Corte di Cassazione sentenza n. 11473 depositata l’ 8 aprile 2022
IMU – ICI – motivazione apparente – sanzioni – cumulo
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza 572/09/17, depositata in data 9 maggio 2017, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto rigettava l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sentenza n. 469/3/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, e accoglieva l’appello incidentale del Comune, con condanna al pagamento delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di quattro avvisi di accertamento ICI, per gli anni 2012 e 2013, relativi a terreni edificabili acquistati nel 2007, e a fabbricati ivi insistenti, che risultavano dichiarati per un valore inferiore a quello adottato dalla G.M. ex art. 59 del d.lgs. n. 446 del 1997, rettificato dal Comune al valore di€ 65,77 al mq;
3. la Commissione di primo grado aveva rigettato il ricorso della contribuente, ritenendo congruo il valore del tributo, ed accolto il motivo relativo alle sanzioni applicando il cumulo giuridico; la CTR aveva rigettato l’appello principale ed accolto quello incidentale del Comune ritenendo corretta l’irrogazione delle sanzioni;
4. Avverso la sentenza di appello, la contribuente proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 11 dicembre 2017, affidato a sette motivi; il Comune resisteva con controricorso e depositava altresì memoria ex 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente denunciava la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 6 CEDU, dell’art. 132, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, lamentando che la CTR aveva disatteso l’appello con una motivazione apparente ed incomprensibile;
2.con il secondo motivo di ricorso deduceva la violazione e falsa applicazione della l. n. 212 del 2000, art. 7, del d.lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, g), e del d.lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), contestando l’utilizzo da parte del Comune dei valori predeterminati dalla GM ex art. 59 citato e la legittimità dei valori ivi fissati senza tener conto dei parametri indicati dal legislatore;
3. con il terzo motivo eccepiva la violazione e falsa applicazione degli 2421 e 2422 e.e. e degli art. 2 e 3 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver illegittimamente utilizzato i valori dichiarati dalla società nella delibera di aumento di capitale desumibile del verbale del e.ci.a. del 27.2.2006;
4. con il quarto motivo eccepiva la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 e. e dell’art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., deducendo che la CTR del Veneto non aveva tenuto conto del giudicato esterno formatosi in relazione alla sentenza della stessa CTR n. 597/05/13, emessa tra le medesime parti, e relativa a terreni insistenti sulla stessa area ma relativa ad annualità precedenti, che aveva ridotto il valore dei terreni ad€ 40,00;
5. con il quinto motivo di ricorso denunciava la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine alla eccezione di giudicato esterno di cui al quarto motivo;
6. con il sesto motivo eccepiva la formazione del giudicato esterno nei termini di cui ai motivi quarto e quinto;
7. con il settimo motivo, infine, deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui non aveva ritenuto applicabile il cumulo giuridico delle sanzioni in caso di mancato pagamento di annualità successive.
8. Vanno preliminarmente esaminati in ordine logico i motivi dal quarto al sesto, relativi all’eccezione di giudicato, che per la loro connessione si trattano congiuntamente.
8.1 La preclusione ad un esame della controversia, derivante dalla presenza di un giudicato esterno relativo al medesimo contributo ma per annualità differenti, va nella specie ritenuta inesistente.
In generale, la preclusione del giudicato opera nel caso di giudizi identici, nei quali cioè l’identità delle due controversie riguardi i soggetti, la causa petendi e il petitum, per come questi fattori sono inquadrati nell’effettiva portata della domanda giudiziale e della decisione ( cfr. per tutte Cass. n. 1514 del 2007; n. 1773 del 2000; nonché già Sez. U n. 2874 del 1998); il giudicato copre poi il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e, pertanto, non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia. (vedi Cass. n. 3488 del 2016 e n. 25745 del 2017).
Va, tuttavia, precisato che il processo tributario, rispetto a quello civile, conserva la specificità correlata al rapporto sostanziale che ne costituisce oggetto, ed attiene (v. C. cost. n. 53-98 e n. 18-00) “alla fondamentale e imprescindibile esigenza dello Stato di reperire i mezzi per l’esercizio delle sue funzioni attraverso l’attività dell’amministrazione finanziaria, la quale ha il potere-dovere di provvedere, con atti autoritativi, all’accertamento e alla pronta riscossione dei tributi”.
Una similare ratio rileva anche in presenza di tributi non destinati allo Stato, ovvero di contributi obbligatori secondo la definizione propria delle scienze delle finanze, in rapporto alle esigenze di reperimento dei proventi necessari a finanziare i servizi assicurati dagli enti preposti.
In base all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (v. Sez. U n. 13916 del 2006), il processo tributario, ancorché generalmente instaurato mediante impugnazione di un atto lato sensu impositivo (cfr. il d.lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. d) e art. 19, comma 1), ha per oggetto lo specifico rapporto tributario dedotto in giudizio quale risulta, da un lato, dalla pretesa fatta valere dall’amministrazione con l’atto medesimo e, dall’altro, dai motivi della sua impugnazione.
In ragione di siffatta complessità oggettiva, associata all’autonomia dei singoli periodi d’imposta (che, ex art. 7 del T.U.l.R., è espressione di un principio generale in materia, valevole per tutti i tributi, anche non destinati allo Stato), deve negarsi la possibile esistenza di un’unica obbligazione tributaria corrispondente a più periodi (v. già Cass. n. 14714 del 2001). Per cui l’eventualità che il giudicato, formatosi in ordine a un periodo, possa avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per un altro periodo va limitata al caso in cui si discorra degli elementi rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d’imposta, onde potersene desumere che l’accertamento di fatto su tali elementi (e solo l’accertamento di fatto) debba fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso.
L’esempio tipico è quello delle cd. qualificazioni giuridiche (del tipo di “ente commerciale” o di “soggetto residente”) in quanto assunte dal legislatore alla stregua di elementi preliminari per l’applicazione di una specifica disciplina; ovvero quello delle condizioni di una esenzione o di una agevolazione pluriennale (v. appunto Sez. U n. 13916 del 2006).
Come da ultimo ribadito da questa Corte “Nel processo tributario, l’effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche concerne i fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile o tendenzialmente permanente mentre non riguarda gli elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo.” (Vedi Cass. n. 25516 del 2019).
In definitiva, posto che ogni tributo periodico è costituito da elementi stabili ed elementi variabili, solo con riferimento agli elementi stabili il giudicato può esprimere portata vincolante esterna (Cfr. Cass. n. 1300 del 2018; Cass. n. 18923 del 2011).
8.2 Nel caso di specie viene invocato un giudicato esterno, derivato dalla sentenza della stessa CTR n. 597/05/13, emessa tra le stesse parti, relativa a terreni incidenti sulla stessa area ma in riferimento ad annualità precedenti, che aveva ridotto il valore dei terreni ad € 40,00.
Tale valutazione non può ritenersi idonea alla formazione di un giudicato esterno vincolante in quanto non investe un elemento costitutivo della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente e comune ai vari periodi di imposta, posto che, innanzitutto non vi è certezza sulla identità dei terreni, inoltre il valore venale, in quanto condizionato da varianti mutevoli, non è per sua natura un elemento stabile ed immodificabile nel tempo, suscettibile di accertamento definitivo.
8.3 I motivi dal quarto al sesto vanno pertanto rigettati.
9. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.
9.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un errar in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione ( cfr. Sez. 1 , 18 giugno 2018 n. 16057; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
Si è così precisato che “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Vedi Cass. n. 9105 del 2017; n. 20921 del 2019) ed ancora che “La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cast.” (Vedi Cass. 13248 del 2020).
9.2 Si è anche chiarito a che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cast. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.” ( Vedi Cass. n. 22598 del 2018).
9.3 Tale vizio, pur correttamente dedotto, non ricorre nel caso in esame, laddove la T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di confermare quanto statuito dai giudici di primo grado in ordine alla corretta valutazione da parte del Comune del valore dei terreni, tenuto conto della edificabilità del terreno, dell’inadeguatezza della documentazione prodotta a provare il contrario, della esatta determinazione della base imponibile, della legittima applicazione delle sanzioni.
Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione, nei termini innanzi descritti sicché la stessa non può ritenersi viziata in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui all’art. 36 d.lgs. 546 del 1992 (cfr. Cass. n. 5315 del 2015).
10. Il secondo motivo è invece inammissibile.
In realtà a fondamento di tale censura la contribuente allega una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione;
Sul punto si ricorda che ” In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. (vedi tra le tante Cass. n. 24054 del 2017; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 13066 del 2007).
10.1 Nel motivo in esame la parte formula in realtà delle argomentazioni critiche dirette a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta da parte della CTR unitamente alla valutazione delle risultanze probatorie di causa, proponendo pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.
Il motivo d’impugnazione così formulato deve pertanto ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892); né possono ritenersi soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.
11. Il motivo è comunque infondato, avendo il Comune operato correttamente, secondo il principio più volte affermato che “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’avviso d’accertamento che fa riferimento alla delibera della giunta comunale contenente la determinazione dei valori minimi delle aree edificabili, comprensiva di quella oggetto di imposizione, deve ritenersi sufficientemente motivato in quanto richiamante un atto di contenuto generale avente valore presuntivo e da ritenersi conosciuto ( o conoscibile) dal contribuente, spettando a quest’ultimo l’onere di fornire elementi oggettivi (eventualmente anche a mezzo perizia di parte) sul minor valore dell’area edificabile rispetto a quello accertato dall’ufficio. (Sez. 6-5, Ordinanza n. 16620 del 05/07/2017; vedi anche Cass. n. 4605 del 2018 e Cass. n. 10308 del 2019).
12. Il terzo motivo, con cui si censura la decisione impugnata nella parte in cui avrebbe ritenuto validamente motivati gli accertamenti in base al richiamo al valore espresso nel verbale del ci.a. della società del 27.2.2006, non può invece trovare accoglimento, in quanto tale affermazione non risulta posta a fondamento della motivazione ma come mero riscontro ad abundantiam, sicché il motivo non coglie una ratio decidendi della sentenza della CTR.
13. Va, invece, accolto il settimo motivo.
13.1 In tema di cumulo di sanzioni, trova applicazione l’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997 (come sostituito dall’art. 2, comma 1, e), del d.lgs. n. 203 del 5 giugno 1998, e successivamente modificato dall’art.2, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 99 del 30 marzo 2000); ai sensi di tale norma, il principio del cumulo materiale, che prevede la sommatoria di tante sanzioni quante sono le violazioni, risulta derogato a favore del contribuente dal cd. cumulo giuridico che consente l’applicazione di una sola sanzione maggiorata nei casi di:
- concorso formale (art. 12, comma 1), che si ha quando un soggetto con una sola azione viola più norme anche relative a tributi diversi;
- concorso materiale (art. 12, comma 1), ove la medesima disposizione sia violata, anche con più azioni, diverse volte;
- progressione (art. 12, comma 2), che si ha quando, anche in tempi diversi, vengono commesse più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano «la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo»;
- continuazione (art. 12, comma 5), per il caso in cui violazioni «della stessa indole vengono commesse in periodi d’imposta diversi».
- rilevanza delle stesse violazioni ai fini di più tributi (l’art. 12, comma 3).
In particolare la disposizione citata afferma che: “è punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni, anche relative a tributi diversi (comma 1, prima parte); soggiace alla stessa sanzione “chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo” (comma 2); si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo “quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi” (comma 5).
La stessa norma ha riformulato la disciplina generale dell’istituto della continuazione nell’illecito tributario, confermando ed ampliando il principio del cumulo giuridico delle sanzioni, che è stato reso obbligatorio e non più facoltativo (come invece disponeva l’art. 8, della l. n. 4 del 1929), e disciplinando specificamente l’ipotesi delle violazioni riguardanti periodi di imposta diversi, stabilendo, per questa particolare fattispecie, regole di maggior rigore, fermo restando, tuttavia, l’obbligo di procedere al cumulo giuridico delle sanzioni.
La nuova nozione di continuazione di cui all’art. 12 cit. ha determinato un superamento delle previgenti nel senso dell’obbligatorietà (in quanto la concessione del beneficio non è facoltativa per gli uffici); dell’irrilevanza dell’elemento psicologico (non essendo richiesta una “medesima risoluzione”) e dell’elemento temporale (non essendo limitata allo stesso periodo di imposta); dell’ampliamento oggettivo (applicandosi alla generalità dei tributi ed anche tra violazioni non riguardanti lo stesso tributo).
14. Si è dunque in presenza di una pluralità di regole correttive la cui applicazione risente, a sua volta, della natura dei singoli tributi, dando luogo a conseguenze diverse che non si pongono in contrasto tra loro perché riferite a fattispecie riduttive ed impositive differenti. In termini più generali si è ritenuto che “Le violazioni tributarie che si esauriscono nel tardivo od omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione fiscale non sono soggette all’istituto della continuazione disciplinato dall’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, perché questo concerne le violazioni potenzialmente incidenti sulla determinazione dell’imponibile o sulla liquidazione del tributo, mentre il ritardo o l’omissione del pagamento è una violazione che attiene all’imposta già liquidata, per la quale l’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento.( Vedi Cass. n. 10357 del 2015 in tema di imposta di bollo; Cass. n. 1540 del 2017 e Cass. n. 8148 del 2019)
Tale principio si ispira alla considerazione che la sfera applicativa della progressione tributaria, di cui all’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, è limitata alle violazioni potenzialmente incidenti su «la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo» mentre, in caso di pagamenti omessi o tardivi che riguardano imposte già compiutamente liquidate si è in presenza di ipotesi di ben maggiore gravità, in quanto causative di un sicuro deficit di cassa, che giustificano l’inapplicabilità della continuazione e l’autonomia quoad poenam di ciascun tardivo od omesso versamento d’imposta, per il quale la legge, derogando alla generale applicazione degli istituti di favor rei di cui sopra, commina una distinta sanzione proporzionale, nella misura del trenta per cento di «ogni importo non versato» (art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997).
Su tale specifico aspetto, che esula dalla fattispecie in esame nel presente giudizio, si registra, tuttavia, un precedente difforme che ritiene applicabile la continuazione nell’ipotesi di cui all’art. 12, comma 2, cit, anche in caso di omessi versamenti rispetto ad imposte già determinate da versare alla scadenza; da Cass. n. 21570 del 2016 è stato, infatti, affermato che “In tema di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, si applica un’unica sanzione ridotta in luogo della somma delle sanzioni previste per i singoli illeciti in caso di omesso versamento, alle prescritte scadenze, degli acconti e dei saldi delle imposte dovute, atteso che l’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 identifica l’entità della sanzione, ma non incide sull’operatività della nuova disciplina della continuazione (o della progressione), di cui all’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, che ha reso obbligatorio il cumulo giuridico ed ha escluso la necessità che le violazioni siano riconducibili alla “medesima risoluzione”, allo stesso periodo d’imposta ed allo stesso tributo.”
In materia doganale si è poi affermato che per le “sanzioni doganali è inapplicabile il regime della continuazione di cui all’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997 che postula la commissione delle violazioni “in periodi d’imposta diversi”, trattandosi di nozione estranea al diritto doganale, senza che ad essa possa ritenersi equivalente il compimento delle singole operazioni di importazione ed esportazione” (Vedi Cass. n. 19633 del 2020), ed anche che premessa l’estensibilità della disciplina di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997, quanto “alle violazioni doganali, il concorso materiale omogeneo assume rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’istituto della continuazione, solo ove si tratti di più violazioni di carattere formale e non invece nel caso di ripetute violazioni di carattere sostanziale che hanno dato luogo all’emissione di atti di irrogazione di sanzioni distinti per ciascuna delle violazioni“( vedi Cass. n. 1974 del 2020).
Anche per il tardivo pagamento dei diritti doganali in conto di debito si è esclusa l’applicazione del cumulo giuridico ex art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, trovando applicazione il regime sanzionatorio ex art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 in ragione del carattere intrinsecamente dannoso della mora debendi (Cass. 8 marzo 2013, n. 5897, Rv. 625953).
15. Dalle ipotesi in cui le ripetute condotte illecite si concentrano comunque in un unico periodo d’imposta, e che rientrano nella previsione di cui all’art, 12, comma 2, del d.lgs.472 del 1997, vanno poi distinte quelle in cui la commissione degli illeciti continua ripetutamente in relazione al medesimo tributo, ma in più periodi d’imposta, e ove la continuazione della violazione rientra invece nella disciplina del comma 5, per il quale “quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo” (Vedi Cass. 29966 del 2019, non massimata).
15.1 In materia di ICI costituisce già orientamento consolidato che” l’omessa presentazione della dichiarazione per più periodi, fino al regolare adempimento, oltre a comportare l’applicabilità delle sanzioni per ciascuna annualità, non osta all’applicazione del regime della continuazione previsto dall’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997, venendo in rilievo condotte che, traducendosi nel reiterato ostacolo alla determinazione dell’imponibile ed alla liquidazione dell’imposta con riferimento allo stesso tributo, sono tra loro oggettivamente e strettamente collegate” (Vedi Cass. n. 18447 del 2021; Cass. n. 18230 del 2016), trattandosi di violazione della stessa indole, ascrivibili ad una medesima reiterata condotta e quindi meritevoli del suddetto regime attenuato della continuazione (Vedi n. 728 del 2021 e Cass. n. 8829 del 2019, non massimate).
16. Ebbene, analoghe considerazioni vanno effettuate anche nell’ipotesi in cui, con identici accertamenti della medesima natura e contenuto, l’ente impositore contesti al contribuente un omesso o insufficiente versamento dell’imposta ICI, in relazione ad annualità successive.
Tale ipotesi, infatti, conseguente ad accertamenti rispetto ad uno stesso immobile, fondati sugli stessi presupposti di fatto e diritto, riferiti a diversi periodi di imposta, è certamente sussumibile in quella di più violazioni della stessa indole, di cui all’art. 12, comma 5, del d.lgs. cit.
16.1 Né, del resto, in questi casi sarebbe configurabile la ratio che ha portato all’esclusione della continuazione per progressione di cui all’art. 12, comma 2, stesso decreto, dal momento che l’omesso o insufficiente versamento non risulta parametrato rispetto ad una imposta già predeterminata e liquidata, bensì all’esito di un accertamento con cui l’ente impositore ha proceduto all’esatta determinazione del tributo dovuto per ciascuna annualità.
17. Tanto premesso, facendo corretta applicazione delle norme e dei principi suindicati, va affermato il seguente principio di diritto “In tema di ICI, in caso di più violazioni per omesso o insufficiente versamento che, in relazione ad uno stesso immobile, conseguono ad identici accertamenti per più annualità successive, deve trovare applicazione il regime della continuazione attenuata, di cui all’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, che consente di irrogare un’unica sanzione, pari alla sanzione base aumentata dalla metà al triplo“.
17.1 Dal momento che la CTR non ha fatto corretta applicazione di tale principio, ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, e con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, l’applicazione della continuazione, di cui all’art. 12, comma 5, del lgs. n. 472 del 1997, alle sanzioni irrogate con gli avvisi di accertamento oggetto di causa.
18. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
La Corte,
- accoglie il settimo motivo, dichiara inammissibile il secondo, rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, e decide nel merito come specificato in motivazione;
- compensa le spese di giudizio tra le parti.
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