CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 27451 depositata il 27 settembre 2023
Lavoro – Violazione di disposizioni della normativa in materia di assunzione e regolarizzazione di lavoratori – Sanzioni amministrative in materia di regolarità fiscale e contributiva dei rapporti di lavoro – Delega della gestione dei lavoratori ad altra persona – Formazione del personale – Distinzione tra obbligo di vigilanza e obbligo di agire informati – Inammissibilità
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello, proposto da E.C., avverso la sentenza del Tribunale di Padova con la quale era stata rigettata l’opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione, emessa in data 3/8/2016 dalla DTL di Padova, con cui sono state irrogate sanzioni amministrative (per € 19.613,20) all’opponente e in via solidale al Fallimento della s.r.l. C., in relazione alla violazione di diverse disposizioni della normativa in materia di assunzione e regolarizzazione di lavoratori;
2. la Corte di merito, in particolare, per quanto qui rileva, ha disatteso la tesi difensiva circa la non responsabilità dell’opponente, poi appellante, per avere espressamente delegato la gestione dei lavoratori ad altra persona, come da delega documentata da verbale del consiglio d’amministrazione precedente al periodo oggetto di accertamento, rilevando che tale delega non escludeva la qualità di datore di lavoro della società e per essa dell’opponente quale presidente del consiglio di amministrazione nel periodo oggetto di accertamento (agosto 2011 – giugno 2013); che la permanenza di compiti in capo all’opponente con riferimento ai rapporti di lavoro trovava conferma nelle sottoscrizioni dalla stessa apposte ai verbali relativi alla formazione dei lavoratori; che, pertanto, in capo alla stessa permaneva la responsabilità personale per gli illeciti commessi anche dai delegati in violazione dell’obbligo di vigilanza sull’operato di questi ultimi, per il ruolo che ricopriva e in quanto la stessa non poteva ritenersi non operativa in base alle circostanze di fatto accertate (partecipazione alla gestione del personale, firmando attestati di formazione dei lavoratori occupati nei vari cantieri edili);
3. propone ricorso per cassazione l’originaria opponente, con 2 motivi; resiste con controricorso l’amministrazione; la ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Considerato che
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in tema di delega societaria e violazione delle norme in materia di responsabilità penale personale ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.3, c.p.c., in relazione agli artt. 2381 e 2392 c.c., legge n. 689/1981, d.lgs. n. 124/2004;
2. il motivo non è ammissibile;
3. esso non si confronta, infatti, con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che, a prescindere dall’astratta possibilità di operatività di una delega riguardante la gestione del personale, tale operatività della delega ha in concreto escluso, sulla scorta di un accertamento in fatto sull’effettiva gestione, dovuta anche ad attività svolta in materia di formazione del personale;
4. parte ricorrente, in sostanza, propugna una tesi astratta in ordine alla distinzione tra obbligo di vigilanza e obbligo di agire informati, senza criticare la sentenza che ha ricavato da specifiche circostanze di fatto l’operatività dell’odierna ricorrente nella gestione del personale; si tratta di una riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, che determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata, come tale inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (cfr. Cass. n. 22478/2018, n. 17330/2015);
5. osserva inoltre il Collegio che la valutazione in fatto operata dalla Corte territoriale è conforme alla configurazione del dovere di agire informati non in termini di mera attesa passiva, ma da declinare, anche con riferimento alla materia in esame (sanzioni amministrative in materia di regolarità fiscale e contributiva dei rapporti di lavoro), da un lato quale dovere di attivarsi, esercitando tutti i poteri connessi alla carica, per prevenire o eliminare ovvero attenuare le situazioni di criticità aziendale di cui l’amministratore sia, o debba essere, a conoscenza, e, dall’altro, in quello di informarsi, affinché le scelte di gestione risultino fondate sulla conoscenza della situazione aziendale attraverso l’esercizio dei poteri di iniziativa cognitoria connessi alla carica (nella specie, presidente del consiglio di amministrazione) con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico (cfr. Cass. n. 19556/2020);
6. con il secondo motivo, parte ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, quale emerso dall’istruttoria processuale e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per non avere la Corte territoriale valutato correttamente le risultanze istruttorie, dalle quali emerge chiaramente la delega attribuita in tema di amministrazione e gestione del personale ad altro unico responsabile per il mancato adempimento degli obblighi inerenti i lavoratori;
7. il motivo è parimenti inammissibile;
8. la questione sollevata è infatti assorbita dalla rilevata inammissibilità del precedente motivo; in ogni caso, il motivo di ricorso incentrato sul n. 5 dell’art. 360, comma 1, codice di rito è inammissibile in quanto vengono in considerazione due sentenze di primo (del Tribunale di Padova) e secondo grado (della Corte di Appello di Venezia) del tutto conformi in punto di fatto, con conseguente preclusione allo scrutinio in base a detta norma, giusta il disposto dell’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (ora art. 360, comma 4, c.p.c.);
9. le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono il regime della soccombenza;
10. alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.000 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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