CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 25025 depositata il 22 agosto 2023
Lavoro – Ammissione in linea privilegiata al passivo del fallimento – TFR – CIG in deroga – Fondo di tesoreria INPS – Previdenza complementare – Fondo sociale per l’occupazione e la formazione – Accoglimento
Fatti di causa
Il tribunale di Palermo, sezione fallimentare, con la ordinanza n. 802/2019, ammetteva D.B.A., in linea privilegiata, ai sensi dell’art. 2751 bis c.c, al passivo del Fallimento GE.S.I.P. Palermo spa in liquidazione, anche per l’ulteriore importo di E. 4.576,30, a titolo di TFR oltre interessi legali sino alla data di deposito del progetto di riparto, nel quale il credito è soddisfatto anche parzialmente, e rivalutazione monetaria sino alla data di esecutorietà dello stato passivo.
Il tribunale premetteva che la D.B. aveva chiesto l’ammissione in linea privilegiata al passivo del fallimento per la somma complessiva di E. 12.479,42 a titolo di TFR maturato e rimasto in azienda. Il Giudice Delegato aveva ammesso il credito limitatamente alla somma di E. 7.903,12, rigettando la residua parte trattandosi di somme trasferite al Fondo di tesoreria e quindi dovute dall’Inps.
La D.B. aveva proposto ricorso in opposizione insistendo per l’intero credito, rilevando di aver ricevuto dal Fondo le somme versate dalla società in bonis, ma che GESIP nel periodo settembre 2012-dicembre 2014 aveva usufruito di CIG in deroga e che, dunque, per tale periodo il TFR gravava sul datore di lavoro e non sul Fondo.
Il tribunale accoglieva l’opposizione così proposta valutando che la CIG in deroga è una ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro con integrazione salariale e che, non avendo detta integrazione natura previdenziale, l’accantonamento del relativo TFR è di spettanza del datore di lavoro.
Soggiungeva, peraltro, che ove il datore di lavoro non fornisca la prova di averlo versato al Fondo di Tesoreria dell’Inps, lo stesso resta direttamente obbligato e le somme non possono essere richieste al predetto Fondo. Nel caso in esame il tribunale, atteso che la Curatela non aveva dato prova di aver versato al Fondo il TFR in questione, il relativo credito della lavoratrice era da ammettersi al passivo in privilegio.
Avverso detta decisione la Curatela del Fallimento proponeva ricorso.
D.B.A. rimaneva intimata.
Ragioni della decisione
1. E’ dedotta: violazione e falsa applicazione dell’art. 2120, terzo comma c.c., per erronea estensione della disciplina della norma denunciata alla Cassa Integrazione in Deroga, istituto eccezionale di natura assistenziale e non previdenziale (primo motivo);
violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 64 l. 92/2012, e dell’art. 2120, terzo comma c.c., per non avere il Tribunale ritenuto la Cassa Integrazione Guadagni in Deroga, istituto eccezionale di natura assistenziale e non previdenziale, discrezionalmente concesso dal Ministro del Lavoro, senza individuazione di cause integrabili, ad imprese appartenenti a settori produttivi esclusi da CIGO e CIGS, finanziato non dai loro contributi, ma dalle risorse pubbliche destinate alla tutela dei lavoratori appartenenti ad esse, nell’ambito del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 14 disp. prel. c.c., per non avere il Tribunale considerato insuscettibile di interpretazione analogica l’art. 2120, terzo comma c.c., in quanto norma eccezionale (terzo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. prel. c.c. e dell’art. 2, secondo comma l. 464/1972, per avere il Tribunale ritenuto non estensibile alla Cassa Integrazione Guadagni in Deroga la norma denunciata, di posizione a carico dell’Inps delle quote di T.f.r. maturate durante il periodo di integrazione salariale, qualora, come nel caso di specie, il rapporto sia cessato al suo termine (quarto motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 756 l. 296/2006 e dell’art. 2116 c.c., per esclusione dell’obbligo del “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei T.f.r.” di corresponsione del T.f.r., in assenza di versamento da parte del datore di lavoro delle quote via via maturate, per la loro reciproca indipendenza (quinto motivo).
Le doglianze, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono parzialmente fondate, secondo quanto si dirà, in riferimento alle quote di T.f.r. maturate nel periodo 1° settembre 2012 – 31 dicembre 2014 e invece infondate in riferimento alle quote di T.f.r. maturate nel periodo anteriore;
2. il Collegio intende dare continuità alle pronunce, nella medesima vicenda, n. 25838, 25840, 25841, 25842, 25843, 37945/2022 nelle quali sono stati espressi i seguenti principi di diritto: a) la Cassa integrazione in deroga, istituita dall’art. 2, comma 64, della l. n. 92 del 2012, in quanto caso di sospensione totale o parziale in cui è riconosciuta l’integrazione salariale, rientra nella previsione del terzo comma dell’art. 2120 c.c., prevedendo un periodo di assenza dal lavoro con diritto alla retribuzione, eventualmente soddisfatto in tutto o in parte in forma previdenziale, che figura come periodo di retribuzione normale, anche se la stessa è conservata solo nei limiti di una aliquota percentuale; b) il pagamento della Cassa integrazione in deroga (CIGD) spetta, qualora il lavoratore non sia rioccupato alla cessazione del periodo alle dipendenze del datore di lavoro, al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; con la conseguenza che, in caso di fallimento del datore di lavoro, il dipendente non ha diritto all’ammissione allo stato passivo del credito per le quote di TFR maturate in tale periodo, ma di quelle del periodo anteriore trasferite nel Fondo di Tesoreria, di cui non sia provato il versamento da parte del datore di lavoro;
3. nel valutare se la regola di maturazione a favore del lavoratore del T.f.r., in caso di sospensione del rapporto di lavoro per l’intervento della cassa integrazione guadagni, operi anche per la CIGD, e a carico di chi gravi, reputa questa Corte, condividendo quanto ritenuto dal Tribunale di Palermo, che la CIGD debba essere computata ai fini del T.f.r., quale ulteriore strumento di integrazione salariale, a sostegno delle situazioni derivanti dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi del Paese, per gli anni 2013- 2016, con utilizzazione delle risorse finanziarie a tal fine destinate nell’ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione (istituito nello stato di previsione dell’allora Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, nel quale confluenti anche le risorse del Fondo per l’occupazione e le risorse comunque destinate al finanziamento degli ammortizzatori sociali concessi in deroga alla normativa vigente e quelle destinate in via ordinaria dal CIPE alla formazione, a norma dell’articolo 18, primo comma, lett. a) d.l. n. 185/2008, conv. con mod. in legge n. 2/2009); e che tale trattamento gravi, secondo l’illustrata legge istitutiva, a carico del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
5. quanto poi al trasferimento delle quote di T.f.r. maturate dopo il 1° gennaio 2007 al Fondo di Tesoreria, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per il quale, in tema di loro pagamento, deve essere escluso l’obbligo del Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall’Inps, ove il datore di lavoro (appaltatore o il committente, obbligato solidale ex lege) non provi(no) l’avvenuto versamento al Fondo delle quote di T.f.r., costituendo tale circostanza fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro, che deve provare chi lo eccepisca (Cass. 15 novembre 2017, n. 27014; Cass. 2 maggio 2019, n. 11536);
5. la ricostruzione del sistema della previdenza complementare è, infatti, nel senso della qualità del datore di lavoro non di mero adiectus solutionis causa, posto che non perde la titolarità dell’obbligazione di corrispondere il T.f.r.; perché l’art. 1, commi 755 – 757, legge n. 296/2006 e il d.m. 30 gennaio 2007 delineano un quadro in cui l’intervento del Fondo, nei casi in cui è previsto, dà luogo ad un rapporto trilaterale tra datore di lavoro, Fondo e prestatore di lavoro, in virtù del quale: a) il primo è obbligato nei confronti del secondo a versare il T.f.r., al pari di quanto avviene per le contribuzioni previdenziali; b) il secondo è tenuto ad erogare le prestazioni secondo le modalità previste dall’art. 2120 c.c., nei limiti della quota maturata a decorrere dall’1 gennaio 2007, mentre la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro; c) la materiale erogazione del T.f.r. è affidata al datore di lavoro anche per la parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio sui contributi dovuti al Fondo stesso ed agli altri enti previdenziali;
6. per quanto allora qui in particolare interessa, la lavoratrice è legittimata all’ammissione allo stato passivo del datore di lavoro fallito per le quote di T.f.r. non versate al Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall’Inps (Cass. 16 maggio 2018, n. 12009; Cass. 10 settembre 2021, n. 24510);
7. nel caso di specie, la lavoratrice alle dipendenze della società fallita, che ha fruito del periodo di integrazione salariale in deroga (CIGD) da settembre 2012 a dicembre 2014, ha cessato il rapporto al suo termine in data 31 dicembre 2014, essendo stata assunta il 1° gennaio 2015 da un’altra società, per effetto del trasferimento del ramo d’azienda cui era addetta, ai sensi dell’art. 47, primo comma, legge n. 428/1990, non essendo stata quindi rioccupata alle dipendenze della società datrice fallita; ha pertanto diritto all’ammissione allo stato passivo di un ulteriore credito, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis c.c., per le quote di T.f.r. maturate nel periodo dal 1° gennaio 2007, in quanto trasferite al Fondo di Tesoreria e non essendo stato provato dalla curatela fallimentare il loro versamento da parte della datrice fallita (come accertato dal Tribunale), fino all’inizio del periodo di CIGD (settembre 2012); non invece per quelle maturate da tale data e fino alla fine del periodo di CIGD, coincidente con quella del rapporto di lavoro (31 dicembre 2014), che devono invece, in parziale accoglimento del ricorso, essere detratte dal credito a titolo di T.f.r. maturato nel periodo successivo al 1° gennaio 2007 ed escluse dallo stato passivo del Fallimento, in quanto non a carico, per le ragioni illustrate, della società datrice di lavoro fallita, ma del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
8. pertanto il ricorso deve essere accolto nei limiti suesposti e rigettato nel resto, con la cassazione del decreto impugnato in parte qua e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Palermo in diversa composizione;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi indicati in motivazione, rigettato nel resto; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi come accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Palermo in diversa composizione.