CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 2671 depositata il 29 gennaio 2024
Lavoro – Licenziamento per giusta causa – Motivo di ritorsione non provato – Tutela obbligatoria – Riesame nel merito – Doppia conforme – Inammissibilità
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che, pur ritenendo l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato il 2 aprile 2014 dalla società in epigrafe a D.D.D., con concessione della tutela obbligatoria prevista dalla l. n. 604 del 1966, aveva escluso la ritorsività del recesso;
2. La Corte, in estrema sintesi, ha ritenuto che le contestazioni disciplinari non fossero pretestuose e indicative di una volontà di rappresaglia posta in essere dalla datrice di lavoro e che il lavoratore non avesse offerto la prova dell’intento ritorsivo del licenziamento;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il D.D. con un motivo; non ha svolto attività difensiva la società intimata;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Considerato che
1. il motivo di ricorso denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1345 c.c., 4 l. n. 604 del 1966, 15 l. n. 300 del 1970, 3, l. n. 108 del 1990, 18 l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; si sostiene che la Corte territoriale “ha violato le norme relative alla nullità del licenziamento adottato per motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c. ed ha omesso la valutazione degli elementi addotti dal ricorrente dai quali si evinceva in modo chiaro la natura ritorsiva del licenziamento”;
2. il motivo è inammissibile;
opportuno premettere che il valutare nella concretezza della vicenda storica se il licenziamento sia stato o meno intimato per motivo di ritorsione costituisce una quaestio facti, come tale devoluta all’apprezzamento dei giudici del merito, con un accertamento di fatto non suscettibile di riesame innanzi a questa Corte di legittimità (per tutte v. Cass. n. 26399 del 2022; Cass. n. 6838 del 2023);
ciò posto, il motivo, lungi dall’individuare l’errore di diritto che sarebbe stato compiuto dai giudici d’appello, piuttosto sollecita una rivalutazione di merito inibita a questa Corte, come è reso chiaro dalla denuncia, contenuta nello stesso motivo, del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., senza tenere conto degli enunciati posti, nell’interpretazione di tale disposizione, dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, evocando un sindacato sulla sentenza impugnata del tutto estraneo ai poteri del giudice di legittimità; oltretutto in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), non avendo la parte ricorrente indicato nel motivo le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019);
3. pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, mentre non occorre provvedere sulle spese in difetto di attività difensiva dell’intimata;
invece, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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