Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 3885 depositata il 12 febbraio 2024
sanzioni – cumulo giuridico – istituto della continuazione
Rilevato che:
1. – con sentenza n. 2956/2022, depositata il 12 luglio 2022, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello proposto dalla parte, odierna ricorrente, così integralmente confermando il decisum di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per il recupero a tassazione del maggior importo della TARI dovuta dalla stessa appellante per gli anni dal 2013 al 2017;
1.1 – il giudice del gravame ha considerato che:
– con riferimento alla fattispecie impositiva in contestazione non era predicabile un contraddittorio preventivo in difetto di previsione di una clausola generale sul contraddittorio endo-procedimentale;
– l’avviso di accertamento risultava compiutamente motivato in quanto il contenuto essenziale di un verbale di sopralluogo (effettuato in data 11 luglio 2018) – cui avevano partecipato «i rappresentanti della società contribuente» – era stato riprodotto nell’atto impositivo;
– la contribuente aveva «omesso (pur se specificamente tenuta) ogni doverosa e obbligata denuncia sì che, per quanto sopra argomentato, non può a posteriori invocare alcuna legittima e valida causa di esclusione/esenzione/riduzione dal pagamento del tributo affermandone l’esclusione -peraltro non adeguatamente documentata- in assenza di dati obiettivamente riscontrabili da codesta AG di tale assunto.»;
– il Comune di Mediglia, «con deliberazione del 21 giugno 2013 aveva espressamente provveduto all’assimilazione ai rifiuti urbani di tutte le tipologie di rifiuti speciali non pericolosi prodotti dalla controparte società che opera nel campo della sabbiatura dei prodotti metallici quindi con particolare riferimento ai materiali ferrosi (la società opera nella sabbiatura di materiali ferrosi).»;
– legittimamente, pertanto, il Comune «a seguito delle verifiche effettuate nel 2018 ha disatteso le risultanze della denunzia originariamente fatta da controparte, considerando tassabili anche le superfici esterne in relazione alla sola parte che era stata indicata come deposito di prodotti finiti (ciò perché il compendio industriale di ITSM srl genera una quantità di rifiuti speciali che sono stati assimilati con delibera del consiglio comunale ai rifiuti urbani).»;
– per di più, la contribuente non aveva assolto all’onere della prova delle circostanze che davano titolo all’esclusione, ovvero «anche solo alla riduzione» dell’imposta, e come rilevato dalla Corte di legittimità l’obbligo di pagamento del tributo doveva ritenersi sussistente
«indipendentemente dal fatto che si utilizzi il servizio esercitato in regime di privativa essendo sufficiente che se ne abbia la possibilità con conseguente legittimità quindi della tassazione applicata dal Comune»;
– legittimamente, del pari, erano state applicate distinte sanzioni per ciascun periodo di imposta, tenuto conto della «piena autonomia delle singole violazioni»;
2. – ITSM S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di sei motivi;
– il Comune di Mediglia resiste con controricorso.
Considerato che:
1. – il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione di legge con riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41, comma 2, ed alla l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, sull’assunto che, nella fattispecie, illegittimamente il giudice del gravame aveva escluso la necessità di un contraddittorio endoprocedimentale che, secondo dicta della giurisprudenza di legittimità, della Corte di Giustizia e dello stesso Giudice delle leggi, integra un principio fondamentale dell’ordinamento tributario;
1.1 – il motivo è destituito di fondamento;
– in tema di contraddittorio endoprocedimentale, difatti, le Sezioni Unite della Corte hanno statuito che «l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito”.» (Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823);
– e il principio di diritto in questione è stato, poi, più volte ribadito dalla Corte (v., ex plurimis, Cass., 27 gennaio 2023, n. 2585; Cass., 23 febbraio 2021, n. 4752; v., altresì, Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), anche con riferimento ai tributi locali (v. Cass., 5 maggio 2022, n. 14357; Cass., 15 aprile 2021, n. 9978);
– né, nella fattispecie, potevano trovare applicazione le disposizioni introdotte (ex novo) dal d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219;
2 – col secondo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla l. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 6 e 7, ed alla l. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, deducendo, in sintesi, che l’atto impositivo risultava motivato (per relationem) con riferimento ad un verbale di sopralluogo non sottoscritto da essa esponente (che non ne aveva avuto conoscenza) e che nemmeno indicava le superfici sottoposte a tassazione la loro ubicazione e categoria tariffaria;
2.1 – nemmeno questa censura – che pur prospetta profili di inammissibilità – può trovare accoglimento;
– come anticipato, il giudice del gravame ha rilevato che l’avviso di accertamento risultava compiutamente motivato in quanto il contenuto essenziale di un verbale di sopralluogo (effettuato in data 11 luglio 2018) – cui avevano partecipato «i rappresentanti della società contribuente» – era stato riprodotto nell’atto impositivo;
– la censura di parte ricorrente, pertanto, si pone in frontale contrasto con l’accertamento compiuto dal giudice del gravame senza indicare, nello specifico, i dati dai quali desumere l’erroneità di detto accertamento e, in particolare, senza riprodurre – almeno in sintesi descrittiva – il contenuto essenziale della motivazione dell’atto impositivo;
– il motivo di ricorso non dà, pertanto, alcun conto dell’effettivo contenuto motivazionale oggetto di contestazione e nemmeno mette la Corte nella condizione di poter verificare il denunciato deficit di motivazione;
– come, poi, la Corte ha ripetutamente rimarcato, la censura involgente la congruità della motivazione dell’avviso di accertamento necessariamente richiede che il ricorso per cassazione riporti i passi della motivazione dell’atto che, per l’appunto, si assumano erroneamente interpretati o pretermessi (v. Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde, ex plurimis, Cass., 19 novembre 2019, n. 29992; Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., 29 maggio 2006, n. 12786);
3 – il terzo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. assumendo la ricorrente che il giudice del primo grado del giudizio – con l’ordinanza (resa il 4 aprile 2009) che aveva invitato l’Ente impositore a produrre gli atti del sopralluogo eseguito – aveva malamente fatto esercizio dei poteri istruttori officiosi (supplendo all’inerzia di controparte) e, così, consentito «all’Ente impositore di integrare la motivazione del proprio atto di accertamento»;
3.1 – il motivo è destituito di fondamento;
– come appena rilevato, la parte non ha specificamente censurato l’accertamento condotto dal giudice del merito in punto di compiutezza della motivazione dell’atto impositivo che riproduceva il contenuto essenziale del verbale di sopralluogo, così che, ne consegue, non è prospettabile la (postuma) integrazione di un avviso di accertamento che detta (compiuta) motivazione esponeva sin dalla sua emissione;
– per di più, la violazione della norma processuale sui poteri istruttori officiosi (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7) viene dedotta con riferimento alla pronuncia di primo grado, e senz’alcuna indicazione, pertanto, sulla relativa deduzione tanto nello stesso grado di giudizio (quale difesa svolta in esito all’ordinanza istruttoria) quanto nei motivi di appello;
– la Corte ha, poi, ripetutamente statuito che il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova (d.lgs. n. 546 del 1992, art. 7, c. 1) non può intendersi quale sostitutivo del potere di allegazione, e dell’onere probatorio, l’uno e l’altro riconducibili all’iniziativa processuale della parte, così che detto potere può essere esercitato – così come avvenuto nella fattispecie, avuto riguardo a quanto (incontestatamente) rilevato dal giudice del gravame – in situazioni di oggettiva incertezza, ed in funzione integrativa degli elementi istruttori già acquisiti in atti, ad ogni modo nei limiti delle specifiche allegazioni in fatto delle parti (v., ex plurimis, Cass., 11 maggio 2021, n. 12383; Cass., 31 luglio 2020, n. 16476; Cass., 27 dicembre 2018, n. 33506; Cass., 19 giugno 2018, n. 16171; Cass., 21 febbraio 2014, n. 4161);
4 – col quarto motivo (formalmente ancora rubricato come n. «3.»; e a detto errore si correla l’erronea numerazione dei successivi motivi), ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione dell’art. 53 Cost., deducendo, in sintesi, che – venendo in considerazione la produzione di rifiuti speciali autonomamente smaltiti dalla stessa contribuente – la sottoposizione alla TARI della superficie di produzione di dette rifiuti darebbe luogo ad una doppia imposizione;
4.1 – anche il motivo in questione è destituito di fondamento;
– la ricorrente, innanzitutto, non sottopone ad alcuna critica, e censura, i rilievi svolti dal giudice del gravame in punto di inosservanza degli obblighi dichiarativi gravanti sul contribuente, di assimilazione dei rifiuti speciali prodotti sulle superfici sottoposte a tassazione nonché di difetto di ogni prova delle circostanze che avrebbero potuto dar titolo all’esclusione, ovvero «anche solo alla riduzione» dell’imposta;
– e va rimarcato che la l. 27 dicembre 2013, n. 147, nell’istituire la TARI – che, quale componente della IUC, è «destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell’utilizzatore» (art. 1, comma 639) – ha riproposto una articolata disciplina degli obblighi di denuncia ed informazione posti a carico dei soggetti passivi del tributo (art. 1, commi 646, 684, 685 e 686), disciplina già presente nel d.lgs. n. 507 del 1993, art. 70 (in tema di TARSU);
– anche la circostanza relativa al cd. autosmaltimento dei rifiuti speciali prodotti, ed assimilati, viene dedotta senza alcuna censura del difetto di prova (sul punto) rilevato dal giudice del gravame che, pertanto, ben ha ritenuto che l’obbligazione tributaria doveva ritenersi legittimamente sussistente «indipendentemente dal fatto che si utilizzi il servizio esercitato in regime di privativa essendo sufficiente che se ne abbia la possibilità …»;
5 – il quinto motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione della l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, sull’assunto che il giudice del gravame avrebbe dovuto ritenere illegittimo, per gli effetti retroattivi prodotti, un avviso di accertamento che – fondato su di un sopralluogo eseguito nell’anno 2018 – estendeva la ripresa a tassazione (anche) alle annualità precedenti (piuttosto che produrre effetti ex nunc);
5.1 – il motivo in questione è manifestamente destituito di fondamento in quanto confonde, con gli effetti (propriamente) retroattivi di disposizioni normative, – o, al più, di atti generali a contenuto prescrittivo (v. Cass., 20 maggio 2021, n. 13809) – il normale esercizio del potere impositivo nel rispetto del termine (di decadenza) prefissato dal legislatore;
6 – col sesto motivo, la ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, ed alla l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, deducendo che, per un verso, il giudice del gravame aveva omesso di rilevare la ricorrenza di cause di non punibilità e che, per il restante, la sanzione per denuncia infedele era stata autonomamente applicata per ciascun periodo di imposta, in violazione del cumulo giuridico previsto dal d.lgs. n. 472 del 1997, cit., art. 12;
6.1 – questo motivo è fondato, e va accolto per quanto di ragione;
– la questione che involge il difetto di punibilità, per la ricorrenza di «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni», viene dedotta in difetto di ogni specifica allegazione sui dati, e sullo stesso oggetto, di detta condizione di incertezza e, ancor prima, senza dar conto della relativa proposizione col ricorso introduttivo del giudizio, posto, poi, che della proposizione della questione la stessa gravata sentenza non dà alcun conto (v. Cass., 26 giugno 2019, n. 17195; Cass., 14 gennaio 2015, n. 440);
6.2 – in tema, però, di cumulo giuridico delle sanzioni tributarie, la Corte ha avuto modo di statuire che:
– l’istituto della continuazione, delineato dal d.lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, trova senz’altro applicazione alle sanzioni tributarie previste per i tributi locali (d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 473, art. 16; in tema di ICI v. Cass., 30 dicembre 2015, n. 26077; Cass., 2 marzo 2012, n. 3265; Cass., 17 luglio 2008, n. 19650; in tema di TARSU v. Cass., 18 maggio 2019, n. 13486; Cass., 21 dicembre 2011, n. 27970; Cass., 9 giugno 2010, n. 13869; Cass., 19 maggio 2010, n. 12268; Cass., 11 febbraio 2005, n. 2821; v. altresì, con riferimento all’omessa denuncia ex d.lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 1, Cass., 30 giugno 2021, n. 18447; Cass., 19 gennaio 2021, n. 728; Cass., 29 marzo 2019, n. 8829; Cass., 16 settembre 2016, n. 18230; Cass., 17 luglio 2008, n. 19650);
– la continuazione – il cui riconoscimento è collegato all’oggettivo perpetrarsi dell’illecito tributario in periodi d’imposta diversi – si arresta in caso di cd. interruzione che si realizza, ex art. 12, comma 6, d.lgs. n. 472 del 1997, per effetto della contestazione della violazione che fissa il punto di arresto per il riconoscimento del beneficio, senza che rilevi la sua definitività e inoppugnabilità o la sua mancata impugnazione; pertanto, ciò che si pone a monte dell’atto, se della stessa indole, deve essere unito ai fini della determinazione della sanzione, mentre ciò che invece si pone a valle, resta escluso dal cumulo giuridico, salvo riconoscersi, ove plurime siano le violazioni anche da questo lato, una autonoma e rinnovata applicazione del medesimo istituto di favore (Cass., 9 giugno 2021, n. 16017; v altresì, in tema di ICI, Cass., 16 giugno 2020, n. 11612; Cass., 7 luglio 2010, n. 16051);
– e, in particolare, si è rimarcato che allorché le sanzioni per le diverse annualità siano state irrogate con avvisi notificati contemporaneamente al contribuente, la continuazione si applica per tutte le violazioni antecedenti a tale contestazione, operando l’interruzione solo per quelle successive (Cass., 7 luglio 2010, n. 16051, cit.);
– con riferimento, poi, alla riformulazione del d.lgs. n. 472 del 1997, art. 12, c. 5 [ad opera del d.lgs. n. 99 del 2000, art. 2, comma 1, lettera a), numero 2)], la Corte ha rilevato che l’istituto della continuazione è stato configurato «in termini di autonomia precettiva rispetto alle altre previsioni di favore» e, nello specifico, incentrato sulla nozione di «violazioni della stessa indole», così risultando previsto – rispetto alla disciplina delle altre fattispecie di cumulo giuridico per concorso formale o materiale nonché per cd. progressione nell’illecito (di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 12, cit.) – «nel caso di violazioni commesse in diversi periodi di tempo, un elemento incidente su di un trattamento di favore sul piano dell’applicazione delle diverse sanzioni in modo distinto e diverso da quelle già configurate nei commi precedenti», laddove detta nozione deve essere desunta dalla disciplina della recidiva (d.lgs. n. 472, cit., art. 7, comma 3) alla cui stregua «Sono considerate della stessa indole le violazioni delle stesse disposizioni e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano o per le modalità dell’azione, presentato profili di sostanziale identità.» (Cass., 17 novembre 2021, n. 34868);
– la condivisibile considerazione secondo la quale, ai fini dell’applicazione dell’art. 12, comma 5, d.l.gs. n. 472 del 1997, rileva la sussistenza di violazioni della stessa indole, e non già che le singole violazioni siano legate da un nesso di progressione, dà conto della fondatezza del principio di diritto enunciato dalla Corte con riferimento alla sanzione per omesso versamento, alla cui stregua, in ipotesi di più violazioni per omesso o insufficiente versamento dell’imposta relativa ad uno stesso immobile, conseguenti a identici accertamenti per più annualità successive, si è ritenuto applicabile il regime della continuazione attenuata di cui all’art. 12, comma 5, cit. (così Cass., 8 aprile 2022, n. 11432; v., altresì, Cass., 18 luglio 2022, n. 22477; Cass., 14 luglio 2010, n. 16526; Cass., 2 luglio 2009, n. 15554);
– la contraria opinione, difatti, si fonda (proprio) sull’identificazione del regime della continuazione, disciplinato dall’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, con quello che concerne le violazioni potenzialmente incidenti sulla determinazione dell’imponibile o sulla liquidazione del tributo (cd. progressione; v. Cass., 22 marzo 2019, n. 8148; Cass., 20 gennaio 2017, n. 1540);
7. – l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti (sub § 6.2).
P.Q.M.
La Corte
– accoglie, per quanto di ragione, il sesto motivo, e rigetta il residui motivi di ricorso;
– cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
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