Corte di Cassazione, ordinanza n. 27022 depositata il 21 settembre 2023

IMU/ICI – non può essere sanzionato l’omesso versamento nell’ipotesi in cui è stata sanzionata l’omessa dichiarazione, in quanto la sanzione prevista per quest’ultima omissione è comprensiva dell’omesso versamento. E’ evidente, infatti, che non essendoci stata dichiarazione non c’è stato neanche versamento

RITENUTO CHE

– la controversia ha ad oggetto l’impugnazione avverso un avviso di accertamento (n.0010557A016) riguardante l’omesso versamento per gli anni dal 2012 al 2015, per un complessivo importo, di cui € 57.648,00, a titolo di Imu e € 1.422,10 a titolo di Tasi, oltre sanzioni e interessi, emesso dal comune di Avellino (d’ora in poi controricorrente) nei confronti di E. s.r.l. (d’ora in poi ricorrente);

– la CTP ha rigettato il ricorso;

– la CTR, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto l’appello dell’odierna ricorrente, sulla base delle seguenti ragioni:

– con riferimento al dedotto difetto di sottoscrizione dell’avviso l’ente impositore, avvalendosi della facoltà prevista dall’articolo 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, ha esibito, sia la delibera della giunta comunale di nomina del funzionario responsabile dell’imposta unica comunale, sia la determina dirigenziale di autorizzazione alla sostituzione della firma autografa con l’indicazione a stampa del nominativo del funzionario responsabile sugli atti di accertamento e di liquidazione dell’imposta;

– non ricorre la lamentata nullità per mancata attivazione del preventivo contraddittorio, in quanto nel caso di specie i tributi non sono armonizzati con la conseguenza che non sussisteva in capo all’amministrazione nessun obbligo di attivazione del contraddittorio;

– del tutto irrilevante è la mancata indicazione della possibilità di accertamento con adesione, in quanto, nella specie, il comune, avvalendosi della libertà di autoregolamentazione e dell’autonomia riconosciuta agli enti locali dall’art. 119 Cost., ha escluso la previsione dell’istituto, peraltro, facoltativo secondo quanto previsto dall’art. 50 della l. n. 447 del 1997;

– con riferimento al merito, il comune ha provveduto con atti generali di programmazione a classificare il territorio dal punto di vista urbanistico e a fissare i valori in comune commercio tenendo conto dei criteri stabiliti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992, nonché di una serie di altre variabili ritenute rilevanti; priva di pregio è la doglianza relativa al difetto di motivazione dell’avviso, il quale, viceversa, risulta adeguatamente motivato;

– con riguardo alla lamentata eccessiva quantificazione del valore venale dei beni controversi, non è controverso che i terreni oggetto del giudizio siano edificabili, ricadendo in zona considerata come tale dallo strumento urbanistico generale;

– in materia di Imu l’edificabilità di un’area deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune;

– nel caso di specie, la mancata approvazione del PUA e il rigetto della proposta edificatoria ad iniziativa privata sono del tutto inidonei ad escludere la natura edificabile delle aree in questione;

· del tutto priva di adeguata dimostrazione è rimasta l’affermazione in ordine alla pretesa sussistenza di vincoli o misure di salvaguardia idonee a incidere sul valore venale dei terreni per cui è causa; la società contribuente non è in possesso dei requisiti richiesti dagli artt. 2 e 9 del d.lgs. n. 504 del 1992, in quanto svolge attività di “costruzione di edifici residenziali e non”;

– risulta correttamente applicata la continuazione alle violazioni Imu, ai sensi dell’art. 12, comma 5 del d.lgs. n. 472 del 1997; nella specie la sanzione base è stata aumentata del 300% in ragione dell’omessa dichiarazione e dell’omesso totale versamento dell’imposta per quattro anni;

– è stata altresì correttamente applicata la sanzione relativa all’omessa dichiarazione Tasi di cui all’art.1, comma 696, l. n. 147 del 1973

– la ricorrente propone ricorso fondato su cinque motivi e deposita memoria, il controricorrente si costituisce con controricorso.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli art. 11 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 504, la falsa applicazione dell’art. 1, comma 87, della l. 28 dicembre 1995, n. 549. Si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto sottoscritto e valido l’avviso di accertamento impugnato. Sostiene in proposito che nel caso in cui la sottoscrizione non sia quella del capo ufficio dell’ufficio titolare, ma di un funzionario, incombe sull’ufficio dimostrare l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio ed è comunque espressamente richiesta la delega a sottoscrivere. Sotto un altro profilo evidenzia che la sostituzione della firma autografa con l’indicazione a stampa del funzionario è consentita solo se gli atti siano prodotti e trasmessi con sistemi informativi automatizzati ovvero in riferimento ad atti derivanti da attività a carattere seriale, in ordine alle quali, ragioni di economia e di scala ed esigenze di maggiore efficacia nell’utilizzo delle risorse richiedono modalità di lavorazione accentrata, come previsto dall’art. 1, comma 87, della l. n. 549 del 1985.

1.1. Il motivo è infondato. Pur volendo prescindere dal rilievo effettuato dal giudice del merito relativo all’inammissibilità della censura, in quanto tardiva, nella sentenza impugnata è chiaramente affermato che l’ente impositore ha fornito la prova in giudizio, sia della delibera di nomina del funzionario responsabile dell’Imposta Unica Comunale, (n. 324/15), sia della determina dirigenziale di autorizzazione alla sostituzione di firma autografa con l’indicazione a stampa del nominativo del funzionario responsabile sugli atti di accertamento e di liquidazione (n. 156/16).

La normativa di settore risulta, pertanto, del tutto rispettata, tenuto conto di quanto disposto dall’art. 9, comma 7, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, secondo cui per l’accertamento, la riscossione coattiva, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso si applica l’art. 11, comma 4, del d.lgs. Tale ultima disposizione prevede che: «Con delibera della giunta comunale è designato un funzionario cui sono conferiti le funzioni e i poteri per l’esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale dell’imposta; il predetto funzionario sottoscrive anche le richieste, gli avvisi e i provvedimenti, appone il visto di esecutività sui ruoli e dispone i rimborsi».

1.2. La seconda questione relativa alla legittimità della sottoscrizione degli atti con “indicazione a stampa” è anch’essa infondata, in quanto questo Collegio condivide e qui intende ribadire l’orientamento di legittimità per il quale l’autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza giuridica degli atti amministrativi, quanto meno quando i dati esplicitati nel contesto documentativo dell’atto consentano di accertare la sicura attribuibilità dello stesso a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive, come è confermato dall’art. 6 quater del d.l. n. 6 del 1991, convertito, con modif., nella legge 15 marzo 1991, n. 80, con riguardo agli atti degli enti locali, e dall’art. 3 del d.lgs. 12 febbraio 1993, n. 39 con riguardo agli atti di qualsiasi P.A., i quali, prevedendo, nel caso di emanazione di atti amministrativi attraverso sistemi informatici e telematici, che la firma autografa sia sostituita dall’indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile, ribadiscono sul piano positivo l’inessenzialità ontologica della sottoscrizione autografa ai fini della validità degli atti amministrativi (Cass. Sez. 1, n. 9394 del 24/09/1997, Rv. 508214 – 01, Sez. 1, n. 9441 del
12/07/2001, Rv. 548113 – 01, Sez. 1, n. 21954 del 22/11/2004, Rv. 578670 – 01, Sez. 1, n. 11499 del 31/05/2005, Rv. 584051 – 01, Sez. L, n. 13375 del 10/06/2009, Rv. 608779 – 01). 

L’art. 1, comma 87, della l. 28 dicembre 1995, n. 549, prevede, poi, che «La firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e di accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso che gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati. Il nominativo del funzionario responsabile per l’emanazione degli atti in questione, nonché la fonte dei dati, devono essere indicati in un apposito provvedimento di livello dirigenziale».

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 7 della l. 7 agosto del 1990, n. 241; degli artt. 6, 10 e 12, comma 7, della l. 27 luglio 2000, n. 212, degli artt. 3, 24 e 97 Cost. e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea in riferimento alla violazione dell’obbligo del contraddittorio. La privazione del contraddittorio preventivo ha determinato la violazione del diritto di difesa della parte costituzionalmente tutelato.

Sotto una diversa angolazione la ricorrente contesta che la sentenza impugnata abbia ritenuto del tutto irrilevante, ai fini della validità dell’atto impugnato, la mancata indicazione dell’accertamento con adesione.

2.1. Il motivo è infondato. Ritiene il Collegio ribadire quanto già in più occasioni affermato in sede di legittimità, ovvero che la necessità di attivare preventivamente il contraddittorio endo-procedimentale, sussiste soltanto per i tributi armonizzati, ma non anche per quelli non armonizzati, senza che ciò contrasti con gli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Un tale obbligo, per i tributi non armonizzati non è rinvenibile, nella legislazione nazionale con la conseguenza che esso ricorre soltanto per le ipotesi per le quali risulti specificamente sancito (Cass., Sez. 5, n. 4752/2021, Rv. 660667 – 02).

Va, inoltre, precisato che anche la violazione dell’obbligo di attivazione del il contraddittorio endoprocedimentale, ove l’accertamento attenga a tributi “armonizzati”, è pacificamente sottoposto alla condizione che il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, ipotesi che nel caso di specie non si è verificata, in quanto la ricorrente si è limitata ad una generica contestazione (Cass., Sez. 5, n. 20436/2021, Rv. 662002 – 01).

Con riferimento all’ulteriore profilo di doglianza riguardante la mancata indicazione, nell’atto impugnato, dell’accertamento con adesione correttamente i giudici del merito hanno richiamato il disposto di cui all’art. 50, della l. 27 dicembre 1997, n. 447, Disposizioni in materia di accertamento e definizione dei tributi locali, il quale ha previsto solo in termini facoltativi l’introduzione dell’istituto dell’accertamento con adesione (l’espressione utilizzata nella norma è appunto «i comuni possono prevedere specifiche disposizioni volte a semplificare e razionalizzare il procedimento di accertamento ..»).

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1 e 2, comma 1, lett. b) e art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992; nonché la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. in relazione alla contestata qualificazione come edificabile dell’area oggetto di accertamento.

3.1. Il terzo motivo è infondato. Esso attiene alla contestata qualificazione delle aree come edificabili. Nella sentenza impugnata si è dato atto che il comune controricorrente ha provveduto a classificare il territorio comunale dal punto di vista urbanistico e a fissare i valori venali in comune commercio tenendo conto dei criteri stabiliti dall’art. 5 del d.lgs. n. 504 del 1992, attraverso atti generali di programmazione approvati con delibera del consiglio comunale n. 267/2011.

La sentenza impugnata correttamente ha ritenuto adeguatamente motivato l’avviso impugnato, in quanto contenente l’indicazione dei beni, la località di ubicazione degli stessi, i dati catastali, la superficie posta a base del tributo, nonché le delibere e le tabelle dei valori delle singole aree edificabili in cui è stato suddiviso il territorio comunale.

È da ritenere, infatti, come ha fatto anche la sentenza impugnata, che l’indicazione di tali elementi sia sufficiente per una ricostruzione del procedimento logico e giuridico effettuato dall’ente impositore per giungere alla quantificazione del valore venale dei beni e poi alla determinazione della relativa imposta.

E’ del tutto condiviso, infatti, dal Collegio il principio di legittimità per cui, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), è legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento comunale che, in forza degli artt. 52 e 59 del d.lgs. n. 446 del 1997, e 48 del d.lgs. n. 267 del 2000, abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, trattandosi di atto che ha il fine di delimitare il potere di accertamento del Comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’Amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore (Cass., Sez. 6 – 5, n. 15312/2018, Rv. 649233 – 01, Sez. 5, n. 5068/2015, Rv. 635340 – 01).

In relazione, poi, alla valutazione concernente l’edificabilità, si ricorda il principio generale in materia, secondo cui, in tema di ICI, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, fermo restando che l’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone di tener conto, in concreto, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio (Cass. Sez. U, n. 25506 del 30/11/2006, Rv. 593375 – 01, Sez. 6 – 5, n. 9202/2019, Rv. 653725, Sez. 5, n. 6702/2020, Rv. 657450 – 01).

4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992; nonché la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 con riferimento alla eccepita erronea valutazione del valore venale dell’immobile e determinazione della base imponibile dell’imposta, derivante dalla contestata qualificazione dell’area accertata come edificabile. Riprendendo le ragioni svolte nel precedente motivo di impugnazione, la ricorrente si duole che il calcolo del valore venale del bene sia stato effettuato senza tenere conto della destinazione di fatto dello stesso ad attività agricola, risultante dalla relazione di stima. Contesta, altresì, la ricorrente che spettava al comune produrre la documentazione (P.R.G., delibera comunale che aveva approvato il regolamento per l’applicazione dell’Ici) a sostegno della pretesa impositiva, mentre la sentenza impugnata ha effettuato un ragionamento presuntivo, fondato sull’affermazione che il comune «non può non averne tenuto conto», senza procedere ad un controllo sulla edificabilità in concreto.

Nella specie manca, secondo la ricorrente il presupposto impositivo costituito dal possesso, in quanto la stessa è priva del possesso sui beni oggetto di accertamento, poiché, a causa del rigetto del PUA da parte del comune, non può esercitare alcun atto corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. La sentenza impugnata ha errato, ad avviso della ricorrente, anche nella parte in cui non ha considerato che i terreni, per essere oggetto di imposizione, devono essere immediatamente utilizzabili a scopo edificatorio, ipotesi non ricorrente nel caso di specie, in quanto risultano assenti i piani attuativi comunali ed è stato, poi, rigettato il PUA ad iniziativa privata.

4.1. Il quarto di impugnazione è infondato. Esso sostanzialmente riguarda la contestazione circa l’erronea valutazione del valore venale dell’immobile e la determinazione della base imponibile sul presupposto che l’area sia stata erroneamente qualificata come edificabile.

Con riferimento al profilo relativo all’eccessiva quantificazione del valore venale dei beni oggetto di imposizione, si ricorda che la sentenza impugnata ha ritenuto non contestato che i terreni dell’odierna ricorrente siano da qualificarsi come edificabili, in quanto ricadono in una zona considerata tale dallo strumento urbanistico generale (v. punto 3.1).

A tale proposito si evidenzia anche che la sentenza impugnata ha osservato come sia rimasta del tutto priva di dimostrazione l’asserzione dell’appellante, odierna ricorrente, in ordine alla pretesa sussistenza di vincoli o misure di salvaguardia idonei ad incidere sul valore venale dei terreni in oggetto. I giudici del merito hanno escluso, in particolare, il ricorrere dei requisiti richiesti dagli artt. 2 e 9 del d.lgs. n. 504 del 1992, e hanno affermato chiaramente, sulla base delle evidenze del Registro delle imprese, che la società, lungi dal potere assumere la qualifica di imprenditore agricolo professionale, risulta svolgere attività di «costruzione di edifici residenziali e non».

Alcun rilievo, pertanto, può essere attribuito alla doglianza circa il mancato apprezzamento della relazione di stima, attenendo essa ad una valutazione degli strumenti probatori preclusa in questa sede.

Con riguardo, infine, all’ulteriore profilo di doglianza riguardante la rilevanza dell’inedificabilità di fatto per la mancata approvazione del piano urbanistico attuativo cd PUA, si ricorda che il Piano Regolatore del Comune è uno strumento urbanistico di tipo programmatico, di pianificazione strategica. Poiché esso in determinate aree da solo non può assumere sufficiente valenza attuativa, talvolta, si rende necessario uno strumento urbanistico attuativo.

I Piani Urbanistici Attuativi, cd PUA, sono strumenti con finalità esecutive finalizzati, quindi, a precisare le previsioni del PRG, fornendo ulteriori elementi per poter realizzare l’intervento di sviluppo del territorio nel suo insieme.

In proposito, la sentenza impugnata ha escluso che tale mancata approvazione possa avere inciso sul valore venale delle aree nel senso di un suo ridimensionamento sul rilievo che, nella determinazione dei valori, il controricorrente ha tenuto conto «non solo, della destinazione d’uso consentita, dell’indice di fabbricabilità, dell’urbanizzazione della zona, ma anche della destinazione delle aree secondo la zonizzazione del PUC vigente». Non si tratta, dunque, di un ragionamento di tipo presuntivo, ma dell’esito di un’analisi dei valori indicati negli atti di programmazione, sulla base delle prescrizioni normative.

Del tutto in linea con la giurisprudenza sopra richiamata, pertanto, è la decisione impugnata laddove ritiene che il terreno sia edificabile, in quanto tale lo apprezza il mercato sin dall’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica, attraverso la delibera del PRG e, nel caso di specie, anche del PUC (Piano urbanistico comunale) (Cass., Sez. 5, n. 6702 del 10/03/2020, cit.).

Con riferimento, poi, all’eccessiva quantificazione nel riferimento alle zone omogenee correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto non adeguata la prova contraria fornita dall’appellante, attuale ricorrente. Il valore presuntivo, determinato dalla delibera comunale, sulla base del riferimento alle zone omogenee, può, essere, infatti, superato dal contribuente, ma nel caso in esame i giudici del merito hanno ritenuto non assolto tale onere.

La ricorrente avrebbe dovuto, infatti, al fine di rideterminare l’imposta dovuta, indicare e produrre atti pubblici o privati dai quali risultassero elementi sufficientemente specifici in grado di contraddire quelli, di segno diverso, ricavati in via presuntiva dai valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche (in questo senso Cass. Sez. 5, n. 17248/2019, Rv. 654691 – 01, Sez. 5, n. 11643/2019, Rv. 653722 – 01).

In proposito la CTR ha affermato che il minor valore, dovuto alla pretesa sussistenza di vincoli o di misure di salvaguardia è rimasto «privo di adeguata dimostrazione» (pag. 9 sentenza), ma la ricorrente non dice cosa di specifico ha prodotto di decisivo e che non è stato considerato.

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 12, comma 5, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in riferimento alla contestata mancata applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni inerenti alla medesima violazione.

Si duole che la sentenza impugnata non abbia correttamente interpretato il disposto di cui all’art. 12 sopra richiamato, laddove ha inteso applicare la sanzione base aumentata del 300% per ogni annualità contestata, anziché procedere al cumulo giuridico delle imposte applicando un’unica sanzione cumulativa aumentata del 300%.

Contesta, inoltre, che nell’atto di accertamento il comune abbia applicato, sia la sanzione per omessa o infedele dichiarazione, sia quella per omesso versamento.

Lamenta, poi, l’erroneità del procedimento di irrogazione delle sanzioni per violazione dell’articolo 16 del d.lgs. n. 472 del 1997

5.1. Il motivo è fondato. In via preliminare deve essere richiamato il principio di legittimità secondo cui, in tema d’ICI, l’omessa denuncia dell’immobile deve essere sanzionata per tutte le annualità per cui si protrae in quanto, ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992, a ciascuno degli anni solari corrisponde un’autonoma obbligazione che rimane inadempiuta, non solo, per il versamento dell’imposta, ma anche per l’adempimento dichiarativo, fermo restando che, trattandosi di violazioni della stessa indole commesse in periodi d’imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo, secondo l’istituto della continuazione ex art. 12, comma 5, del d. lgs. n. 472 del 1997 (Cass. Sez.5, n. 18230/2016, Rv. 641050 – 01).

Da tale principio deriva che non può essere sanzionato l’omesso versamento nell’ipotesi in cui è stata sanzionata l’omessa dichiarazione, in quanto la sanzione prevista per quest’ultima omissione è comprensiva dell’omesso versamento. E’ evidente, infatti, che non essendoci stata dichiarazione non c’è stato neanche versamento.

Deriva, inoltre, che le omesse dichiarazioni per anni successivi integrano autonome violazione, ma essendo della medesima indole, per esse trova applicazione il principio di favore del cumulo giuridico e, pertanto vanno poste in continuazione applicando la sanzione base aumentata dalla metà al triplo, secondo l’istituto della continuazione ex art. 12, comma 5, del d. lgs. n. 472 del 1997.

La sentenza impugnata ha genericamente affermato che l’ente impositore ha applicato la sanzione base aumentata del 300% in ragione dell’omessa dichiarazione e dell’omesso totale versamento dell’imposta per quattro anni, in applicazione dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997.

Entrambe le parti, tuttavia, concordano sul fatto che la sentenza impugnata ha di fatto applicato il cumulo materiale (pag. 17 controricorso, pag. 28 ricorso)

Alla luce della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata deve invece essere applicato il cumulo giuridico nei termini sopra esposti.

6. Da quanto esposto segue l’accoglimento del quinto motivo, il rigetto del primo, del secondo del terzo e del quarto, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di Giustizia della Campania in diversa composizione per la rideterminazione della sanzione sulla base dei principi espressi e anche per le spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il quinto motivo di impugnazione rigetta gli altri; cassa e rinvia alla Corte di Giustizia della Campania in diversa composizione anche per le spese di legittimità.