CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 26910 depositata il 20 settembre 2023
Lavoro – Infortunio – Direttore dei lavori – Normativa antinfortunistica – Responsabilità solidale – Rigetto
Rilevato che
con sentenza n. 2571/2017, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’impugnazione proposta da A.D. nei confronti dell’INAIL avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda di regresso, proposta dall’INAIL ai sensi degli artt. 10 ed 11 d.P.R. n. 1124 del 1965, al fine di ottenere la restituzione di quanto erogato a un dipendente del D., rimasto vittima di infortunio sul lavoro;
nel corso di lavori edili, il lavoratore era precipitato dal ballatoio del secondo piano del cantiere e l’Istituto aveva erogato le prestazioni, anche temporanee, previste dal T.U. n. 1124 del 1965 per l’ammontare complessivo di euro 246.355,12;
a seguito dell’infortunio, era stato aperto procedimento penale a carico del datore di lavoro, che si era concluso con sentenza di proscioglimento per prescrizione;
la Corte d’appello ha rigettato il motivo d’appello con cui si lamentava che il Tribunale non avesse disposto la chiamata in causa del direttore dei lavori e del capo cantiere ed ha ritenuto accertata la responsabilità del datore di lavoro;
avverso tale sentenza ricorre A.D. sulla base di due motivi e successiva memoria;
resiste INAIL con controricorso;
il Collegio ha riservato il deposito della motivazione nel termine di gg. 60 (art. 380 bis 1 c.p.c.);
Considerato che
preliminarmente, va disattesa la richiesta del ricorrente di rinvio a nuovo ruolo della fissazione dell’adunanza camerale, per consentire al Procuratore Generale di rassegnare le proprie conclusioni, trattandosi di attività rimessa alla scelta discrezionale della Procura generale ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
tale disposizione regola il procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alle sezioni unite o alla sezione semplice della Corte di cassazione e, secondo tale norma, il pubblico ministero può depositare le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio. Le parti possono depositare le loro sintetiche memorie illustrative non oltre dieci giorni prima dell’adunanza;
non rientra quindi nella disponibilità della parte sollecitare il differimento dell’adunanza camerale, la cui fissazione è stata ritualmente comunicata alle parti;
con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 4 d.p.r. n. 547 del 1955 e dell’art. 269 c.p.c.;
si deduce che la sentenza abbia errato nel non disporre la chiamata in causa del direttore dei lavori, responsabile ex lege, del rispetto della normativa antinfortunistica;
con il secondo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che si identifica nell’analisi della posizione del direttore dei lavori all’interno della dinamica che condusse al verificarsi dell’infortunio occorso al dipendente;
i motivi, in quanto connessi, vanno trattati congiuntamente;
è evidente l’inammissibilità del secondo motivo per difetto dei presupposti richiesti dall’art. 360, primo comma n.5) c.p.c.;
l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 27415 del 2018; Cass. SS.UU. n. 8053 del 2018 tra le molte altre);
il motivo proposto, lungi dall’ indicare specifici fatti storici decisivi per il giudizio e pretermessi dalla sentenza impugnata, lamenta un vizio prospettico della motivazione in fatto, che non avrebbe potuto essere svolta se non vagliando l’attività del direttore dei lavori;
peraltro, pure a voler ritenere che l’esposizione del motivo contenga anche l’indicazione di aspetti fattuali asseritamente trascurati dalla sentenza impugnata, la tesi giuridica sulla quale i due motivi si fondano è comunque infondata;
infatti, si presuppone che tra eventuali corresponsabili vi sia litisconsorzio necessario:
tale tesi è stata esplicitamente negata da questa Corte di cassazione ed a tale orientamento va data continuità;
si è infatti chiarito (Cass. Sez. L, Sentenza n. 2154 del 16/03/1990 (Rv. 465966 – 01) che l’azione dell’I.N.A.I.L. – a norma degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965 – nei confronti del datore di lavoro per conseguire la rivalsa delle prestazioni erogate all’infortunato, quando il fatto sia imputabile agli incaricati dello stesso datore di lavoro, ha fondamento nella responsabilità solidale del primo e, pertanto, può essere esercitata indipendentemente dalla partecipazione al processo degli altri condebitori, dovendosi escludere il litisconsorzio necessario ex art. 102 cod. proc. civ., in quanto l’art. 1292 cod. civ., postulando la totalità dello adempimento dell’obbligazione da parte di un solo obbligato con effetto liberatorio per tutti gli altri, consente l’accertamento giudiziale e la conseguente condanna nei confronti del solo obbligato prescelto dal creditore, essendo irrilevante a tal fine ogni questione relativa ai rapporti interni fra gli obbligati e salva restando, d’altra parte, la facoltà del giudice (ove il caso concreto ne suggerisca l’opportunità) di ordinare l’intervento del terzo cui ritenga comune la causa;
inoltre (Cass. n. 375 del 2023), questa Corte ha ribadito che (Sez. L, Sentenza n. 8372 del 09/04/2014, Rv. 630460 – 01) quando un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell’evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell’art. 1294 c.c. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire. Nel medesimo senso, si è osservato (Sez. 3, Sentenza n. 21664 del 08/11/2005, Rv. 584984 – 01) che la persona danneggiata in conseguenza di un fatto illecito imputabile a più persone legate dal vincolo della solidarietà, può pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche nei confronti di una sola delle persone coobbligate, mentre la diversa gravità delle rispettive colpe di costoro e la eventuale diseguale efficienza causale di esse possono avere rilevanza soltanto ai fini della ripartizione interna del peso del risarcimento fra i corresponsabili;
conseguentemente il giudice del merito, adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei detti condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, atteso che solo nel giudizio di regresso può discutersi della gravità delle rispettive colpe e delle conseguenze da esse derivanti;
in definitiva, il ricorso va rigettato;
le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento a favore dell’INAIL delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
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