CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 26671 depositata il 15 settembre 2023
Tributi – Avviso di accertamento – Plusvalenza non dichiarata conferimento terreno con fabbricato – Mutuo – Rigetto
Ritenuto che
L.L. ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 6016/35/2015, dep. il 17/11/2015 che, accogliendo l’appello dell’Agenzia, ha riformato la decisione dei primi giudici.
Risulta dalla sentenza impugnata che in data 13.3.2003 il contribuente aveva acquistato un terreno con fabbricato per il prezzo di Euro 723.040.00 e aveva chiesto e ottenuto due mutui, rispettivamente di Euro 507.504.00, e 5.500.000, entrambi garantiti da ipoteca sul predetto terreno con fabbricato; successivamente, in data 7.7.2006, costituiva la società O. S.r.l. uni personale, nella quale conferiva gli immobili a copertura dell’intera quota, per un valore di Euro 6.499.504,00.
L’Agenzia, a seguito di pvc, notificava al contribuente un avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2006, con il quale recuperava a imposizione la plusvalenza non dichiarata del conferimento del terreno con fabbricato, adibito ad attività commerciali (supermercato), nella società appositamente costituita (O. S.r.l.) e interamente partecipata dal contribuente. Secondo l’Agenzia, il contribuente aveva illegittimamente indicato una minusvalenza, in quanto al valore di stima del terreno con fabbricato, corrispondente a Euro 6.499.504, come da perizia di parte, era stato sottratto l’ammontare complessivo dei due mutui (Euro 507.504.00- Euro 5.500.000 Euro 6.007.504,00), cosicché il valore “netto” individuato era pari a 492.000,00, ben al di sotto del prezzo d’acquisto. L’ufficio rideterminava quindi la plusvalenza imponibile, nella misura di Euro 5.776.464,00, assumendo che “la cessione dei debiti ricompresi nel valore dell’immobile sono da considerarsi corrispettivi al momento del conferimento (non gravano più sulla persona fisica, ma sulla società”.
Su ricorso del contribuente, che deduceva l’erroneità dell’accertamento, che non aveva tenuto conto dei costi sostenuti per gli immobili conferiti, compreso l’ammontare dei due mutui, la CTP accoglieva il ricorso.
Come risulta dalla sentenza qui impugnata, oltre che dalle trascrizioni di cui al ricorso ed al controricorso, la CTP rilevava che l’Ufficio solo in sede contenziosa aveva, inammissibilmente, integrato la motivazione dell’accertamento riguardo al fatto, peraltro non provato, che le somme conseguite con i mutui erano state trattenute dal contribuente dopo avere conferito l’immobile. Concludeva quindi che, eliminando il riferimento, inammissibile, all’acquisizione da parte del contribuente delle somme concesse a mutuo dalle banche, il valore della partecipazione societaria acquisita con il conferimento dell’immobile non poteva che essere pari alla differenza fra l’attivo (valore di mercato dell’immobile) e passivo (debito per mutui gravanti sull’immobile). Aggiungeva infine che l’ipotesi che le somme ricevute a mutuo fossero state utilizzate per valorizzare gli immobili e non trattenute dal contribuente non era rilevante ai fini della deduzione dei costi, non specificamente e tempestivamente documentati, anche se era rilevante “per escludere o rendere di scarsa attendibilità l’ipotesi inammissibilmente formulata solo in questa sede dalla stessa Agenzia circa l’acquisizione delle somme erogate dalle banche da parte del ricorrente”.
Contro l’indicata sentenza l’Agenzia delle entrate proponeva appello, lamentando l’erroneità e contraddittorietà della sentenza in quanto – come emergente dal pvc, foglio 5- era stato evidenziato che le somme dei due mutui erano rimaste nella piena disponibilità del L., non sussistendo pertanto alcuna successiva integrazione della motivazione dell’accertamento che rendesse inammissibile la proposizione della relativa questione in giudizio; e che avendo la CTP accertato la mancanza di prova degli ingenti costi asseritamente sostenuti avrebbe dovuto respingere il ricorso. L’appellato eccepiva che rispetto ai due capi distinti della sentenza di primo grado (il primo relativo all’eccezione del trattenimento delle somme dei mutui da parte del L. e il secondo sulla infondatezza della pretesa) l’Ufficio avesse impugnato solo il primo di essi (relativo alla inammissibilità) e non il secondo (relativo alla infondatezza).
La CTR ha accolto l’appello dell’Ufficio, ritenendo adeguatamente motivato l’accertamento e carente la documentazione di costi deducibili da parte del contribuente, superando l’eccezione di inammissibilità dell’appello, non essendovi una autonoma statuizione non impugnata circa il merito della pretesa, ma piuttosto “rilievi ad colorandum della bontà ed equità della decisione adottata”. Nel merito ha affermato che: “in caso di conferimento di un immobile in una società il corrispettivo ricavato dal conferente deve essere calcolato tenendo conto anche delle quote residue dei mutui che siano trasferite a carico della società, perché, il conferente a fronte della perdita dell’immobile, si arricchisce, per così dire, non solo in ragione del valore netto del suo conferimento nella società, ma anche per il fatto di essere sgravato dei debiti assunti dalla società”.
Contro la indicata sentenza propone ricorso affidato a tre motivi L.L.; resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
1. Con il primo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 156, comma 2, 100 e 324 c.p.c. e 2909 c.c., per non avere la CTR dichiarato inammissibile l’appello dell’Ufficio, che avrebbe impugnato una sola delle due autonome rationes decidendi della sentenza di primo grado (ovvero quella relativa alla dichiarata inammissibilità in rito della questione relativa al trattenimento delle somme relative ai mutui da parte del contribuente, in quanto sarebbe stata nuova rispetto alla motivazione dell’avviso d’accertamento), con conseguente acquiescenza – e, dunque, il formarsi del “giudicato” e al contempo l’insussistenza dell’interesse sulla impugnazione proposta- rispetto a quella non impugnata, relativa al merito dell'”acquisizione o meno da parte del contribuente, conferente dell’immobile, dei netti ricavi dei mutui bancari” (cfr. pag. 8 del ricorso).
2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
2.1. Infatti, il mezzo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, in quanto la deduzione della formazione di un preteso giudicato sul fatto del non trattenimento, da parte del contribuente, delle somme date a mutuo non si misura con la motivazione della sentenza d’appello, laddove si afferma chiaramente che, ai fini della plusvalenza, è irrilevante l’utilizzo da parte del venditore delle somme ricevute dal mutuo ipotecario gravante sull’immobile che poi ha conferito; ciò che conta è che, conferendo l’immobile, egli si sarebbe arricchito non solo del valore netto del bene conferito, ma anche della parte residua di mutuo che si è accollata la conferitaria. Quindi il preteso giudicato sull’utilizzazione delle somme rivenienti dal mutuo sarebbe comunque irrilevante nell’ottica della decisione della CTR.
2.2.Tanto premesso, deve inoltre rilevarsi che, nella prospettiva della sentenza di primo grado (ritenuta sul punto errata da parte della CTR), l’allegazione del fatto del trattenimento, da parte del contribuente, delle somme derivate dall’accensione dei mutui, costituiva un’inammissibile nuova, ed essenziale, deduzione dell’Agenzia, rispetto all’originaria motivazione dell’atto impositivo, quindi integrava un inammissibile mutamento degli elementi costitutivi della pretesa erariale, cristallizzata in fatto nella motivazione dell’accertamento (cfr. Cass. 26/02/2020, n. 5160).
La ritenuta inammissibilità, in rito, di tale novum ne avrebbe pertanto dovuto comportare meramente l’esclusione del thema decidendum, con conseguente esaurimento della funzione decisoria sul punto, configurandosi pertanto quali mere considerazioni ad abundantiam le ulteriori valutazioni in merito della CTP, la cui impugnazione, unitamente alla censura sulle ragioni dell’inammissibilità in rito, non sarebbe stata quindi ammissibile (Cass., sez. un., 30/10/2013, n. 24469; conforme, ex multis, Cass. 19/12/2017, n. 30393), né dunque necessaria per evitare il giudicato, non avendo la parte soccombente l’onere né l’interesse ad impugnarla, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione (Cass. 16/06/2020, n. 11675).
2.3. Infine, deve rilevarsi che, nel caso di specie, la natura di mere considerazioni ad abundantiam, e non di autonoma ed ulteriore ratio decidendi, delle considerazioni della CTP sulla questione (ritenuta comunque dalla CTR irrilevante) del trattenimento da parte del contribuente delle somme mutuate, risulta ulteriormente palesata dalla circostanza che, nell’esprimerle, la sentenza di primo grado ribadisce che si tratta di “ipotesi inammissibilmente formulata solo in questa sede”, ovvero ne conferma e premette l’esclusione dal thema decidendum e probandum, non compatibile con una contestuale e concorrente ratio che, in ipotesi, ne valuti prova e fondatezza.
2.5. Correttamente pertanto la CTR ha ritenuto ammissibile l’appello e lo ha accolto, escludendo l’asserita e inesistente integrazione della motivazione dell’avviso di accertamento, nel quale “erano state adeguatamente indicate tutte le circostanze rilevanti ai fini della evidenziazione della plusvalenza contestata, mentre la specificazione che il contribuente aveva trattenuto le somme derivate dall’accensione dei mutui poteva servire solo, superfluamente, ad argomentare, magari coloristicamente e atecnicamente, circa la sussistenza della plusvalenza”.
3. Con il secondo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’ art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione della l. n. 212 del 2000, artt. 7 e del d.p.r. n. 600 del 1973, 42, comma 2 e 3, per avere la CTR ritenuto che in corso di causa l’Agenzia potesse legittimamente specificare, rispetto alla motivazione contenuta nel provvedimento tributario impugnato, che il contribuente avesse trattenuto le somme derivate dall’accensione dei mutui.
Anche questo motivo è inammissibile, poiché anch’esso non si misura con la ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo cui. ai fini della plusvalenza, è indifferente ed irrilevante l’utilizzo che il venditore abbia eventualmente fatto delle somme ricevute dal mutuo ipotecario ancora in essere e gravante sull’immobile trasferito all’acquirente, ovvero, nel caso di specie, conferito.
La decisione della CTR prescinde quindi da tale circostanza, che la CTP aveva invece ritenuto essenziale e solo tardivamente dedotta dall’Agenzia, ritenendo che nell’avviso d’accertamento fossero state adeguatamente indicate tutte le altre circostanze rilevanti ai fini della evidenziazione della plusvalenza contestata.
La CTR non ha quindi affermato che l’ufficio avesse legittimamente variato in giudizio i fatti sui quali si fondava la sua pretesa nell’atto impositivo, ma ha ritenuto, in diritto, che il nucleo fattuale originario dell’accertamento fosse idoneo e sufficiente a sostenere l’atto impositivo, a prescindere comunque dal dato sull’utilizzo delle somme mutuate.
Tale conclusione non è quindi oggetto di specifica censura con il motivo in decisione, mentre la sussistenza, in diritto, della plusvalenza nel caso di specie, in ragione di quanto contestato nell’atto impositivo, è oggetto del terzo motivo di ricorso.
4. Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 68, comma 1, del TUIR, per avere la CTR considerato quale “corrispettivo” del conferimento societario oggetto di causa, il valore dell’immobile conferito unitamente al debito residuo per mutui, accollati alla società conferitaria come modalità di pagamento di parte del prezzo.
5. Il motivo è infondato.
6. Va premesso che in base all’art. 68 del TUIR., comma 1, la plusvalenza, realizzata in base all’art. 67 comma 1 lett. B)TUIR mediante cessione a titolo oneroso di immobili, è costituita dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta in cui avviene la cessione e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.
Nella fattispecie la CTR ha ritenuto che l’accollo dei due mutui da parte della società cessionaria degli immobili costituisse corrispettivo della cessione in quanto “il corrispettivo ricavato dal conferente deve essere calcolato tenendo conto anche delle quote residue dei mutui che siano trasferite a carico della società”.
Pertanto, il compenso di cui all’art. 68 cit. ricevuto dal socio conferente comprende la liberazione dal debito, altrimenti sullo stesso gravante, per effetto dell’accollo.
La prospettazione del ricorrente, secondo cui “il residuo mutuo non funge da modalità di pagamento di parte del prezzo ma, anche in ragione del gravame ipotecario, funge da fattore di riduzione del valore di quanto viene conferito nella società” non è rilevante ai fini della valutazione della plusvalenza di cui è causa, sulla quale incide il prezzo dell’immobile trasferito, del quale l’accollo di mutuo fa parte.
Ciò in quanto gli oneri e le passività che si accolla il concessionario per effetto del conferimento costituiscono parte del corrispettivo, ovvero del vantaggio che il cedente trae dalla cessione aggiunta al prezzo dichiarato.
In particolare, in relazione al conferimento di immobili in società, ove i conferenti siano persone fisiche, la base imponibile su cui calcolare la plusvalenza tassabile – costituita dalla differenza fra il valore dell’immobile al momento del trasferimento e il prezzo di acquisto originario – non può quindi essere depurata delle passività connesse ad ipoteche che, come nel caso in esame, pur se gravanti sull’immobile conferito nella società, sono state accese dai conferenti per ottenere un loro personale finanziamento, in epoca anteriore al conferimento dell’immobile in società. Pertanto, il compenso di cui all’art. 68 cit. ricevuto dal socio conferente comprende la liberazione dal debito, altrimenti gravante su di lui, relativo al mutuo residuo.
8. Conclusivamente il ricorso, in parte inammissibile in parte infondato, va respinto. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità, liquidate in Euro. 15.000,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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