credito, è perfettamente idonea a manifestare la volontà della compagine dal liquidatore rappresentata a pretendere la soddisfazione del credito stesso.

In sintesi, vale il seguente principio:

Nella fase della liquidazione, che non interrompe il periodo d’imposta ai fini dell’iva e non determina la necessità di presentare un’autonoma dichiarazione, la società seguita ad essere un soggetto iva distinto dai soci, sicché tenuto alla presentazione della relativa dichiarazione è il liquidatore, che assume la rappresentanza ex art. 2487, comma 1, lett. c), cod civ., ragion per cui la dichiarazione del liquidatore che espone nei termini un credito è idonea a manifestare la volontà della compagine rappresentata a pretendere la soddisfazione del credito stesso.

Un tanto rende ragione, come anticipato, dell’infondatezza del motivo.

2. Con il secondo motivo, in subordine, si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.1. La sentenza impugnata è comunque illegittima per omessa pronuncia, in quanto, anche a ritenere l’istanza di rimborso tempestiva, la CTR non avrebbe comunque potuto per ciò solo annullare il provvedimento di diniego, avendo l’Agenzia espressamente affermato l’insussistenza nel merito dei requisiti per accedere al rimborso.

2.2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.

Il ricorso documenta per autosufficienza:

– sia che i contribuenti avevano presentato appello, contestando la sentenza di primo grado che aveva ritenuto la tardività dell’istanza di rimborso e riproponendo la questione, rimasa assorbita, della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento del diritto al rimborso (p. 14 e 15);

– sia che l’Agenzia, nel costituirsi in giudizio, sostenuta in principalità la tardività dell’istanza, aveva nel merito ripresentato l’eccezione di mancata idonea appostazione del credito nel bilancio finale di liquidazione ed in ogni caso di insussistenza della prova, attraverso la produzione di documentazione contabile, della genesi e della sussistenza del credito (p. 18).

La sentenza impugnata è palesemente priva di ogni statuizione sulle questioni di cui si tratta.

Ne consegue la necessità dell’annullamento della stessa con rinvio per nuovo esame e per le spese, anche con riguardo al presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, e, in relazione al motivo accolto, annulla e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, per nuovo esame e per le spese, anche con riguardo al presente grado di giudizio.