CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 23205 depositata il 31 luglio 2023
Lavoro – Demansionamento – Danno patrimoniale – Pagamento bonus maturato – Indennità di mancato preavviso – Irriducibilità retribuzione – Rigetto
Rilevato che
A.C. convenne in giudizio B.I. (già A. s.p.a.) e dedusse che dal 29 luglio 2004 gli erano state assegnate mansioni non equivalenti a quelle in precedenza svolte, di “Sostituto della Sicurezza” del VII livello quadro c.c.n.l. metalmeccanici. Assumendo di avere subito un danno patrimoniale, per effetto del dedotto demansionamento, in termini di lesione della professionalità e perdita di chance, ne chiese la liquidazione in misura pari ad una mensilità per ogni mese di dequalificazione ovvero in un altro importo da definirsi.
Chiese, inoltre, la condanna della società convenuta al pagamento della somma di € 84.000,00 in relazione ad una serie di fringe benefits revocati dal 1.8.2005; al pagamento del bonus maturato per gli anni 2009 e 2010, pari ad € 20.000,00; la condanna della società al pagamento della somma di € 29.761,02 per indennità d’esodo ai sensi dell’Accordo Quadro del 29 luglio 2009.
2. La società nel resistere al ricorso chiese, in via riconvenzionale, la condanna del lavoratore al pagamento della somma di € 14.880,52 per indennità di mancato preavviso.
3. Il Tribunale accolse solo la domanda di condanna al pagamento del bonus per l’anno 2010, rigettate tutte le altre, mentre la Corte di appello, in parziale accoglimento del ricorso incidentale rigettò anche questa e confermò nel resto la sentenza impugnata rigettando l’appello principale.
3.1. Il giudice di appello, per quanto qui ancora interessa, ha ritenuto che non poteva trovare accoglimento la domanda di condanna al risarcimento del danno patrimoniale – connesso al mancato riconoscimento dall’agosto del 2005 dell’auto aziendale e degli altri benefit ad esso connessi (carta carburanti e lavaggi) – poiché non era stata offerta la prova dell’inadempimento datoriale ed essendo al contrario emerso che, modificata la policy aziendale dal 2005 con la previsione di un contributo a carico del lavoratore, il ricorrente lo aveva versato fino alla scadenza del contratto in corso e poi non aveva più chiesto l’assegnazione dell’auto decadendo anche dagli altri benefici connessi.
3.2. Ha ritenuto inoltre che non trovasse applicazione il principio di irriducibilità della retribuzione in quanto i benefit in questione non erano compresi nella nozione di retribuzione compensativa della prestazione e perciò irriducibile. Infatti, non era stato dedotto e dimostrato che il nuovo ruolo ricoperto ricomprendesse necessariamente l’assegnazione dell’auto.
3.3. Quanto al bonus per l’anno 2009 la Corte di merito ha escluso che fosse stato corrisposto un acconto ed ha accertato inoltre che il bonus non era stato erogato a nessun dipendente, come previsto dal regolamento che era stato sottoscritto anche dal A.C.. Con riguardo al bonus del 2010, il giudice di appello ha riformato la sentenza e ne ha escluso la spettanza in quanto il lavoratore ricorrente alla data della sua erogazione, nell’agosto 2010, non era più in servizio come prescritto dal Regolamento e dalla scheda incentivante, prodotta dalla società e valida anche per l’anno 2010, essendosi già da tempo dimesso. Per l’effetto ha ordinato la restituzione della somma ricevuta in esecuzione della sentenza di primo grado.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto tempestivo ricorso A.C. affidato a due motivi. La B.I. s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso. La causa, rimessa sul ruolo a seguito di pensionamento dell’originario relatore, è stata decisa all’esito dell’odierna camera di consiglio e il Collegio ha riservato il deposito della motivazione nel termine di sessanta giorni.
Ritenuto che
5.Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. dell’art. 2103 c.c. e del principio di irriducibilità della retribuzione per avere la società revocato unilateralmente l’utilizzo dell’auto aziendale. Inoltre, si deduce che, in violazione dell’art. 2697 c.c. e con inversione dell’onere della prova, si sarebbe erroneamente ritenuto accertato che il benefit fosse collegato allo svolgimento di determinate mansioni e che conseguentemente la variazione retributiva sarebbe stata legittima.
5.1. Sostiene che, al contrario, l’autovettura in dotazione, rispetto alla quale era stato posto a carico del lavoratore un contributo mensile simbolico, costituiva una componente della retribuzione disancorata dalle modalità della prestazione e, come tale, non era modificabile neppure in caso di assegnazione a mansioni diverse dovendosene, se del caso, corrispondere mensilmente il controvalore economico e restando irrilevante anche la (dubbia) rinunzia al beneficio.
6. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
6.1. Va qui ricordato che il livello retributivo acquisito dal lavoratore subordinato, per il quale opera la garanzia della irriducibilità della retribuzione, prevista dall’art. 2103 c.c., deve essere sì determinato con il computo della totalità dei compensi corrispettivi erogati ma tenendo conto delle qualità professionali intrinseche alle mansioni del lavoratore, attinenti, cioè, alla professionalità tipica della qualifica rivestita. I trattamenti di miglior favore costituiscono componenti aggiuntive ai minimi tabellari e non sono coperti dalla tutela dell’art. 36 Cost. La loro eliminazione non è in contrasto con il principio di irriducibilità della retribuzione, previsto dall’art. 2103 c.c.. Non vi sono compresi infatti i compensi erogati in ragione di particolari modalità della prestazione lavorativa o collegati a specifici disagi o difficoltà, i quali non spettano allorché vengano meno le situazioni cui erano collegati. In sostanza il principio di irriducibilità della retribuzione che implica che la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non sia riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro e che ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto va tuttavia coordinato con il legittimo esercizio, da parte del datore di lavoro, dello “ius variandi”. In tal caso la garanzia della irriducibilità della retribuzione si estende alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedenti, ma non a quelle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare, come detto, particolari modalità della prestazione lavorativa (cfr. Cass. 38169 del 30/12/2022, Cass. 01/08/2017 n. 19092 e Cass. 06/12/2017 n. 29247).
6.2. La Corte territoriale, facendo corretta applicazione di tali principi e senza incorrere nella denunciata violazione delle regole poste in tema di onere della prova, escluso il demansionamento denunciato e oggi non più controverso, ha rilevato il fatto che il benefit non era stato convenuto all’atto dell’assunzione; che esso era stato riconosciuto tenendo conto delle mansioni in precedenza svolte e della policy aziendale all’epoca esistente, successivamente cambiata con introduzione di un contributo economico a carico del lavoratore; del fatto che il lavoratore, portato a termine il contratto in atto al momento delle modifiche, non aveva più manifestato interesse ad un rinnovo.
6.3. Le considerazioni svolte dal ricorrente non inducono a rivedere l’orientamento consolidato sopra descritto e correttamente applicato dalla Corte di merito. Le sentenze richiamate dal ricorrente (Cass. 21 aprile 2016 n. 8086 e Cass. 15 novembre 2002 n. 16129) hanno riguardo al diverso aspetto dell’onnicomprensività della retribuzione ed alla determinazione della base di calcolo di prestazioni di legge quali il trattamento di fine rapporto o l’indennità di preavviso e si preoccupano di specificare che il valore dell’auto aziendale concessa al dipendente deve effettivamente rientrare nella base di calcolo del TFR e dell’indennità di preavviso, non senza sottolineare che condizione necessaria è pur sempre che si tratti di beneficio riconosciuto contrattualmente dal datore al prestatore di lavoro come beneficio in natura (…) e pattiziamente inserita nella struttura sinallagmatica del contratto di lavoro. Nella specie il ricorrente non ha mai avanzato alcuna pretesa o lamentato alcun danno relativo alla congruità delle proprie spettanze di fine rapporto, essendo ben consapevole che la concessione dell’auto aziendale non è mai stata oggetto di specifica pattuizione nel contratto di lavoro tra lui e B.I..
6.4. Peraltro, con riguardo alla denunciata violazione dell’art. 2697 c.c. il motivo prima ancora che infondato è inammissibile, in quanto il ricorrente trascura di chiarire in cosa si sarebbe concretizzata la violazione di legge indicata nella rubrica e neppure riporta il contenuto delle clausole contrattuali a cui fa riferimento nel suo sviluppo. Il motivo, pertanto, è privo della necessaria specificità (Cass. 21/07/2016 n. 15007, 30/09/2016 n. 19611, 08/07/2016 n. 14018, 18/01/2016 n. 684 e 30/11/2015 n. 24391).
7. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione di legge per vizio della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.. In particolare, la violazione dell’art. 2113 cod. civ.;
l’erroneo convincimento che l’accettazione di una clausola contrattuale, riferita all’anno fiscale 2007/2008, e relativa ai criteri di determinazione della retribuzione variabile, dovesse avere effetto per l’anno fiscale 2009/2010; la violazione di legge per vizio della sentenza ex art. 360 comma 1 n. 3 e 5 cod. proc. civ.; la motivazione apparente; l’omesso esame di un documento decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti; il mancato rilievo attribuito al fondamentale documento, sottoscritto da entrambe le parti, attributivo del Target della retribuzione variabile del F.Y. 2009/2010; la violazione dell’art. 437 cod. proc. civ. e dell’art. 24 Cost.; l’attribuzione di determinante efficacia probatoria ad un documento, non posto, in primo grado, a fondamento difensivo dalla soc. B.I., e da questa depositato e fatto tardivamente valere solo in grado di appello; l’erronea qualificazione del deposito del documento come semplice allegazione di una nuova prova, e non come nuovo presupposto in diritto del preteso rigetto dell’originaria domanda del A.C.; la lesione del potere dispositivo della parte ricorrente e dell’art. 88 c.p.c.; il mancato rilievo della maturata decadenza processuale; la violazione dell’art. 1326 cod. civ., dell’art. 1334 cod. civ. ed infine l’erronea attribuzione di efficacia bilaterale ad un atto di esclusiva provenienza unilaterale della B.I., non sottoscritto, né datato, né mai ricevuto, né mai accettato dal A.C. e dallo stesso tempestivamente contestato in giudizio.
7.1. Sostiene il ricorrente che la Corte di appello avrebbe erroneamente motivato nell’estendere al 2010 la chiara perimetrazione temporale della clausola contrattuale del 2008, identificante una condizione sospensiva, potenzialmente ablativa del diritto futuro, nei fatti mai voluta inserire dalle parti nel contratto individuale e avrebbe considerato la clausola relativa ai criteri di erogazione del bonus 2007/2008 operativa anche sulla base dell’introduzione di un nuovo documento prodotto da BT in appello irrilevante e inammissibile, incorrendo in vizio di motivazione e vizio di diritto.
8. Il motivo, formulato in maniera promiscua mescolando censure di violazione di legge e di vizio di motivazione è inammissibile.
8.1. Nel dolersi della «violazione di legge per vizio della sentenza ex art. 360 comma 1, n. 3 e 5 c.p.c.» infatti il ricorrente non specifica in maniera adeguata quale sia il principio normativo astratto di cui lamenta la violazione e, inoltre, non individua quale sia il fatto controverso e decisivo che la Corte di merito non avrebbe esaminato.
8.2. In sostanza la censura mista, di violazione di legge e vizio di motivazione (…), illustra inammissibilmente le doglianze tra loro eterogenee senza distinguere tra l’uno e l’altro profilo (cfr. Cass. 18/03/2016 n. 5369) e affida al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili (cfr. Cass. 10/06/2015 n. 12059, 18/02/2015 n. 3201, 28/01/2015 n. 1616, 21/01/2015 n. 1013). Si tratta di modalità di proposizione delle censure in contrasto con la regola della chiarezza ed incompatibile con la natura vincolata del giudizio di legittimità (Cass. 26/06/2018 n. 16801; v. anche Cass. n. 21165 del 2013, n. 25332 del 2014 e n. 19959 del 2014).
8.3. A ciò si aggiunga che la censura si risolve complessivamente in una critica alla ricostruzione dei fatti di causa operata dal giudice di merito e si traduce in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già esaminati, ed in particolare dei documenti relativi all’attribuzione degli obiettivi dell’anno fiscale 2009/2010 (in particolare del doc. 31 depositato in appello) oltre che della mancata valutazione di altro documento. Tuttavia, non si chiarisce come, nel contesto della decisione, un documento che non disciplina le regole di attribuzione del bonus ma piuttosto si preoccupa di determinare solo gli obiettivi assegnati al dipendente possa mutare in maniera decisiva l’esito della domanda.
9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 200,00 per esborsi e in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.