CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 24377 depositata il 10 agosto 2023
Tributi – Avviso di pagamento – Accisa – Processi verbali di constatazione – Soggetti/società di comodo – Carenze motivazionali – Errore di diritto – Rigetto – carenza di motivazione della sentenza – revocazione dei provvedimenti della Corte di Cassazione
Rilevato che
1. La S. S.p.A. adiva la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli per impugnare l’avviso di pagamento emesso dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli relativo all’accisa dovuta per l’effettiva destinazione ad uso di autotrazione di un quantitativo di G.P.L. destinato all’uso domestico, a seguito di processi verbali di constatazione del 3/3/1999 e del 14/6/1999.
2. Si era accertato che dall’opificio della S. il prodotto era stato consegnato a soggetti/società di comodo e in luoghi diversi da quelli indicati sui documenti della società, dove non esistevano strutture idonee allo stoccaggio e alla commercializzazione di G.P.L. per uso domestico.
3. La CTP accoglieva il ricorso, l’Agenzia proponeva appello che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania rigettava.
4. Avverso tale decisione l’Agenzia delle dogane e dei monopoli proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, ai quali aveva resistito con controricorso la S. S.p.A., che aveva anche depositato memoria.
5. Questa Corte, con la sentenza indicata in epigrafe, aveva accolto il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, disponendo il rinvio alla CTR della Campania.
6. Avverso questo provvedimento la S. ha proposto ricorso per revocazione ex art. 395, n. 4 c.p.c. notificato in data 9.2.2020.
7. Resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
8. La contribuente deposita memoria.
Considerato che
1. Preliminarmente deve essere disattesa l’istanza proposta dalla ricorrente per la trattazione in pubblica udienza in considerazione del valore della controversia e della complessità delle questioni trattate.
1.1. Invero, in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare (Cass., sez. Un., n. 14437 del 2018), e quando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., sez. Un., n. 8093 del 2020). D’altro canto, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo (Cass., n. 6118 del 2021; Cass. n. 8757 del 2021).
1.2. Nella specie non si presentano questioni di rilievo nomofilattico, neppure sotto il profilo – evidenziato in memoria dell’interpretazione dell’art. 445 comma 2 c.p.p.., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022; la questione non ha alcuna rilevanza nel presente giudizio che non costituisce un ulteriore grado del processo ma un rimedio straordinario che si svolge sul presupposto della ricorrenza di un errore di fatto; né il valore della lite è circostanza sufficiente a giustificare la pubblica udienza; pertanto, la controversia può essere esaminata in camera di consiglio.
2. Va premesso che il motivo accolto dalla Corte riguardava “la nullità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione della Cost., artt. 111, 132, comma 1, n. 4, c.p.c., d.lgs. n. 546 del 1992, 36, comma 2, nn. 2 e 3”.
3. E’ stata ritenuta “fondata la denunciata carenza di motivazione della sentenza della C.T.R., da intendersi quale censura di apparenza della motivazione stessa con conseguente nullità della decisione assunta”.
4. Infatti, prosegue la sentenza, il giudice d’appello si era limitato ad asserire – apoditticamente e senza dar conto di aver considerato le risultanze probatorie – che “non era provato” quanto sostenuto dall’Agenzia (e prima di essa dai militari della Guardia di Finanza) circa la realizzazione di una frode idonea ad escludere il vantaggio fiscale derivante dall’applicazione di agevolazioni alle accise. L’unico elemento dell’istruttoria a cui la pronuncia impugnata aveva fatto cenno era costituito dalla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (cd. patteggiamento) a carico del legale rappresentante della S., asseritamente priva di valore probatorio perché emessa “in assenza di dibattimento”.
5. La Corte ha rinvenuto in questa affermazione una “conferma” della “inadeguatezza della motivazione”, atteso che, come ripetutamente statuito, “la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cd. “patteggiamento”) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale vi abbia prestato fede. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell’accertamento“.
6. Contro questa decisione, la S. deduce tre motivi di revocazione.
7. Con il primo motivo invoca la revocazione della sentenza per omessa pronuncia sulla eccepita inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione accolto, il quarto motivo, dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (“anche il quarto motivo è inammissibile e infondato”).
7.1. La questione è palesemente inconferente e, quindi, inammissibile, perché è stato accolto il terzo motivo non il quarto, ritenuto invece assorbito insieme agli altri (“L’accoglimento del terzo motivo comporta l’assorbimento delle ulteriori censure”).
8. Con il secondo motivo chiede la revocazione per “omessa pronuncia e per contraddittorietà della sentenza”, osservando che i precedenti giudici non avevano considerato l’eccezione, comunque rilevabile d’ufficio, formulata dalla S. con la memoria e cioè quella del giudicato interno formatosi sulla statuizione, non gravata dall’Agenzia, con cui la CTP aveva ritenuto non provato che i fatti posti a fondamento dell’avviso fossero gli stessi di quelli accertati dal Giudice penale.
8.1. Anche questo motivo è inammissibile.
8.2. In primo luogo, il motivo, come eccepito dalla controricorrente, difetta di autosufficienza in quanto, non riportando il contenuto dell’atto d’appello, non consente alla Corte di verificare la ricorrenza dell’invocato giudicato interno sulla base della sola lettura del ricorso.
8.3. Va altresì tenuto presente che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, la revocazione dei provvedimenti della Corte di Cassazione è consentita soltanto nel caso previsto dall’art. 395, n. 4 c.p.c. di “errore percettivo”, che consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto la cui verità sia incontestabilmente esclusa ovvero l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita dagli atti o documenti di causa, qualora il fatto non sia stato un punto controverso oggetto della sentenza impugnata (Cass., n. 37382 del 2022; Cass. n. 25752 del 2022), non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. n. 10040 del 2022; Cass. n. 20635 del 2017) e ricadenti su un punto controverso (Cass. n. 2236 del 2022).
8.4. In questo caso è palese che la censura non riguarda un fatto ma l’interpretazione e la valutazione delle risultanze processuali; invero, l’errata presupposizione della sussistenza o meno del giudicato non costituisce errore di fatto, rilevante ai fini della revocazione ex art. 395, n. 4 c.p.c., ma errore di diritto, in quanto il giudicato, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici, sicché la sua interpretazione va assimilata, per natura ed effetti, a quella delle norme giuridiche (Cass. n. 28138 del 2019; Cass. n. 10930 del 2017; Cass. n. 10040 del 2022).
8.5. Sotto altro profilo, va evidenziato il difetto di decisività dell’asserito “errore” perché la ratio decidendi si fonda sull’apparenza della motivazione della sentenza della CTR e le errate considerazioni della CTR sulla sentenza penale di patteggiamento hanno costituito soltanto “conferma” delle carenze motivazionali della sentenza d’appello.
9. Con il terzo motivo la ricorrente chiede la revocazione per violazione dell’ordine logico della decisione.
9.1. Osserva in proposito che la CTR aveva respinto l’appello secondo due distinte rationes decidendi: la prima, in forza della quale aveva dichiarato la nullità dell’avviso di accertamento per vizio di motivazione, la seconda relativa al merito della pretesa; la Corte, cassando la sentenza per motivazione apparente sulla insussistenza del merito della pretesa fiscale, era incorsa in una svista, rilevante come errore revocatorio, in quanto avrebbe dovuto esaminare prima la questione relativa alla nullità formale dell’atto impositivo, sulla scorta del principio secondo cui il Giudice è libero di scegliere tra varie questioni di merito quella più liquida ma deve esaminare per prime le questioni pregiudiziali di rito rispetto a quelle di merito.
9.2. Questo motivo è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, infondato.
9.3. E’ inammissibile perché, ancora una volta, ci si trova nel campo delle valutazioni giuridiche, tanto è vero che lo stesso ricorrente richiama un preciso principio processuale a conforto della asserita “svista” che costituirebbe, tutt’al più, un errore di diritto.
9.4. Il motivo, poi, è infondato perché non ricorre il vizio lamentato, a prescindere dalla sua qualificazione, in quanto la censura di nullità per apparente motivazione riguardava un profilo pregiudiziale rispetto a tutte gli altri motivi di ricorso e l’accertamento di quel vizio, determinando la nullità della sentenza e, quindi, il venir meno di ogni statuizione in essa contenuta, ha provocato l’assorbimento di ogni ulteriore doglianza.
10. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del/la controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.