Corte di Cassazione ordinanza n. 24720 depositata il 3 ottobre 2019

condominio – uso del cortile comune – limiti ale alterazioni o modifiche

FATTI DI CAUSA

1.- P., M., L., G. e F.V. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Nola C.M., esponendo di essere comproprietari di alcuni cespiti in (OMISSIS), ereditati dal padre, e che annessi a tali beni vi erano i proporzionali diritti alla comunione dei cosiddetti “comodi”, esistenti nel cortile comune, come il forno, il pozzo, il cellaio, il lavatoio e la grotta adibita a cantina. Deducevano che, a seguito dei lavori eseguiti dalla C. sugli immobili di sua proprietà, siti sul lato destro entrando dall’androne di accesso della via (OMISSIS), ove si trovavano gli immobili dei F., la stessa aveva commesso alcuni illeciti, in particolare abbattendo il forno ed appropriandosi della relativa area di sedime, aprendovi un vano per accedere alla sua proprietà, rompendo e modificando la volta del cunicolo di accesso alla grotta, modificando l’originario piano di scolo del cortile. Chiedevano pertanto gli attori che la convenuta venisse condannata al ripristino dello stato dei luoghi nonché al risarcimento dei danni per il mancato utilizzo da parte degli attori delle cose comuni.

La domanda venne parzialmente accolta, e la convenuta condannata al riassetto del cortile comune.

La C. propose appello. Nel giudizio si costituì solo il F., divenuto unico proprietario dei cespiti di cui si tratta, con conseguente cessazione di ogni interesse degli altri attori alla vicenda giudiziaria.

Il F. propose appello incidentale chiedendo l’accoglimento delle domande già proposte.

2. – La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 10 giugno 2015, rigettò l’appello principale e quello incidentale. Osservò la Corte di merito che emergeva dalle relazioni peritali che il piano di scolo originario del cortile risultava modificato e rialzato in una buona parte del cortile, che si presentava pavimentata con asfalto, mentre solamente in corrispondenza con la proprietà F. la porzione di corte era rimasta in terra battuta. Questo poteva comportare, in caso di nubifragio, un maggiore deflusso delle acque piovane verso la grotta cantina. Era dunque fondata la doglianza attorea su questo punto.

Quanto all’appello incidentale relativo alle domande concernenti l’abbattimento del forno, l’appropriazione della relativa parte di sedime da parte della C. nonché la rottura e modifica della volta del cunicolo di accesso alla grotta, la Corte rilevò che il forno condominiale era già crollato all’epoca della ordinanza sindacale del 12 giugno 1985, in cui infatti se ne dava atto. Quanto alla utilizzazione dell’area di sedime la Corte richiamò l’art. 1102 c.c., osservando che nel caso in esame non era stata alterata la destinazione del cortile, già destinato al passaggio e alla sosta di autovetture, sicché l’utilità ricavata dalla C. non era in contrasto con la specifica destinazione dell’area cortilizia. Ne’ la stessa aveva sottratto l’area in questione alla possibilità di godimento degli altri comproprietari, i quali potevano transitarvi, non lasciare le auto in sosta perché questo avrebbe impedito alla C. di utilizzare il proprio vano terraneo. Ma neanche in passato vi era stata tale utilizzazione perché prima vi era il forno, poi i suoi resti.

Quanto alla richiesta di ripristino dello stato dei luoghi dopo che la C. aveva rotto e modificato la volta del cunicolo di accesso alla grotta, la Corte escluse che i danni relativi potessero essere posti a carico della stessa C., in mancanza di una prova concreta in ordine alla sua responsabilità. L’onere della relativa prova era a carico dell’attore.

3.-Per la cassazione di tale sentenza ricorre la C. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso il F., che propone ricorso incidentale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta “nullità ed illogicità e contraddizione logico-giuridica della sentenza nonché omessa pronuncia violazione ex art. 360 c.p.c.”. Il giudice di merito avrebbe erroneamente valutato le prove testimoniali assunte nel processo relativamente all’imputabilità alla ricorrente del rifacimento delle opere di pavimentazione all’interno dell’area cortilizia in questione, non avendo il F., sul quale gravava il relativo onere, fornito alcuna prova diretta circa l’autore della esecuzione di tali lavori, ed essendosi la Corte partenopea attenuta acriticamente alle conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. che, senza alcun riscontro testimoniale ne’ documentale, pur in presenza di un’area estesa dai 750 agli 800 mq., e di cinque comproprietari, aveva affermato che l’intera area, e non solo quella antistante la proprietà della C., era stata asfaltata a cura e spese della stessa. La Corte di merito avrebbe sostanzialmente operato una inversione dell’onere della prova, negando ogni rilievo, in quanto generico e non provato, all’assunto della appellante in ordine alla circostanza che la nuova pavimentazione fosse stata realizzata dai diversi comproprietari, ciascuno per la parte prospiciente la sua proprietà esclusiva, laddove, in presenza del mancato riconoscimento da parte della convenuta, attuale ricorrente, della fondatezza della domanda, sarebbe spettato all’attore fornirne la dimostrazione.

2.- La censura e’ immeritevole di accoglimento.

Invero nessuna inversione dell’onere della prova e’ stata operata dal giudice di secondo grado. La Corte di merito, invece, dato atto della prova testimoniale espletata nel corso del giudizio di primo grado, ha poi, in modo analitico ed articolato, preso in esame le risultanze delle due c.t.u. assunte nel corso del processo (ed in particolare della seconda di esse), sottoposte ad un attento esame e precisate nella loro portata. Essa ha rilevato che il cortile comune, esteso per circa 750 mq., risultava modificato e rialzato in prossimità dei fabbricati della C., e pavimentato con asfalto nella quasi totalità della sua estensione, mentre solo per un centinaio di metri a ridosso della proprietà F. la porzione di corte continuava a presentarsi in terra battuta, e che ciò poteva comportare, in caso di nubifragio, un maggiore deflusso delle acque pluviali verso la grotta-cantina, avuto riguardo alla perdita della originaria assorbenza del cortile ed alla insufficienza per dimensioni e capacità dell’unico pozzetto raccoglitore esistente a ricevere e smaltire rapidamente le acque del cortile pavimentato. Ciò posto, la Corte partenopea ha osservato che, come confermato dal c.t.u., la pavimentazione di cui si tratta era stata realizzata a cura e spese della C. e ne ha tratto la conclusione che costei fosse tenuta, come già disposto dal giudice di primo grado, al riassetto del cortile mediante eliminazione dei rialzi e degli affossamenti del cortile.

A fronte di tali argomentazioni il giudice di secondo grado ha negato ogni rilievo, siccome sfornita di alcun elemento di concretezza, alla tesi difensiva della attuale ricorrente, secondo la quale la nuova pavimentazione sarebbe stata realizzata dai diversi comproprietari, ciascuno per la parte prospiciente la sua proprietà esclusiva.

3. – La seconda doglianza in cui si articola il ricorso principale ha ad oggetto la “errata valutazione degli esiti della consulenza tecnica di ufficio depositata in atti”. La Corte di merito avrebbe male interpretato le risultanze peritali, ritenendo che il c.t.u. geom. C. avesse concluso nel senso che la ricorrente aveva pavimentato l’intera area comune e non solo quella antistante la sua proprietà. Inoltre, la sentenza impugnata non sarebbe eseguibile perché contra legem, in quanto, pur riconoscendo l’esistenza di diversi comproprietari dell’area in questione, avrebbe ordinato alla ricorrente di apportare modifiche sulle proprietà di soggetti diversi dal soccombente.

4. – La censura non può trovare ingresso nel presente giudizio, in quanto la sua formulazione non consente la individuazione della tipologia di vizio deducibile per cassazione ex art. 360 c.p.c. che si intende evocare. Senza considerare che, comunque, essa si fonda su di una erronea lettura della consulenza cui si riferisce. Invero, da quanto emerge dal suo contenuto, riportato nel corso della illustrazione della censura, il c.t.u. geom. Ce., nel riferire che il cortile comune era stato notevolmente rialzato in corrispondenza dei fabbricati ristrutturati dalla C., precisò altresì che esso era stato pavimentato con un tappetino bituminoso nella quasi totalità della sua estensione. Non si riscontra, dunque, alcuna contraddizione nella relazione peritale, ne’ nella interpretazione della stessa fornita dalla Corte di merito.

Errato risulta altresì il rilievo relativo alla pretesa contrarietà a legge della sentenza impugnata per aver posto a carico della C. un’attività non consentita. La Corte di merito ha infatti chiarito che tale attività di riassetto del cortile non incide sulle proprietà esclusive degli altri comproprietari, ma su di un bene comune, avendo come obiettivo il ripristino delle quote originarie dello stesso attraverso la eliminazione dei rialzi e degli affossamenti del cortile.

5.- Passando all’esame del ricorso incidentale, esso si articola in un unico motivo, con il quale si lamenta “violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Rileva il ricorrente incidentale di essersi doluto nel giudizio di merito che la signora C., nel ristrutturare il proprio fabbricato, avesse ampliato un suo preesistente vano-porta largo circa un metro, adibito ad accesso pedonale, modificandolo in un vano-porta largo mt. 2,50 ed utilizzandolo per l’accesso ad un suo locale terraneo, trasformato in autorimessa, in tal modo imprimendo una diversa destinazione funzionale a quella zona di cortile posta davanti alla nuova porta di ingresso di detta autorimessa, che originariamente era area di sedime di un forno poi abbattuto di iniziativa della stessa C.. In relazione a tale doglianza avrebbe errato la Corte di merito nell’affermare che l’utilità ricavata dalla C. con l’ampliamento di cui si tratta non sarebbe in contrasto con la specifica destinazione dell’area cortilizia, e che non sottrarrebbe lo spazio cortilizio antistante alla porta ampliata alla possibilità di godimento degli altri comproprietari, essendo detto spazio libero. Al contrario, esso sarebbe, secondo il ricorrente incidentale, concretamente asservito alla proprietà esclusiva della C..

6. – La doglianza coglie nel segno.

Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, in considerazione dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al condomino, che nell’uso della cosa comune non deve alterarne la destinazione ne’ impedire agli altri comunisti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, l’alterazione o la modificazione della destinazione del bene comune si ricollega all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, giacché l’utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte del condomino e’ consentita quando la stessa non alteri l’equilibrio fra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e non determini pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti di costoro (cfr. Cass., sent. n. 1072 del 2005).

Questa Corte ha altresì chiarito in proposito che tra le destinazioni accessorie del cortile comune, la cui funzione principale e’ quella di dare aria e luce alle varie unità immobiliari, rientra quella di consentire ai condomini l’accesso a piedi o con veicoli alle loro proprietà, di cui il cortile costituisce un accessorio, nonché la sosta anche temporanea dei veicoli stessi, senza che tale uso possa ritenersi condizionato dall’eventuale più limitata forma di godimento del cortile comune praticata nel passato (Cass., sent. n. 13879 del 2010).

Nella specie, la Corte di merito non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto. Essa, infatti, si e’ limitata ad escludere che la signora C., con l’ampliamento realizzato, abbia sottratto l’area in questione, che ha considerato “libera”, alla possibilità di godimento degli altri comproprietari, senza valutare adeguatamente la circostanza che la stessa, conseguito il risultato di utilizzare parte del cortile comune per accedere con la propria autovettura al vano il cui varco e’ stato ampliato, e, quindi, di porre detta parte al servizio dell’autorimessa da lei realizzata, abbia indebitamente limitato il diritto degli altri comproprietari al pari uso del cortile, avuto riguardo alla ormai esclusiva utilizzazione dell’area per il transito di mezzi verso la (o dalla) autorimessa. Avrebbe dovuto la Corte – come correttamente richiesto dal ricorrente incidentale – porsi il problema se la trasformazione operata dalla C. avesse alterato l’equilibrio tra le concorrenti – sia pure non identiche – utilizzazioni attuali e potenziali del bene comune da parte degli altri comproprietari. Non e’ sufficiente, al riguardo, sottolineare, come ha fatto il giudice di secondo grado, che nemmeno in epoca anteriore alla trasformazione i comproprietari utilizzassero lo spazio di cui si tratta per parcheggiare le proprie autovetture, in quanto in un primo momento detto spazio era occupato dal forno e poi dai resti dello stesso, e che comunque anche in origine era presente il varco, sia pure all’epoca di soli mt. 1,50. Tale considerazione non chiarisce, infatti, la ragione per la quale si sia ritenuta legittima siffatta limitazione del diritto dei comproprietari, che, anteriormente ai lavori, ben avrebbero potuto parcheggiare i propri mezzi nell’area de qua.

7. – Conclusivamente, va rigettato il ricorso principale, mentre va accolto quello incidentale. La sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso accolto, e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, che riesaminerà la questione con esso sollevata alla stregua dei principi di diritto richiamati sub 6. Il giudice del rinvio provvederà altresì al regolamento delle spese del presente giudizio.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 -, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso incidentale, rigetta quello principale. Cassa la sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Dà atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 -, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.