CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 23351 depositata il 1° agosto 2023

Lavoro – Ingiunzione di pagamento – Compensi maturati in virtù della partecipazione fuori dell’orario di servizio alle Commissioni Mediche per l’accertamento dell’invalidità civile – Prospetti riepilogativi redatti dal dirigente della U.O.C. Medicina Legale – Natura di ricognizione di debito – Valenza probatoria del documento – Inammissibilità

Ritenuto che

1. la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto dalla Azienda Sanitaria ASL Roma H e confermato la sentenza di primo grado, con cui era stata respinta l’opposizione all’ingiunzione di pagamento della somma di euro 12.600,00 in favore di P.T., a titolo di compensi maturati in virtù della partecipazione fuori dell’orario di servizio nel periodo 2008-2009 alle Commissione Mediche per l’accertamento dell’invalidità civile;

2. per quanto qui rileva, la Corte territoriale, rispetto alle ragioni indicate dal giudice di prima istanza (essenzialmente riconducibili alla riconosciuta natura di ricognizione di debito dei prospetti riepilogativi redatti dal dirigente della U.O.C. Medicina Legale, in difetto di rilievi di ordine sostanziali da parte dell’Azienda, nonché all’inapplicabilità della circolare che imponeva le rilevazioni automatiche dell’orario di servizio, contemplate solo per i dirigenti medici dipendenti dell’azienda), ha ritenuto che, a prescindere dalla natura, ricognitiva o meno, dei prospetti riepilogativi, i medesimi dimostravano in maniera adeguata il fatto costitutivo del diritto al compenso, non essendo stati contestati dall’Azienda né sotto il profilo dell’autenticità ovvero della provenienza, né quanto all’erroneità dei conteggi ivi espressi, divenendo a questo punto irrilevanti, in quanto assorbite, le ulteriori questioni sull’ambito di applicazione della circolare in tema di rilevazione automatica delle presenze ovvero la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta dall’Azienda ovvero, ancora, l’effettivo peso decisionale delle prove testimoniali assunte in primo grado;

3. avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Sanitaria Locale Roma 6 (già Azienda Sanitaria Locale Roma H), articolando tre motivi, cui resiste la T. con controricorso;

4. le parti hanno depositato memoria.

Considerato che

1. l’Azienda ricorrente, previa illustrazione della differente impostazione della motivazione addotta dal primo giudice e dalla Corte d’appello al fine di sostenere l’ammissibilità delle censure svolte ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., con il primo motivo denuncia il vizio motivazionale consistente nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., e, conseguentemente, dell’art. 44 della legge regionale n. 11 del 2004, come modificato dall’art. 140 della legge regionale n. 4 del 2006, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in relazione al valore probatorio erroneamente riconosciuto nella sentenza impugnata ai prospetti riepilogativi, ritenuti idonei a comprovare il requisito previsto dalla normativa, rappresentato dalla circostanza che l’attività fosse svolta fuori orario, in presenza di contestazione tempestivamente svolta dall’Azienda proprio sull’idoneità probatoria dei prospetti riepilogativi;

1.1. il motivo, in disparte ogni preclusione derivante dalla configurabilità della ipotesi di cd. “doppia conforme” (che ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice – Cass. Sez. 6 – 2, 09/03/2022, n. 7724 –considerato che, nella specie, il tratto qualificante delle due pronunce è rappresentato dall’avere i giudici di merito ritenuto accertato lo svolgimento dell’attività in questione al di fuori dell’orario di servizio in base ai prospetti riepilogativi redatti dal dirigente della U.O.C. Medicina Legale), è comunque inammissibile, in quanto, lungi dal prospettare un’effettiva violazione di legge (e, segnatamente, della disciplina prevista dalla legge regionale nonché della regola sull’onus probandi) mira in realtà a censurare la motivazione in punto di apprezzamento, ad opera del giudice di merito, delle risultanze probatorie, come tale inammissibile ai sensi del vigente art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (in tal senso, fra molte, Cass. Sez. 6 – 3, 11/02/2020, n. 3306);

1.2. infatti, la piana lettura della sentenza impugnata evidenzia che la Corte d’appello, reputando priva di rilievo la questione del se i predetti prospetti ricognitivi avessero o meno valenza di ricognizione di debito, ha, comunque, ritenuto sufficiente la documentazione prodotta a comprovare il diritto della appellata al compenso in assenza di idonea contestazione da parte dell’Azienda sotto il profilo dell’autenticità ovvero della provenienza nonché quanto all’erroneità dei conteggi ivi espressi, mentre il motivo risulta incentrato sulla diversa prospettiva della contestazione del valore probatorio dei citati prospetti (v., in particolare, pp. 29-30 del ricorso), ritenuti inidonei a certificare lo svolgimento delle prestazioni al di fuori dell’orario di servizio, in tal modo censurando, al di fuori dei limiti consentiti, la valutazione riservata al giudice di merito (fra le molte, Cass. Sez. 3, 21/06/2016, n. 12748) ed omettendo di confrontarsi con la specifica ratio decidendi addotta sulla mancata contestazione dell’autenticità ovvero della provenienza del documento nonché circa l’erroneità dei conteggi ivi espressi (rif. p. 4 sentenza);

1.3. non coglie nel segno, infine, l’ulteriore profilo di doglianza, relativo all’omesso esame del fatto decisivo rappresentato dalla mancata considerazione della necessità che la prestazione si svolgesse oltre il normale orario di lavoro, in quanto la Corte territoriale ha espressamente motivato il proprio assunto sul raggiungimento della prova in ordine al requisito in contestazione in base ai predetti prospetti, che riportavano per gli anni dedotti in controversia le pratiche definite dalla Commissione nelle sedute svoltesi, sia durante sia al di fuori dell’orario di servizio ordinario (rif. p. 3 sentenza), sicché, come già osservato in precedenza, anche tale censura si risolve in una non consentita contestazione circa la valenza probatoria del documento e l’apprezzamento reso in proposito dal giudice di merito;

2. con il secondo motivo, l’Azienda ricorrente censura l’ulteriore vizio motivazionale consistente nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., e, conseguentemente, dell’art. 44 legge regionale n. 11 del 2004, come modificato dall’art. 140 della legge regionale n. 4 del 2006, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto irrilevante la questione relativa all’ambito di applicazione della circolare sulla rilevazione automatica delle presenze;

2.1. il motivo, nei termini dedotti, è inammissibile per difetto dell’elemento della decisività, avendo la Corte territoriale ritenuto irrilevante la questione dell’applicazione della circolare sulle modalità di rilevazione delle presenze, stante il positivo accertamento in ordine al fatto costitutivo del diritto, ai fini della maturazione del compenso, come già osservato in ordine al primo motivo, escludendosi, pertanto, la configurabilità della denunciata violazione della regola sull’onus probandi e delle leggi regionali in materia, risolvendosi, ancora, la doglianza in una non consentita sollecitazione ad una rivalutazione nel merito dell’apprezzamento svolto nella sentenza impugnata;

3. con il terzo motivo l’Azienda ricorrente lamenta ancora un vizio motivazionale, consistente nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., e, conseguentemente, dell’art. 44 legge regionale n. 11 del 2004, come modificato dall’art. 140 della legge regionale n. 4 del 2006, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevanti le questioni in ordine alla mancata ammissione della prova articolata dall’Azienda e sulla valenza delle prove testimoniali assunte in primo grado;

3.1. il motivo, come i precedenti, è inammissibile, in quanto la censura non prospetta un’effettiva violazione di legge (sempre dedotta in riferimento alla regola di cui all’art. 2697 cod. civ. ed alle leggi regionali in materia) bensì mira a sollecitare una rivalutazione dell’apprezzamento reso in ordine alla (ir)rilevanza delle richieste di prova ovvero circa l’esito istruttorio in termini non consentiti in sede di legittimità, in difetto, peraltro, dell’elemento della decisività delle circostanze oggetto di prova ovvero delle risultanze contestate in relazione alla chiara e piana ratio decidendi adottata sul punto dalla Corte d’appello;

4. ne consegue, in definitiva, l’inammissibilità del ricorso, pronuncia che esclude la necessità di affrontare funditus la fondatezza della pretesa ed esclude la rilevanza nella fattispecie dell’eventuale questione di costituzionalità che il Collegio dovrebbe porsi di ufficio della norma regionale con la quale è stato previsto un trattamento retributivo che non trova riscontro nella contrattazione collettiva;

5. alla soccombenza segue la condanna dell’Azienda ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

6. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.