CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 27049 depositatao il 21 settembre 2023
Anzianità assicurativa e contributiva INPS – Cassa forense – Lavoro subordinato – Esposizione al rischio amianto – Diritto alla rivalutazione periodo contributivo – Mancata costituzione pensione anzianità – Parziale accoglimento
Fatti di causa
1.– L’avvocato R.M., iscritto alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense dal 1992, ha chiesto e ottenuto di ricongiungere i diciassette anni di anzianità assicurativa e contributiva maturati presso l’INPS, in base alla legge 5 marzo 1990, n. 45.
Il professionista ha successivamente convenuto in giudizio l’INPS e la Cassa forense, al fine di ottenere l’accertamento del diritto alla rivalutazione a fini previdenziali del periodo di lavoro subordinato prestato presso l’ILVA, con esposizione al rischio di amianto.
Con sentenza n. 733 del 2006, passata in giudicato, il Tribunale di Taranto ha accertato il diritto del professionista di godere della rivalutazione del periodo contributivo dal 13 aprile 1979 al 13 aprile 1992 e ha condannato l’INPS a versare, in favore della Cassa forense, i contributi a titolo di rivalutazione. La medesima sentenza ha individuato nella Cassa forense, cui era stata rivolta la richiesta di ricongiunzione, l’unico soggetto obbligato a erogare la pensione.
2.– In virtù di tale sentenza, il professionista ha evocato in giudizio l’INPS, per chiederne la condanna al pagamento degl’importi dovuti alla Cassa forense e al risarcimento dei danni, e, in una distinta controversia, ha chiamato in causa la Cassa forense, per sentirla condannare all’immediato accredito della rivalutazione contributiva e al risarcimento dei danni commisurati ai ratei di pensione.
2.1.– Il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 1525 del 2015, riuniti i giudizi, ha accolto la domanda di risarcimento dei danni proposta dall’avvocato nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e, per l’effetto, ha condannato la Cassa a pagare l’importo di Euro 218.455,27, a titolo di capitale, di Euro 12.707,96 a titolo d’interessi legali per il periodo dal 1° aprile 2008 al 1° marzo 2015, oltre agli accessori previsti dalla legge 30 dicembre 1991, n. 412, dal 1° marzo 2015 fino al saldo.
Il Tribunale ha quindi respinto la domanda di manleva avanzata dalla Cassa nei confronti dell’INPS e ha respinto, altresì, tutte le domande formulate dall’avvocato nei confronti dell’INPS.
2.2.– Per quanto in questa sede ancora rileva, il Tribunale di Taranto ha accertato che il ricorrente possiede i requisiti per accedere alla pensione di anzianità a far data dal 1° aprile 2008 e ha riconosciuto all’avvocato M. il risarcimento del danno derivante dalla mancata costituzione della pensione di anzianità. Il Tribunale ha poi rigettato la domanda di rimborso formulata dalla Cassa nei confronti dell’INPS.
3.– Hanno proposto gravame, in via principale, la Cassa forense, che si duole dell’accoglimento della domanda risarcitoria e del rigetto della domanda di manleva, e, in via incidentale, l’avvocato R.M., che censura l’erronea quantificazione del pregiudizio subito e la condanna alla rifusione, a favore dell’INPS, della metà delle spese del primo grado.
4.– Con sentenza n. 581 del 2020, depositata il 19 gennaio 2021, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha respinto i gravami della Cassa forense e dell’avvocato R.M. e ha così confermato la pronuncia impugnata.
4.1.– Nel dichiarare infondato l’appello della Cassa forense, la Corte territoriale ha argomentato che, in forza del giudicato racchiuso nella sentenza n. 733 del 2006, spetta alla sola Cassa, «quale destinataria della ricongiunzione contributiva», erogare «la pensione richiesta dal M. alla cessazione dell’ultima attività svolta come avvocato, a prescindere dall’omesso effettivo trasferimento del costo dei contributi» (pagina 8 della sentenza d’appello).
Al momento della domanda amministrativa, l’avvocato M. era titolare dei requisiti contributivi sanciti dalla legge per beneficiare della pensione di anzianità, in base alle risultanze dell’elaborato peritale. Quanto alla cancellazione dall’albo di avvocato, «presuppone espressamente la materiale corresponsione della pensione» (pagina 9 della sentenza d’appello).
Sussiste, pertanto, il danno risarcibile, «conseguente all’inadempimento della Cassa Forense per la mancata costituzione della pensione di anzianità» (pagina 9 della pronuncia impugnata).
Né la Cassa ha mai contestato la domanda risarcitoria concernente «la mancata liquidazione della pensione», in quanto si è limitata a imputare il pregiudizio all’inerzia colpevole dell’INPS nel trasferire i contributi.
Non merita censure nemmeno il rigetto della domanda di rimborso proposta dalla Cassa nei confronti dell’INPS. Grava sulla sola Cassa l’obbligo di corrispondere la pensione di anzianità ed è dunque ininfluente l’inosservanza, imputabile all’INPS, dell’obbligo di trasferire i contributi.
4.2.– Dev’essere disatteso l’appello incidentale spiegato dall’avvocato M..
Le conclusioni dell’elaborato peritale sono sorrette da una «ampia disamina» e da «congrua e condivisibile motivazione» (pagina 10 della sentenza impugnata).
Anche la condanna del professionista a rifondere un mezzo delle spese in favore dell’INPS è giustificata in ragione della sua «piena soccombenza» (pagina 10 della sentenza d’appello).
5.– La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con ricorso notificato il 15 luglio 2021.
6.– Resistono con distinti controricorsi l’avvocato R.M. e l’INPS.
7.– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio dinanzi a questa sezione ai sensi dell’art. 380-bis.1, primo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149.
8.– Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.
9.– Il collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi al termine della camera di consiglio (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).
Ragioni della decisione
1.– Il ricorso della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense procede per tre motivi.
1.1.– Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), la Cassa forense denuncia violazione degli artt. 132, secondo comma, 156 e 159 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111, sesto comma, Cost.
La motivazione della sentenza impugnata ricalcherebbe in maniera pedissequa quella della pronuncia di primo grado, che ha individuato nella Cassa forense l’ente obbligato a erogare al professionista la pensione di anzianità, a prescindere dal materiale versamento, ad opera dell’INPS, della contribuzione dovuta a titolo di rivalutazione. Le argomentazioni addotte a sostegno della decisione sarebbero del tutto generiche e inidonee a giustificare il rigetto delle articolate contestazioni mosse con l’atto d’appello.
Pur menzionando la sentenza n. 733 del 2006, oramai inoppugnabile, la Corte territoriale ne traviserebbe e ne intenderebbe in modo parziale il contenuto vincolante, che riguarderebbe anche l’obbligo di accredito dell’INPS e la condanna dell’Istituto a favore della Cassa forense.
Nell’accogliere la domanda risarcitoria, i giudici d’appello non avrebbero poi considerato, in una prospettiva sostanziale, il bene della vita effettivamente richiesto dal professionista: la pensione di anzianità.
Senza alcun supporto argomentativo, la Corte territoriale avrebbe poi respinto la domanda della Cassa nei confronti dell’INPS.
Ne discenderebbe l’apparenza della motivazione, incardinata su ragioni giuridicamente evanescenti e irrimediabilmente contraddittorie, che precluderebbero alla difesa il «pieno esercizio del potere di controllo e critica» (pagina 35 del ricorso per cassazione).
1.2.– Con il secondo motivo (art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.), la ricorrente censura violazione, omessa e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 20 settembre 1980, n. 576, così come successivamente modificato, dell’art. 4 della legge n. 45 del 1990, anche in riferimento agli artt. 1218 e 1362 cod. civ. e agli artt. 99, 100, 101 e 112 cod. proc. civ., nullità della sentenza per insufficienza e insanabile contraddittorietà della motivazione, in relazione agli artt. 132, secondo comma, cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost.
Avrebbe errato la Corte territoriale nel reputare inadempiente la Cassa forense, sia sotto il profilo della «mancata soddisfazione del diritto pensionistico vantato dall’avv. M.», sia sotto il profilo della «non corretta applicazione delle disposizioni in materia di ricongiunzione dei periodi contributivi in questione» (pagine 36 e 37 del ricorso per cassazione).
1.2.1.– Quanto al primo aspetto, la ricorrente rammenta che la corresponsione della pensione di anzianità è subordinata alla cancellazione dall’albo professionale e alla conseguente cessazione della professione.
Solo la cancellazione dall’albo renderebbe «concretamente operativa la possibilità di accesso al trattamento pensionistico di anzianità», a patto che sussistano anche i requisiti di anzianità d’iscrizione, di contribuzione e di età (pagine 38 e 39 del ricorso per cassazione). Si tratterebbe di «una condizione strettamente inerente alla ratio di questa forma di pensione» (Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 1992) e legata a una libera scelta dell’interessato (Corte costituzionale, sentenza n. 362 del 1997).
Per libera scelta, il professionista, nel caso di specie, avrebbe continuato a esercitare l’attività professionale e, pertanto, nessun inadempimento potrebbe essere addebitato alla Cassa forense per il diniego della pensione di anzianità.
1.2.2.– Quanto al secondo aspetto, inerente alla disciplina della ricongiunzione, la normativa applicabile non sarebbe quella contenuta nell’art. 5 della legge 7 febbraio 1979, n. 29, ma l’art. 4 della legge n. 45 del 1990, destinato a regolare, proprio per i liberi professionisti, la ricongiunzione dei periodi assicurativi a fini previdenziali.
La gestione previdenziale, presso cui s’intende accentrare la posizione assicurativa, dovrebbe esser messa in grado di conoscere tutti gli elementi necessari o utili per la costituzione della posizione assicurativa e la determinazione dell’onere di riscatto. La ricongiunzione si perfezionerebbe solo dopo l’accettazione dell’onere di riscatto e l’avvio del relativo versamento. Tale regola varrebbe anche per la ricongiunzione di «un ulteriore spezzone contributivo», connesso con l’esposizione al rischio di amianto (pagina 47 del ricorso).
In mancanza del trasferimento dei contributi da parte dell’INPS, la Cassa forense non avrebbe potuto completare la procedura di ricongiunzione. Nessun inadempimento, pertanto, le potrebbe essere rimproverato.
1.2.3.– Anche a volere ravvisare una condotta inadempiente della Cassa forense, la motivazione della sentenza impugnata non darebbe conto delle ragioni che l’hanno indotta a escludere «l’alternativa del riconoscimento per via giudiziaria del diritto», in luogo della «soluzione risarcitoria» concretamente prescelta (pagina 50 del ricorso per cassazione).
1.3.– Con la terza censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente si duole, infine, della violazione, omessa o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1225, 1227, 2041, 2043, 2056 e 2697 cod. civ.
Anche a voler predicare un danno risarcibile, non si potrebbe non tener conto del fatto che il professionista abbia proseguito l’attività di avvocato, «con pienezza di reddito professionale», anche dopo aver ottenuto, a decorrere dal 1° ottobre 2014, la pensione di vecchiaia. Per «libera scelta», ispirata a uno «specifico calcolo di convenienza» (pagina 54 del ricorso), il professionista avrebbe optato per la più lucrosa prosecuzione dell’attività professionale. Peraltro, il diritto di accedere alla pensione di anzianità, a prescindere dal controverso trasferimento dei contributi da parte dell’INPS, «sarebbe comunque maturato di lì a due anni» (pagina 55 del ricorso per cassazione).
Erroneamente la Corte territoriale, in violazione degli artt. 2697, 1223 e 2056 cod. civ., avrebbe liquidato un danno pari al trattamento di anzianità dal 1° aprile 2008 sino alla pronuncia della sentenza, «un importo ampiamente eccedente ogni più favorevole e giustificabile ipotesi di risarcimento» (pagina 57 del ricorso). Tale importo sarebbe destinato a coprire anche il periodo successivo al settembre 2014, data di erogazione di quella pensione di vecchiaia, «la quale assorbe per legge e regolamento la pensione di anzianità» (pagina 58).
La sentenza d’appello avrebbe riconosciuto un cospicuo importo a titolo di risarcimento dei danni, senza considerare che la parte istante non ha assolto l’onere di provare il danno emergente e il lucro cessante e senza detrarre l’aliunde perceptum per effetto della prosecuzione dell’attività professionale. Per questa via, il professionista avrebbe lucrato «una locupletazione ingiustificata», cumulando «l’equivalente del trattamento pensionistico e il reddito da regolare prosecuzione dell’attività lavorativa» (pagina 61 del ricorso per cassazione).
Il professionista non avrebbe neppure ottemperato all’obbligo di ridurre l’entità del pregiudizio patito, ripresentando la domanda di pensionamento di anzianità. Sarebbe violato, pertanto, l’art. 1227, secondo comma, cod. civ.
La Corte territoriale, immemore delle statuizioni della sentenza n. 733 del 2006 e dell’obbligo dell’INPS di versare alla Cassa i contributi a titolo di rivalutazione, avrebbe, infine, respinto la domanda di rivalsa nei confronti dell’INPS, senza offrire a tale riguardo alcuna motivazione.
2.– Il primo motivo è infondato.
2.1.– Per giurisprudenza costante di questa Corte (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232), la motivazione è apparente e la sentenza è nulla, perché affetta da error in procedendo, quando la motivazione esista come mero segno grafico e non renda così percepibile il fondamento della decisione e il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.
Quanto alla sentenza d’appello che motivi per relationem alla sentenza di primo grado, non è nulla, quando le ragioni della decisione siano attribuibili all’organo giudicante e siano esposte in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass., S.U., 16 gennaio 2015, n. 642). Il giudice del gravame, quando la condivida, ben può aderire alla motivazione della sentenza impugnata, senza doverne ripetere tutti gli argomenti o senza doverne rinvenire di nuovi (Cass., sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937).
Quel che rileva è che il giudice d’appello proceda a un esame critico del percorso argomentativo del primo giudice, tenendo nel debito conto i motivi di gravame (Cass., sez. lav., 25 ottobre 2018, n. 27112). È nulla, invece, la decisione con cui la Corte territoriale si sia limitata a un’acritica adesione alla pronuncia di primo grado, senza alcuna valutazione d’infondatezza dei motivi di gravame (Cass., sez. lav., 5 novembre 2018, n. 28139).
2.2.– Nel caso di specie, la sentenza d’appello ripercorre con dovizia di riferimenti (pagine 4, 5 e 6) gli snodi argomentativi della pronuncia del Tribunale, ma non trascura di esaminare le doglianze della Cassa forense (pagine 6 e 7) e di vagliarne la fondatezza in base a un iter logico compiutamente intelligibile, pur se espresso in forma stringata (pagine 8 e 9).
La sentenza d’appello non si limita a reiterare in maniera pedissequa le osservazioni del Tribunale, ma le fa proprie, le arricchisce con un autonomo apporto critico, le raffronta con i motivi di gravame, per approdare alla conferma dell’impianto logico della decisione di primo grado.
Non è senza significato che la parte ricorrente abbia potuto agevolmente cogliere il punto nodale della sentenza impugnata e dispiegare appieno le proprie difese, additando gli errores in iudicando che minerebbero la coerenza del ragionamento con specifico riferimento alle autonome asserzioni della pronuncia della Corte d’appello.
3.– Il secondo motivo è fondato, nei termini di seguito esposti.
3.1.– La sentenza d’appello, nel confermare la pronuncia di primo grado, ha riconosciuto in favore del professionista un danno risarcibile di ammontare pari, in linea capitale, ad Euro 218.455,27.
Tale importo corrisponde alla pensione di anzianità che al professionista, senza il diniego della Cassa forense, sarebbe stata erogata dall’aprile 2008, data di maturazione dei requisiti in virtù dell’accredito della rivalutazione dei contributi per l’esposizione all’amianto, fino al 1° marzo 2015, data della pronuncia di primo grado.
Il ragionamento della Corte territoriale s’incentra sulla circostanza che la Cassa forense sia «l’unico ente previdenziale responsabile del mancato riconoscimento della pensione di anzianità» (pagina 10), in quanto rappresenta l’unico ente obbligato a erogare la pensione, dopo la ricongiunzione richiesta dall’interessato (pagina 4).
La sentenza impugnata osserva, a tale riguardo, che «la cancellazione dall’albo di avvocato presuppone espressamente la materiale corresponsione della pensione» e che «la Cassa non ha mai contestato nei suoi atti difensivi di primo grado la richiesta risarcitoria del M. […] pur se l’ha ritenuta giustificata esclusivamente nei confronti dell’INPS» (pagina 9).
3.2.– Gli argomenti addotti dalla Corte territoriale prestano tutti il fianco alle censure della parte ricorrente.
Essi si rivelano, per un verso, privi di portata risolutiva.
3.2.1.– Anzitutto, è smentito per tabulas il rilievo che la Cassa forense non abbia contestato la richiesta risarcitoria, limitandosi a reputarla fondata nei confronti dell’INPS.
Come si può desumere dalla stessa sentenza impugnata (pagina 6), la Cassa forense ha proposto uno specifico motivo di gravame, incardinato sulla «assenza del diritto leso» e sul «difetto di prova dell’effettivo depauperamento subito».
Peraltro, la qualificazione giuridica dei fatti rappresenta il compito indeclinabile del giudice, cui spetta valutare d’ufficio la sussistenza degli elementi costitutivi della domanda risarcitoria, in conformità ai criteri prescritti dalla legge.
3.2.2.– Inoltre, è ininfluente la circostanza che, secondo l’accertamento irrevocabile contenuto nella sentenza n. 733 del 2006, alla Cassa forense sia demandato il compito di erogare il trattamento pensionistico, in quanto ente destinatario della ricongiunzione.
Quel che occorre accertare, nella controversia risarcitoria promossa dall’avvocato, è il comportamento antigiuridico della Cassa forense: solo da un comportamento così connotato può trarre origine l’obbligazione risarcitoria di cui si discute.
3.3.– Per altro verso, gli argomenti della sentenza d’appello incorrono nelle violazioni di legge denunciate nel ricorso proprio sui punti salienti dell’antigiuridicità della condotta e della conseguente sussistenza di un danno risarcibile.
3.3.1.– Con riferimento al primo aspetto, si deve rilevare che al caso di specie si attagliano le previsioni della legge 5 marzo 1990, n. 45 (Norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti), applicabili anche alla ricongiunzione dei periodi di contribuzione richiesta dal «libero professionista che sia stato iscritto a forme obbligatorie di previdenza per lavoratori dipendenti, pubblici o privati, o per lavoratori autonomi, ai fini della ricongiunzione di tutti i periodi di contribuzione presso le medesime forme previdenziali, nella gestione cui risulta iscritto in qualità di libero professionista» (art. 1, comma 2, della citata legge n. 45 del 1990).
Il legislatore, all’art. 4, disciplina minuziosamente gli adempimenti gestionali e i criteri di trasferimento: «1. Per gli effetti di cui agli articoli 1 e 2 la gestione previdenziale presso cui si intende accentrare la posizione assicurativa chiede, entro sessanta giorni dalla data della domanda di ricongiunzione, alla gestione o alle gestioni interessate tutti gli elementi necessari od utili per la costituzione della posizione assicurativa e la determinazione dell’onere di riscatto. Tali elementi devono essere comunicati entro novanta giorni dalla data della richiesta. 2. Entro centottanta giorni dalla data della domanda, la gestione presso cui si accentra la posizione assicurativa comunica all’interessato l’ammontare dell’onere a suo carico nonché il prospetto delle possibili rateizzazioni. Ove la relativa somma non sia versata, in tutto o almeno per la parte corrispondente alle prime tre rate, alla gestione di cui sopra entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della comunicazione, o non sia presentata entro lo stesso termine la domanda di rateazione di cui all’articolo 2, comma 3, s’intende che l’interessato abbia rinunciato alle facoltà di cui all’articolo 1. 3. Il versamento, anche parziale, dell’importo dovuto determina l’irrevocabilità della domanda di ricongiunzione. 4. La gestione competente, avvenuto il versamento di cui al comma 2, chiede alla gestione o alle gestioni interessate il trasferimento degli importi relativi ai periodi di assicurazione o di iscrizione di loro pertinenza secondo i seguenti criteri: a) i contributi, obbligatori o volontari, sono maggiorati degli interessi annui composti al tasso del 4,50 per cento a decorrere dal primo giorno dell’anno successivo a quello cui si riferiscono e fino al 31 dicembre dell’anno immediatamente precedente a quello nel quale si effettua il trasferimento; b) le somme relative ai periodi riscattati sono maggiorate degli interessi annui composti al tasso del 4,50 per cento a decorrere dal primo giorno dell’anno successivo a quello in cui è avvenuto il versamento dell’intero valore di riscatto o della prima rata di esso e fino al 31 dicembre dell’anno immediatamente precedente a quello in cui si effettua il versamento; non sono soggetti al trasferimento gli eventuali interessi di dilazione incassati dalla gestione trasferente; c) per i periodi coperti da contribuzione figurativa, o riconoscibili figurativamente nella gestione di provenienza, sono trasferiti gli importi corrispondenti ai contributi figurativi base ed integrativi senza alcuna maggiorazione per interessi; il trasferimento si effettua anche se la copertura figurativa è stata effettuata nella gestione medesima senza alcuna attribuzione di fondi. 5. Dagli importi da trasferire sono escluse le somme riscosse ma non destinate al finanziamento della gestione pensionistica. 6. Il trasferimento delle somme deve essere effettuato entro sessanta giorni dalla data della richiesta. In caso di ritardato trasferimento la gestione debitrice è tenuta alla corresponsione, in aggiunta agli importi dovuti, di un interesse annuo al tasso del 6 per cento a decorrere dal sessantunesimo giorno successivo alla data della richiesta».
L’art. 5 della legge n. 45 del 1990 chiarisce che «le norme per la determinazione del diritto e della misura della pensione unica derivante dalla ricongiunzione dei periodi assicurativi sono quelle in vigore nella gestione presso la quale si accentra la posizione assicurativa».
La legge, per effetto della rituale domanda dell’interessato, sancisce specifici obblighi per la gestione previdenziale presso cui s’intende accentrare la posizione assicurativa. Obblighi di richiesta alla gestione di provenienza, obblighi d’interlocuzione con la parte istante, in un quadro improntato alla leale collaborazione tra le due gestioni.
A tali obblighi, è assoggettata anche la ricongiunzione di successivi segmenti di contribuzione, come quelli concernenti l’esposizione all’amianto, scrutinati nella più volte menzionata sentenza n. 733 del 2006, passata in giudicato.
È lo stesso professionista che ha invocato la disciplina sulla ricongiunzione, allo scopo di valorizzare anche i contributi dovuti per l’esposizione all’amianto.
La responsabilità della Cassa forense presuppone l’inosservanza degli obblighi che presiedono a tale procedura, contrassegnata, peraltro, da precisi oneri a carico dell’interessato.
Tale inosservanza non è stata prospettata dalla parte attrice e non è stata acclarata dalla sentenza d’appello alla luce delle richiamate prescrizioni di legge, che la difesa della parte ricorrente ha minuziosamente ricostruito e che il professionista controricorrente non ha confutato (cfr. pagina 9 del controricorso, che si sofferma sulle argomentazioni concernenti la cancellazione dall’albo, senza scandagliare il tema della disciplina della ricongiunzione).
Né è dato scorgere un’inosservanza foriera d’un danno risarcibile anche volgendo lo sguardo alle statuizioni della sentenza n. 733 del 2006, che fa gravare ex professo sull’INPS l’obbligo di trasferire alla Cassa forense la contribuzione concernente la rivalutazione per l’amianto.
La sentenza impugnata giunge a considerare tamquam non essent sia la disciplina sulla ricongiunzione, dettata al precipuo fine di valorizzare i contributi versati presso una gestione diversa, sia la sentenza n. 733 del 2006, che, per la medesima finalità, sempre su impulso del professionista, ha impartito circostanziate disposizioni alla gestione di provenienza.
Dall’angolo visuale della disciplina di legge sulla ricongiunzione e del comando del giudice che ha inteso concretizzarla, difetta in radice un elemento costitutivo della domanda risarcitoria: la violazione di legge da parte del soggetto indicato come inadempiente.
3.3.2.– Le censure della parte ricorrente sono fondate anche con riferimento a un ulteriore profilo, non meno decisivo.
Il professionista ha identificato il pregiudizio risarcibile nella perdita del diritto di beneficiare, sin dall’aprile 2008, della pensione di anzianità e tale pregiudizio è stato commisurato al trattamento pensionistico che all’interessato sarebbe stato corrisposto dall’aprile 2008 sino alla decisione di primo grado.
Perché si possa configurare un danno risarcibile di tal fatta, è necessario che il diritto sia stato irrimediabilmente pregiudicato e che il suo titolare non possa più rivendicarne il riconoscimento. È necessario, inoltre, che, di tale diritto, sussistano tutti i presupposti e che la condotta antigiuridica dell’obbligato l’abbia vanificato.
Allorché si riscontrino tali requisiti, soccorre la tutela risarcitoria, che ristora il danneggiato delle perdite subite e del lucro cessante causalmente riconducibili alla mancata attribuzione del bene della vita.
Nessuno di tali elementi si ravvisa nel caso di specie.
Non sussiste una privazione definitiva del diritto di conseguire la pensione di anzianità: tale diritto, senza i contributi dovuti a titolo di rivalutazione, non è stato negato in radice, ma è stato soltanto differito.
D’importanza cruciale, inoltre, è il fatto che non si possa individuare un danno, corrispondente alla pensione d’anzianità, per chi non abbia soddisfatto una delle condizioni essenziali per conseguirla.
L’art. 3, secondo comma, della legge n. 576 del 1980 è inequivocabile nel disporre che la corresponsione della pensione di anzianità sia subordinata alla cancellazione dagli albi di avvocato e di procuratore.
Per la pensione di anzianità, indipendente dall’età e fondata esclusivamente sulla durata dell’attività lavorativa e sulla correlativa anzianità di contribuzione effettiva, tale condizione non confligge con i principi costituzionali e, in particolare, con il principio di eguaglianza.
Come ha ricordato il giudice delle leggi, «L’abbandono della professione, comprovato dalla cancellazione dagli albi degli avvocati e dei procuratori, è una condizione strettamente inerente alla ratio di questa forma di pensione, sia che la si intenda, analogamente alla pensione di anzianità dei lavoratori subordinati, come forma di riconoscimento e di premio a coloro che hanno adempiuto il dovere prescritto dall’art. 4, secondo comma, Cost. con una partecipazione assidua a un’attività di produzione sociale durata almeno trentacinque anni, sia che la si intenda, secondo la prospettazione dell’Avvocatura dello Stato, come anticipo del godimento della pensione concesso in considerazione del presumibile logoramento psico- fisico sopravvenuto dopo un lungo periodo di attività professionale» (sentenza n. 73 del 1992, punto 2 del Considerato in diritto, richiamato anche nel ricorso per cassazione).
Né vale opporre che «la cancellazione dall’albo di avvocato presuppone espressamente la materiale corresponsione della pensione» (pagina 9 della sentenza impugnata) o che «la cancellazione dall’albo degli avvocati, per legge, è attività che condiziona solo la materiale corresponsione della pensione» (pagina 9 del controricorso dell’avvocato).
L’avvocato, che continui a esercitare l’attività e così si ponga in una posizione che preclude il conseguimento della pensione di anzianità, non può richiedere un risarcimento del danno parametrato a quella pensione di anzianità, che non avrebbe alcun titolo per richiedere per la dirimente ragione della mancata cancellazione dall’albo.
Non può invocare un pregiudizio connesso con la perdita d’una posizione di vantaggio (la pensione di anzianità), controbilanciata in maniera indefettibile da un sacrificio (la cessazione dell’attività lavorativa), chi a quel sacrificio, per libera scelta, non si sobbarchi.
Tale argomento risponde a un imperativo logico e a un’esigenza immanente al sistema della responsabilità civile, che mira a ristabilire la situazione del danneggiato nella stessa posizione in cui si sarebbe trovata senza l’illecito produttivo del danno, senza però dare àdito, al di fuori di ogni parametro legale, ad arricchimenti ingiustificati (Cass., S.U., 22 maggio 2018, n. 12564).
Al vantaggio, che si assume sia stato illegittimamente compromesso, è speculare un onere e i due aspetti sono complementari e inscindibili.
La prosecuzione dell’attività lavorativa, invero, è incompatibile con il trattamento in questione, proprio perché consente all’avvocato di ritrarre un reddito, e tale circostanza non può non rivestire un rilievo essenziale anche nel vaglio della domanda risarcitoria che ha nella pensione di anzianità il suo termine di raffronto.
La pretesa di cumulare il reddito ricavato per effetto d’una legittima scelta e, sotto forma di risarcimento del danno, il trattamento pensionistico inconciliabile con una scelta siffatta non può che essere foriera di una locupletazione indebita.
Anche da questo punto di vista, si rivela priva di consistenza la pretesa risarcitoria avanzata dal professionista.
4.– Resta assorbito l’esame del terzo mezzo, che riguarda l’aspetto logicamente consequenziale della quantificazione del danno risarcibile e della domanda di manleva e presuppone che un danno risarcibile, in concreto, sia riconosciuto.
5.– La sentenza d’appello è cassata in relazione alla censura accolta.
Ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, in quanto non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto in ordine all’unico profilo devoluto a questa Corte: l’esistenza d’un pregiudizio risarcibile, che discenda dal contegno della Cassa forense.
In virtù dell’accoglimento del secondo motivo, che investe il tema dell’an debeatur, si deve respingere la domanda risarcitoria proposta dall’avvocato R.M..
6.– La peculiare complessità delle questioni dibattute giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso; respinge il primo motivo; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda risarcitoria proposta dall’avvocato R.M.; compensa le spese dell’intero processo.
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