CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 27755 depositata il 2 ottobre 2023

Tributi – Avviso di liquidazione – Pagamento compensi professionali – Imposta di registro – Inammissibilità – Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa

Rilevato che

1. Z.C. ha proposto ricorso avverso l’avviso di liquidazione relativo alla sentenza del Tribunale di Forlì, avente ad oggetto la condanna di un cliente al pagamento dei compensi professionali, ritenendo dovuta solo l’imposta di registro relativa al provvedimento, ma non quella relativa al contratto di patrocinio legale, enunciato, secondo l’Agenzia delle Entrate, nel provvedimento tassato.

2. Il ricorso è stato accolto in primo grado, con condanna dell’Agenzia delle Entrate alla refusione delle spese processuali.

3. All’esito dell’appello ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, la Commissione tributaria regionale ha dichiarato definitivo l’avviso impugnato con riferimento all’imposta di registro in misura fissa di Euro 200,00 e proporzionale, con l’aliquota al 3 per cento, sulla base imponibile costituita dagli interessi moratori, confermando nel resto la sentenza impugnata e compensando integralmente le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio. Nella sentenza si afferma nella sentenza tassata non vi sono sufficienti elementi identificativi dell’asserito negozio sottostante enunciato.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, formulando un unico motivo.

5. Il contribuente si è costituito con controricorso, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso, e proponendo ricorso incidentale, affidato a tre motivi. Ha, inoltre, depositato ulteriore memoria.

6. La causa è stata trattata all’adunanza camerale del 26 settembre 2023.

Considerato

1. L’Agenzia delle Entrate ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del d.p.r. n. 131 del 1986, artt. 1, 3, 5, 22 e 40 nonché dell’art. 1, lett. b, della tariffa allegata al D.P.R., parte II, rilevando che qualsiasi ordinanza emessa per il pagamento di compensi professionali contiene in re ipsa il rapporto sottostante di contratto di prestazione professionale e riproducendo integralmente il contenuto del provvedimento del Tribunale di Forlì, contenente un esplicito riferimento al conferimento dell’incarico professionale relativo al procedimento penale di primo grado e di riesame, ritenuto documentalmente provato.

2. Il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, in quanto tendente a contestare la ricostruzione di merito piuttosto che a denunciare una violazione di legge, ed ha proposto ricorso incidentale, da un lato, in ordine alla compensazione delle spese legali, stante l’assenza di una soccombenza reciproca e l’apparenza della motivazione relativa alla complessità della materia, e, dall’altro lato, in ordine alla violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo stata dichiarata la definitività di una parte del provvedimento in assenza di una richiesta/impugnativa in tal senso.

3. Il ricorso principale è inammissibile.

3.1.Come (anche) di recente rimarcato dalle Sezioni Unite della Corte, la tassazione per enunciazione (d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22) presuppone “l’autonomia giuridica oggettuale dell’enunciazione (delle disposizioni enunciate), l’identità delle parti dell’atto enunciante e dell’atto enunciato, la permanenza degli effetti di quest’ultimo”; e, in particolare, che l’atto enunciato sia apprezzabile “ab intrinseco, senza ulteriori accertamenti di fatto o comunque extratestuali né valutazioni di particolare complessità giuridica, ché altrimenti, quantomeno, si renderebbe necessaria l’adozione di una forma provvedimentale impositiva diversa da quella adottata in concreto (avviso di liquidazione) ossia l’emissione di un avviso di accertamento (Cass., sez. un., 24 maggio 2023, n. 14432). Del resto, la Corte aveva avuto già modo di rilevare che, per potersi configurare la enunciazione, è necessario che nell’atto sottoposto a registrazione vi sia espresso richiamo al negozio posto in essere, sia che si tratti di atto scritto o di contratto verbale, con specifica menzione di tutti gli elementi costitutivi di esso che servono ad identificarne la natura ed il contenuto in modo tale che lo stesso potrebbe essere registrato come atto a sé stante; e che, dunque, la tassazione per enunciazione non può operare se nell’atto soggetto a registrazione siano menzionate circostanze dalle quali possa solo dedursi che esiste tra le parti il rapporto giuridico non denunciato, essendo sempre necessario che le circostanze enunciate siano idonee di per sé stesse, e quindi senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto, a dare certezza di quel rapporto giuridico (così Cass. 13 novembre 2020, n. 25706; Cass. 6 novembre 2019, n. 28559). A detti principi di diritto si e’, in effetti attenuto il giudice del gravame svolgendo sul punto uno specifico accertamento in fatto alla cui stregua s’e’ rilevato che non emergevano “sufficienti elementi identificativi” dell’atto enunciato.

3.2.il motivo di ricorso dell’Agenzia – che, come anticipato, espone una censura di violazione e falsa applicazione di legge – tende, allora, a rimettere in discussione detto accertamento in fatto senza considerare, però, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge (e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa) laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito che è sottoposta al sindacato di legittimità nei limiti delineati (ora) dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (v. Cass. 27 luglio 2023, n. 22938; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. sez. un., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499). Per di più, nella fattispecie, l’accertamento in fatto condotto dal giudice del gravame integra una mera conferma dell’analogo accertamento svolto dalla pronuncia del primo giudice, così che con la contestazione di un siffatto accertamento l’Agenzia tende, in effetti, ad eludere lo stesso profilo di inammissibilità correlato alla cd. doppia conforme (art. 348ter c.p.c., comma 4, ora art. 360 c.p.c., comma 4).

4. Dalla rilevata inammissibilità del ricorso principale consegue, poi, l’inefficacia (art. 334 c.p.c., comma 2) del ricorso incidentale tardivo che, nella fattispecie, è stato notificato il 4 aprile 2022 (a fronte della pubblicazione in data 31 agosto 2021 della impugnata sentenza).

5. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo (nell’importo minimo, considerato che dalla questione in esame è derivato un contenzioso seriale tra le medesime parti), seguono la soccombenza di parte ricorrente, in quanto il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, con la conseguenza la Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale (Cass. 12 giugno 2018, n. 15220; Non sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater): nei confronti della ricorrente principale, in quanto si tratta di un ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis, Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass. 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. sez. un., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass. 14 marzo 2014, n. 5955); nei riguardi del ricorrente in via incidentale, il cui gravame, come detto, ha perso efficacia ex art. 334 c.p.c., comma 2, visto che il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato è una sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione (Cass. 18 gennaio 2019, n. 1343; Cass. 25 luglio 2017, n. 18348).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale;

condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 380,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.