Corte di Cassazione ordinanza n. 21712 depositata l’8 luglio 2022
mancata attestazione della conformità – adozione dei documenti informatici – notifica a mezzo PEC
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
La parte contribuente impugnava un avviso di liquidazione notificato nel 2017 con il quale l’Ufficio revocava l’agevolazione fiscale in termini di imposte di registro ipotecaria e catastale relativa ad una compravendita del 2006;
la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate affermando che sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 217/2017, che ha modificato l’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 82/2005, il quale ha esteso l’obbligo di firma digitale agli avvisi di liquidazione e di accertamento, era esclusa l’applicabilità della firma digitale sugli atti emessi nell’esercizio di attività ispettive e di controllo fiscale. Pertanto, la Commissione Tributaria Regionale dichiarava che in nessun caso era ammessa la combinazione tra avviso di accertamento firmato digitalmente e notificazione del medesimo a mezzo posta, giacché tale atto sarebbe risultato affetto da nullità, ai sensi dell’art. 42, commi 2 e 3 del D.P.R. n. 600 del 1973, per difetto di sottoscrizione. Nella specie la Commissione Tributaria Regionale rilevava che l’atto accertativo era stato sottoscritto digitalmente e notificato a mezzo posta in data 26 maggio 2017, ossia anteriormente all’entrata in vigore del vigente testo del sesto comma dell’art. 2 del d.lgs. n. 82 del 2005.
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso affidato ad un unico motivo di impugnazione mentre l’associazione si costituiva con controricorso per ottenere l’inammissibilità e/o il rigetto del ricorso e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il motivo di impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 6, C.A.D. (d.lgs. n. 82 del 7 marzo 2005), dell’art. 23, co. 1, e 40, e.A.O., dell’art. 2, commi 6 e 6 bis, nel testo modificato dall’art. 2 comma 1, lettere D) ed E), del d.lgs. n. 217 del 13 dicembre 2017 dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione alla statuita nullità dell’avviso di accertamento in quanto sottoscritto digitalmente.
Va preliminarmente disattesa l’eccezione relativa all’asserita inammissibilità del ricorso in quanto fondato su motivi di merito, la cui valutazione è preclusa al giudice di legittimità. Nella specie infatti il motivo di impugnazione è proposto non solo formalmente ma anche sostanzialmente in ragione di una violazione di legge e in particolare del principio giuridico (cfr. Cass. n. 32692 del 2021 la cui massima è riportata qui di seguito) in base al quale l’esclusione dell’utilizzo di strumenti informatici prevista per l’esercizio delle attività e funzioni ispettive fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 217 del 2017 riguarda la sola attività di controllo fiscale e non può estendersi agli avvisi di accertamento ed in genere agli atti impositivi; inoltre il ricorso per Cassazione proposto in formato digitale non richiede la firma digitale dei difensori (Cass. n. 23951 del 2020).
Va altresì preliminarmente disattesa anche l’eccezione, contenuta nel controricorso e ribadita nella memoria relativa all’asserita inammissibilità del ricorso secondo cui l’avviso di accertamento sarebbe una copia cartacea priva dell’attestazione di conformità all’originale di un pubblico ufficiale, in quanto carente dal punto di vista dell’autosufficienza, per non essere stato prodotto e allegato la copia dell’avviso di accertamento privo di tale attestazione e quindi per non essere stato provato né che si trattasse di una copia né che in tale ipotesi essa fosse priva dell’attestazione di conformità all’originale. Peraltro, secondo Cass. n. 11271 del 2022, in tema di contenzioso tributario, costituisce causa di inammissibilità del ricorso o dell’appello non la mancanza di attestazione, da parte del ricorrente, della conformità tra l’atto depositato e quello notificato ma solo la loro effettiva difformità, accertabile d’ufficio in caso di omissione dell’attestazione. Tuttavia, se la controparte è rimasta contumace, la mancata attestazione della conformità costituisce, di per sé, causa di inammissibilità, non essendo questa onerata dell’accesso presso la segreteria della commissione tributaria per verificare l’eventuale difformità tra l’atto a lei notificato e quello depositato, trattandosi di attività difensiva che presuppone, comunque, già sorto un interesse concreto a contraddire; inoltre la parte contribuente non ha indicato quali pregiudizi al diritto di difesa avrebbe determinato tale asserito difetto dell’avviso di accertamento. Deve infatti rilevarsi che, secondo questa Corte, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. n. 26419 del 2020; Cass. n. 29879 del 2021). Nella specie, come si è già accennato, anche ad accedere alla versione della parte contribuente, quest’ultima non ha mai realmente evidenziato quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa sarebbero dipesi dalla mancata esibizione in originale del documento contestato.
Nel merito, il motivo di impugnazione è fondato. Secondo questa Corte, infatti:
«Va premesso che la normativa in tema di digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche in conseguenza degli obblighi di adeguamento al Regolamento comunitario noto con l’acronimo e-IDAS, entrato in vigore direttamente in tutti gli Stati Membri UE, senza necessità di atti di recepimento, il 17 settembre 2014, e divenuto applicabile a decorrere dal 1 luglio 2016, impone ormai come regola generale l’adozione dei documenti informatici, residuando ad eccezione il mantenimento dei documenti analogici. Ai sensi dell’art. 40 C.A.D., le pubbliche amministrazioni formano gli originali dei propri documenti con mezzi informatici secondo le regole tecniche fissate dal D.P.C.M. 13 novembre 2014.
Posto che la regola generale è divenuta il ricorso ai documenti informatici, e le limitazioni l’eccezione, l’interpretazione dell’art. 2 C.A.D., comma 6, ratione temporis vigente, proposta dall’Agenzia delle Entrate merita di essere condivisa sulla base di una serie di valutazioni ermeneutiche sia di tipo letterale che sistematico.
Rileva, innanzitutto, sul piano terminologico che gli atti impositivi non rientrano tra gli atti emessi “nell’esercizio” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, a cui sono certamente riconducibili gli atti adottati in occasione di indagini e verifiche ispettive propedeutiche all’esercizio del potere di accertamento e di irrogazione di sanzioni, bensì tra gli atti eventualmente emessi “all’esito” delle attività e funzioni ispettive e di controllo, attività che potrebbero anche concludersi con un esito favorevole per il contribuente, e quindi senza l’emissione di un atto impositivo.
La distinzione tra l’attività accertativa e quella preliminare di verifica e controllo risulta poi immanente nella normativa fiscale vigente.
In tema di imposte dirette, la definizione in termini distintivi è presente già nella rubrica del titolo quarto del D.P.R. n. 600 del 1973, denominato “Accertamento e controllo”; le attività di controllo sono autonomamente regolate dallo stesso decreto, artt. 32 e 33, si realizzano attraverso accessi, ispezioni e verifiche, inviti a comparire e richieste di documentazione che richiedono una diretta interlocuzione con il contribuente, prevedono la cooperazione della Guardia di Finanza nonché di qualsiasi altro soggetto pubblico incaricato istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza. Prerogativa esclusiva dell’Amministrazione finanziaria è invece l’adozione degli atti impositivi, di cui agli artt. 36-bis, 36-ter, 38, 39 ecc., che hanno ad oggetto la liquidazione delle imposte o delle maggiori imposte e delle eventuali sanzioni. […]
Correttamente la ratio dell’esclusione degli atti propedeutici all’esercizio del potere di accertamento è stata rinvenuta nel fatto che nell’ambito di tali attività di verifica si impone la partecipazione del contribuente che potrebbe non essere munito di firma digitale, sicché l’applicazione del C.A.D. determinerebbe un aggravio dei suoi diritti di difesa ed un ostacolo al rapporto di collaborazione che dovrebbe sempre ispirare tali incombenti (Cass. 2021 n. 1557).
Non da ultimo va evidenziato che l’interpretazione contraria proposta dalla CTR si porrebbe in disarmonia con la volontà del legislatore come manifestata negli interventi normativi successivi.
La modifica apportata al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, ad opera del D.L. n. 193 del 2016, art. 7-quater, comma 6, con l’inserimento del comma 6, che ha introdotto la possibilità della notifica a mezzo PEC degli avvisi di accertamento, tende ad una implementazione dell’utilizzo dei documenti informatici.
Il d.lgs. n. 217 del 2017, art. 2, lett. e), che ha aggiunto all’art. 2 C.A.D., il comma 6-bis, ne sancisce espressamente l’applicabilità “agli atti di liquidazione, rettifica, accertamento e di irrogazione delle sanzioni di natura tributaria” e rimette ad un successivo decreto e funzioni ispettive e di controllo fiscale”. Seppure non si voglia attribuire a tale ultima disposizione la natura di norma di interpretazione autentica con portata retroattiva, è indubbio che da essa non può che trarne conferma l’impostazione esegetica che distingue l’attività di accertamento da quella di controllo fiscale.
Alla ritenuta applicabilità del C.A.D. consegue la legittimità della notifica di una copia analogica conforme ad un documento informatico.
Ai sensi dell’art. 23 CAD, “Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.
Nella specie risulta incontestato, e comunque provato, che l’atto impositivo notificato in copia cartacea presentava l’attestazione di conformità all’originale e tanto è sufficiente a dimostrare l’avvenuta sottoscrizione dell’atto ed a conferirgli un valore probatorio equiparato all’originale informatico (in tema di sentenze sottoscritte digitalmente vedi Cass. n. 15074 del 2017).
Non sussistendo alcun indispensabile o necessario collegamento tra documento informatico e notifica a mezzo PEC, nulla impedisce che una copia analogica di un documento informatico conforme all’originale venga notificata secondo le regole ordinarie della notifica a mezzo posta.
Si ricorda che la possibilità di una notifica a mezzo PEC per gli atti impositivi è stata introdotta solo a decorrere da/1’1 luglio 2017, a seguito dell’aggiunta al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, del comma 6, ad opera del D.L. n. 193 del 2016, art. 7- quater, comma 6; l’Agenzia ricorrente, non potendo utilizzare la notifica a mezzo PEC prima di tale data, ha correttamente proceduto alla notifica ordinaria di una copia analogica dell’atto informatico, munita della prescritta attestazione di conformità. Si aggiunga che risulta agli atti che l’atto sia comunque giunto della sfera di conoscibilità del destinatario: trova pertanto applicazione il principio consolidato secondo cui, ai sensi dell’art. 156 c.p.c, comma 3, ove l’atto, malgrado l’irritualità della notifica, sia venuto a conoscenza del destinatario, la nullità non può essere dichiarata per il raggiungimento dello scopo. (Vedi tra le tante Cass. SU n. 7665 del 2016; n. 27561 e n. 24568 del 2018)» (Cass. n. 32692 del 2021).
La Commissione Tributaria Regionale ha affermato che fino all’entrata in vigore del vigente testo del sesto comma dell’art. 2 del d.lgs. n. 82 del 2005 avvenuta il 27 gennaio 2018 in nessun caso era ammessa la combinazione tra avviso di accertamento sottoscritto digitalmente e notificazione del medesimo a mezzo posta, poiché in tale circostanza l’atto sarebbe risultato affetto da nullità ex art. 42 D.P.R. n. 600 del 1973, per difetto di sottoscrizione. Nella specie l’atto accertativo è stato sottoscritto digitalmente e notificato in data 26 maggio 2017 a mezzo posta, ossia anteriormente all’entrata
in vigore del vigente testo del sesto comma dell’art. 2 del d.lgs, n. 82 del 2005 (codice dell’amministrazione digitale). L’esclusione dell’utilizzo di strumenti informatici prevista per l’esercizio delle attività e funzioni ispettive fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 217 del 2017 riguarda la sola attività di controllo fiscale e non può estendersi agli avvisi di accertamento ed in genere agli atti impositivi: nella specie trattasi di avviso di accertamento, sottoscritto digitalmente e notificato a mezzo posta in data 15 giugno 2017, senza che rilevi tale modalità di firma o di notifica ai fini della sua validità. Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso va conseguentemente accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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