Corte di Cassazione, ordinanza n. 23723 depositata il 3 agosto 2023
controlli automatizzati – preventiva comunicazione – l’indicazione del responsabile del procedimento è richiesta, a pena di nullità, per quelle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008 – è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario – la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo
Rilevato che
Dalla sentenza e dal ricorso emerge che la società impugnò la cartella di pagamento n. 09720090217049454, notificata dall’agente della riscossione, con la quale, a seguito di un controllo automatizzato, ex art. 36 bis del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e 54 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, relativo all’Unico 2006, le era stato richiesto il pagamento di € 149.937,40, oltre sanzioni, spese ed interessi.
La Commissione tributaria provinciale di Roma rigettò il ricorso con sentenza n. 239/16/2012. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettò l’appello con sentenza n. 4853/38/2014.
Il giudice regionale, esaminando partitamente le numerose ragioni con cui la contribuente aveva contestato il fondamento della cartella erariale, sia per asseriti vizi dell’atto, sia in merito al debito fiscale, le rigettò tutte.
La ricorrente ha censurato la sentenza con nove motivi, chiedendone la cassazione, cui hanno resistito l’Agenzia delle entrate ed Equitalia Sud, sostenendo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.
Nel corso del giudizio la ricorrente ha evidenziato di aver proposto domanda di definizione agevolata della controversia ai sensi dell’art. 3 del d.l. n. 119 del 2018.
Rinviata la causa a nuovo ruolo per acquisire informazioni sulla regolarità della definizione, nell’adunanza camerale del 31 maggio 2023 la causa è stata discussa e decisa.
L’Agenzia delle entrate ed Equitalia hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1, cod. proc. civ.
Considerato che
Preliminarmente deve rigettarsi la richiesta di definizione agevolata della controversia ai sensi dell’art. 3 del d.l. n. 119 del 2018. L’Agenzia delle entrate, invitata a dare informazioni sull’esito dell’attivazione della procedura di definizione del carico esattoriale portato dalla cartella qui oggetto di impugnazione, ha dichiarato che la contribuente è risultata decaduta dalla domanda per omesso pagamento delle rate, con un conseguente carico riscossivo, ancora pendente, pari ad € 123.428,62. Né risulta una rinuncia della ricorrente al ricorso. Stessa dichiarazione è pervenuta da Equitalia Sud spa. Nulla invece si è premurata di chiarire la società contribuente.
Esaminando ora i motivi di ricorso, con il primo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, degli artt. 1-9 e 14 della l. n. 890 della l. 20 novembre 1982, n. 890, degli artt. 148 e 149 cod. proc. civ., dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, quanto alla “inesistenza/nullità/annullabilità//illegittimità/inefficacia” della notifica della cartella di pagamento e dunque della cartella medesima, e degli artt. 115, 116 cod. proc. civ., 2697 e 2727, quanto all’omessa valutazione delle prove documentali allegate agli atti del giudizio di appello, ed all’onere della prova gravante sull’amministrazione finanziaria, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Nella corposa e confusa esposizione del motivo di ricorso, che raccoglie in un’unica censura più critiche rivolte alla decisione, con una inammissibile sovrapposizione di ragioni attinenti ad errori di diritto e accertamenti fattuali relativi alla prova della notifica, senza consentire una chiara lettura ed il discernimento delle questioni proposte, la società, per quanto comprensibile, sembra mettere in discussione le modalità di notificazione della cartella e dunque, pur senza giungere ad una univoca conclusione sugli effetti di tale denunciata irritualità di notificazione (definita letteralmente affetta da “inesistenza/nullità/annullabilità//illegittimità/inefficacia”), della inesistenza o della nullità della cartella medesima.
Anche volendo ignorare l’inammissibilità del motivo, a parte che la cartella erariale risulta comunque tempestivamente impugnata, con conseguente sanatoria di qualunque eventuale irritualità della notifica, questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito che la cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, anche direttamente da parte del Concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona, da lui individuata come legittimata alla ricezione, apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente. Si è a tal fine chiarito che alla notifica della cartella esattoriale può provvedere direttamente il Concessionario, mediante invio diretto di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del comma 1 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, in alternativa rispetto alle modalità previste dalla prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati (Cass., 27 maggio 2011, n. 11708; 19 marzo 2014, n. 6395; 27 marzo 2015, n. 6198; 13 giugno 2016, n. 12083; 5 dicembre 2017, n. 29022; 12 novembre 2018, n. 28872; 19 novembre 2018, n. 29710).
Ciò è quanto avvenuto nel caso ora controverso, e nessun rilievo può assumere la difficoltà di identificazione del soggetto che ha materialmente proceduto alla notifica, attesa l’incontestabile appartenenza al concessionario, agente della riscossione.
Questo collegio intende dare continuità ai principi ora enunciati.
Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 6 della l. 22 luglio 2000, n. 212, dell’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
La contribuente evidenzia che la notificazione della cartella non era stata preceduta da alcun avviso bonario o richiesta di chiarimenti, con conseguente sua nullità.
A parte le riserve sulla sovrapposizione, anche in questo caso, di critiche fondate su diversi presupposti giuridici, va premesso che la cartella oggetto del presente giudizio fu notificata alla società a seguito di un controllo automatizzato, che evidenziò la differenza tra quanto dichiarato nell’Unico 2006, relativo all’anno d’imposta 2005, e le imposte effettivamente versate. Si tratta pertanto di una fattispecie per la quale la mera constatazione della divergenza tra il dichiarato ed il versato non necessita di alcun chiarimento o spiegazione.
Questa Corte, sebbene con declinazioni interpretative distinte, ha chiarito che in merito alla sussistenza o meno dell’obbligo di preventiva comunicazione di irregolarità della dichiarazione, la sua omissione non costituisce un obbligo, e quand’anche lo costituisca, non sempre ad essa consegue la nullità dell’atto impositivo.
Anche a prescindere da quell’orientamento che ne vorrebbe escludere del tutto l’obbligatorietà, una lettura più articolata della disciplina ha evidenziato che «in tema di riscossione delle imposte, nel caso di liquidazione in esito a controllo di dichiarazioni secondo procedure automatizzate, l’emissione di cartella di pagamento con le modalità previste dagli artt. 36 bis, co. 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 -in materia di tributi diretti- e 54 bis, co. 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 -in materia di Iva-, non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell’esito del controllo quando emergano solo meri errori materiali, non occorrendo pertanto in tali ipotesi l’instaurazione del contraddittorio prima dell’iscrizione a ruolo. Parimenti, quando dai controlli emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero una imposta o una maggiore imposta, si è affermato che l’invio della comunicazione di irregolarità al contribuente sussiste sebbene la sua omissione determini una mera irregolarità, non precludendo, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione (cfr. Cass., 7 luglio 2016, n. 13759; 4 luglio 2014, n. 15311). L’obbligo invece sussiste quando dal controllo emergano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, in tal caso determinandosi la necessità di comunicare la liquidazione d’imposta, contributi, premi e rimborsi (Cass., 9 settembre 2016, n. 17829; 28 luglio 2016, n. 15740; 17 febbraio 2015, n. 3154; 27 luglio 2010, n. 17396).
Si individuano dunque due ipotesi nei controlli eseguiti ai sensi dell’art. 36 bis, co. 3, cit. e dell’art. 54 bis per l’iva, quella collegabile al riscontro di meri errori materiali, primo tra tutti l’aver dichiarato un importo di imposta, cui poi non corrisponda il conseguente versamento (come nel caso di cui si controverte), oppure l’erroneo calcolo aritmetico tra reddito percepito, oneri deducibili e detrazioni ai fini della determinazione dell’imposta, in questo caso con il controllo automatizzato, dandosi luogo alla correzione di un mero errore che non richiede interlocuzione con il contribuente e dunque comunicazioni preventive alla emissione della cartella; quella invece riconducibile a controlli automatizzati che, richiedendo non un mero ricalcolo, ma preventive rettifiche dei medesimi dati, va a sua volta distinta in due sottoipotesi, il cui discrimine è segnato dalla presenza di incertezze
su aspetti qualificabili come rilevanti o meno della dichiarazione; in tali ipotesi la comunicazione è dovuta, ma la sua omissione può costituire una mera irregolarità, non incidente sulla validità della cartella di pagamento successivamente emessa, qualora le incertezze riguardino aspetti meno rilevanti della dichiarazione; oppure può incidere più radicalmente sulla validità della procedura automatizzata di liquidazione dei tributi e sulla successiva cartella, qualora il diverso risultato del controllo riveli incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione. Ciò è in linea con il tenore letterale della norma, che nell’ultima parte del terzo comma prevede che «quando a seguito della comunicazione il contribuente o il sostituto d’imposta rilevi eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi lo stesso può fornire i chiarimenti necessari all’amministrazione finanziaria entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione», periodo aggiunto dall’art. 1, co. 1, lett. a), del d.lgs. n. 32 del 2001 -con cui si recepiva la disciplina prevista e prescritta dall’art. 6, co. 5 dello statuto della l. n. 212 del 2000-. Il senso del periodo sarebbe infatti del tutto incomprensibile qualora la comunicazione non fosse ritenuta obbligatoria; essa invece implica l’esigenza della instaurazione di un contraddittorio preventivo alla formazione del titolo esecutivo, finalizzato anche a correggere gli esiti dei controlli eseguiti dalla amministrazione, quando a loro volta erronei. Né la circostanza che la norma, adeguandosi allo statuto del contribuente, non abbia riprodotto la sanzione della nullità per violazione del procedimento, è indicativa di una scelta legislativa tesa a negare conseguenze alla mancata comunicazione, perché è principio affermato e condivisibile quello secondo cui l’art. 6, co 5 cit. -che obbliga all’interpello del contribuente per la liquidazione di tributi in base alla dichiarazione o per un rimborso d’imposta minore a quello richiesto, ove sussistano incertezze su aspetti rilevanti della stessa- ha natura procedimentale, sicché è applicabile immediatamente all’attività accertativa posta in essere successivamente alla sua entrata in vigore, pur se relativa ad anni d’imposta anteriori a tale momento (Cass., n. 17829 del 2016, cit.). Infatti, al di là delle distanze interpretative segnalate da qualche voce della dottrina in ordine alla collocazione dello statuto del contribuente nella gerarchia delle fonti del diritto tributario (se cioè avente forza di legge ordinaria, come per C. Cost., sent. n. 13 del 2010, che ne nega il rango costituzionale, neppure come insieme di norme interposte, o se vincolante perché vincola l’interprete «in forza del canone ermeneutico della interpretazione adeguatrice a Costituzione», come per Cass., Sez. 5, sent. n. 20085 del 2009; o per Cass., Sez. 5, sent. n. 17576 del 2002 – interpretazione quest’ultima che comunque non sovrordina la I. 212 del 2000 alle leggi ordinarie-), è certo che la natura procedimentale della previsione contenuta nell’art. 6 co. 5 cit. per un verso la rende immediatamente applicabile, secondo il principio tempus regit actum, purché l’accertamento sia successivo alla sua entrata in vigore (ancorché relativamente ad anni d’imposta anteriori a tale momento), e per altro verso non si pone in contrasto con la formulazione dell’art. 36 bis, co. 3, il cui contenuto sostanziale è anzi integrato in ordine alle conseguenze sanzionatorie per l’ipotesi di omessa comunicazione, purchè nei limiti delle manifestazioni di incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione» (Cass., 24 gennaio 2018, n. 1711).
Si è in conclusione affermato il seguente principio di diritto, secondo cui «l’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dall’art. 36 bis, co. 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dall’art. 54 bis, co. 3, d.P.R. n. 633 del 1972, non richiede la preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che la procedura di liquidazione automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali, ma richieda rettifiche preventive dei dati contenuti nella dichiarazione, nel qual caso la sua omissione, a seconda che sussistano o meno incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, può costituire mera irregolarità, non incidente sulla validità della successiva cartella di pagamento, oppure può costituire requisito di validità della procedura di liquidazione automatizzata e della conseguente cartella di pagamento, trovando in quest’ultima ipotesi applicazione immediata la nullità prescritta dall’art. 6, co. 5, della l. n. 212 del 2000» (Cass. da ultimo citata).
Nel caso di specie la cartella erariale notificata è stata emessa a seguito del controllo automatizzato sulla mera constatazione della differenza tra l’imposto dichiarato e quello versato. Non occorreva pertanto alcuna comunicazione preventiva al contribuente.
Il motivo va pertanto rigettato.
Le ragioni del rigetto del secondo motivo assorbono il terzo, con cui la società si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quanto e presunte omissioni di motivazione del giudice regionale in ordine al mancato invio della comunicazione.
Con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.
36 bis, d.P.R. n. 600 del 1973, 54 bis del d.P.R n. 633 del 1972, dell’art. 6 della l. n. 212 del 2000, nonché dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto alla «nullità/annullabilità/inesistenza/illegittimità della cartella esattoriale per carenza di motivazione».
La contribuente sostiene l’inadeguatezza della pronuncia, laddove afferma che la cartella impugnata «non manchi di alcuna delle indicazioni dalla legge richieste…».
Con il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 7 della l. n. 212 del 2000, dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto alla violazione del diritto di difesa e al principio di chiarezza degli atti dell’amministrazione finanziaria, per assenza di motivazione dell’atto impugnato in ordine alla causale delle somme pretese dall’Agenzia delle entrate.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché connessi, sono infondati.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente, ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (Cass., 20 settembre 2017, n. 21804; 18 settembre 2020, n. 19498).
Né dai motivi, per come articolati, emergono questioni in ordine agli interessi applicati, così che mancano le condizioni per ritenere che la cartella non sia di per sé sufficiente a far comprendere le ragioni della pretesa fiscale e la determinazione della medesima (peraltro, sui limiti della carenza di motivazione in ordine alla determinazione degli interessi, cfr. Sez. U, 14 luglio 2022, n. 22281).
Con il sesto motivo si duole della violazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto all’omessa valutazione delle prove documentali allegate agli atti del giudizio d’appello.
Con il settimo motivo lamenta la violazione degli artt. 2729 e 2727 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto alla “nullità/annullabilità/inesistenza/illegittimità” della cartella esattoriale, con violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al mancato rispetto dell’onere probatorio, pur gravante sull’amministrazione finanziaria, ai fini della dimostrazione del fondamento della pretesa erariale.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché connessi, sono infondati.
Come chiarito già in premessa, la cartella esattoriale è stata notificata a seguito di un controllo automatizzato, per la riscontrata discrasia tra il dichiarato ed il versato. Si tratta dunque di una emergenza materiale, ictu oculi, che non aveva bisogno di alcuna dimostrazione, provenendo la dichiarazione dalla contribuente medesima, che nel corso della controversia non ha mai negato la circostanza e la causa generatrice dell’atto impositivo. Nessuna prova doveva dunque essere allegata dall’Agenzia delle entrate, che ha semplicemente richiesto il pagamento di quanto dovuto, secondo la dichiarazione proveniente dal medesimo contribuente.
Vengono meno per conseguenza tutte le premesse giuridiche e le ragioni articolate nei motivi ora in esame in merito all’onere della prova ed all’esame delle prove documentali (quali?) allegate dalla società.
Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 2, lett. a) della l. n. 212 del 2000, e 36, comma 4-ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito in l. 28 febbraio 2008, n. 31, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché il giudice regionale non avrebbe tenuto conto della necessità della indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione della cartella di pagamento.
Il motivo è infondato quando non inammissibile. Premesso che la norma ha espressamente previsto che l’indicazione del responsabile del procedimento è richiesta, a pena di nullità, per quelle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008, la difesa della contribuente si è limitata ad affermare che il ruolo fosse stato formato successivamente a tale data. Ciò tuttavia è del tutto privo di riscontri, laddove, con un accertamento in fatto, la commissione regionale ha escluso che il ruolo relativo alla cartella controversa fosse stato emesso in epoca successiva a quella data.
Se poi ciò non rispondeva al vero, il giudice regionale avrebbe deciso compiendo un errore percettivo, la cui impugnazione doveva essere affidata al ricorso per revocazione, ex art. 395, n. 4, cod. proc. civ., e non al ricorso per cassazione.
Con il nono motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 cod, proc. civ., e la conseguente nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per omessa pronuncia sulla eccezione di compensazione con altri crediti nella titolarità della società.
Il motivo è inammissibile perché non risulta eccepito con il ricorso introduttivo.
In conclusione il ricorso va rigettato e all’esito della causa segue la soccombenza della società nelle spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’Agenzia delle entrate e da Equitalia sud, che si liquidano in € 7.000,00 per competenze per ciascuna controricorrente, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
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