CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 28611 depositata il 13 ottobre 2023

Lavoro – CCNL dirigenza medica – Graduazione delle funzioni dirigenziali – Pesatura degli incarichi – Indennità di posizione parte variabile aziendale – Rigetto

Fatto

1. La Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che in accoglimento della domanda di R.B. (dirigente medico titolare di incarico professionale di alta specializzazione ex art. 27, lett. C CCNL dirigenza medica), aveva condannato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento al pagamento della somma di € 150,00 al mese in favore del medesimo a titolo di risarcimento del danno per inadempimento dell’obbligo contrattuale di attivare la procedura di graduazione delle funzioni dirigenziali e la connessa pesatura degli incarichi ai fini della determinazione dell’indennità di posizione parte variabile aziendale in relazione al periodo dal 1.4.2007 al 31.12.2012, liquidava le spese processuali del giudizio di primo grado nella misura di € 1618,00 per compensi, confermando per il resto la statuizione.

2. La Corte territoriale rilevava che, in assenza delle necessarie procedure di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi da parte dell’Azienda sanitaria previste dal contratto collettivo della dirigenza medica, l’indennità di posizione parte variabile non può essere determinata.

3. Escludeva che il procedimento di graduazione fosse rimesso alla libera determinazione dell’Azienda non soggetto a scadenze di sorta; riteneva, dunque, che la mancata attivazione di tali procedure configurasse l’inadempimento di un obbligo contrattuale.

4. Rilevava che le difese relative ad una preclusione derivante da una “presa di posizione” dell’Assessorato Regionale alla Sanità, “inedite” rispetto a quelle svolte nel giudizio di primo grado, non erano documentalmente supportate; evidenziava sul punto che non era stato prodotto il provvedimento dell’Autorità asseritamente idoneo a giustificare l’inadempimento, rimanendo così inalterata la statuizione del Tribunale che ne aveva ritenuto l’irrilevanza.

5. In assenza di prova della circostanza che l’inadempimento fosse dipeso da causa non imputabile all’Azienda, riteneva la responsabilità risarcitoria della medesima, condividendo la determinazione secondo equità nella misura fissata in misura indifferenziata dall’Azienda medesima, proprio per porre fine al persistente inadempimento per il ritardo nella graduazione delle funzioni, con la delibera n. 320 del 21.1.2013.

 5. Avverso tale sentenza l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, assistiti da memoria.

 6. R.B., oltre a resistere con controricorso all’impugnazione principale, ha proposto ricorso incidentale affidato a due censure, assistite da memoria.

Diritto

1. Con il primo motivo, l’Azienda ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per non avere la Corte territoriale correttamente valutato la delibera n. 397/2007 dell’ex AUSL n.1 di Agrigento che aveva provveduto alla graduazione e alla pesatura degli incarichi, nonché alla determinazione della “indennità di posizione unificata graduata” e la successiva delibera n. 44/2011 dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento, che aveva confermato gli incarichi dirigenziali affidati dall’ex AUSL n. 1 di Agrigento, non ancora scaduti, mantenendo il medesimo trattamento economico già in godimento determinato sulla base della graduazione e pesatura di cui alla delibera n. 397/2007.

 Evidenzia che con deliberazione dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento n. 320/2013 erano state rideterminate le spettanze dell’indennità di posizione variabile attribuite ai singoli dirigenti e che il B., per effetto della delibera n. 397/2007 dell’ex AUSL n.1 di Agrigento aveva percepito fino al 31.12.2012 un’”indennità di posizione unificata graduata”; precisa che la citata delibera n. 320/2013, erroneamente ritenuta l’unico atto con cui l’Azienda ha disposto la corresponsione dell’indennità di posizione variabile, non si riferisce al periodo oggetto di causa.

 Sostiene che non può esserle imputata alcuna violazione degli obblighi contrattuali né a titolo di inadempimento proprio (relativamente al periodo dal 1.9.2012 al 31.12.2012), né a titolo di inadempimento come Azienda subentrante in riferimento a quello presunto della ex AUSL n. 1 di Agrigento, limitatamente al periodo 1.4.2007 al 31.8.2009.

 2. Con il secondo motivo, l’Azienda denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1256 cod. civ., per avere ritenuto la sua responsabilità contrattuale, nonostante la documentata impossibilità di compiere le operazioni di “pesatura”, logicamente e giuridicamente necessarie ai fini della corresponsione dell’indennità di posizione parte variabile.

 Deduce di non avere proceduto alla pesatura degli incarichi, in quanto l’Assessorato Regionale alla Sanità le aveva indicato di astenersi dall’adottare o dal dare seguito a provvedimenti di modifica dell’assetto organizzativo (circostanza, questa, evidenziata nella deliberazione del Commissario Straordinario n. 320/2013).

 3. I primi due motivi, che vanno trattati congiuntamente per la loro connessione logica, sono inammissibili, in quanto attraverso la disamina della delibera n. 397/2007 dell’ex AUSL n.1 di Agrigento e delle delibere nn. 44/2011 e 320/2013 dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento, tendono ad ottenere una diversa ricostruzione del fatto rispetto a quello effettuato dalla Corte territoriale, che ha accertato la sussistenza di un inadempimento imputabile all’Azienda.

 Orbene, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in effetti ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).

Trova inoltre applicazione il disposto di cui all’art. 348-ter c.p.c., non risultando che la pronuncia della Corte d’Appello si sia distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado in ordine alla riscontrata sussistenza di un inadempimento imputabile all’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 20994/2019; Cass n. 26774/2016; Cass. n. 5528/2014).

 4. Con il terzo motivo, l’Azienda denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.5 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 od. civ., per avere la Corte territoriale proceduto ad una valutazione equitativa del danno.

 Lamenta che il giudice di appello ha emesso una sentenza di condanna di risarcimento dei danni sulla base di una generica ed indeterminata richiesta risarcitoria non supportata dalla necessaria prova del presunto danno, in quanto erroneamente ricavato per relationem dalla delibera n. 320/2013.

 5. Il motivo è infondato.

 6. Avendo ritenuto l’inadempimento imputabile all’Azienda, la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilità risarcitoria della medesima, confermando la sentenza di primo grado anche per quanto attiene alla quantificazione del danno, determinato secondo equità in misura pari all’importo fissato dalla stessa Azienda Sanitaria Provinciale, indifferenziatamente e proprio per porre fine al persistente inadempimento per il ritardo nella graduazione delle funzioni, con la delibera n. 320 del 21.1.2013.

Così argomentando, la Corte territoriale ha adottato una pronuncia che si appalesa in sintonia con l’indirizzo di questa Corte (Cass. n. 7110/2023), la quale, recentemente intervenuta su questione in parte sovrapponibile, ha enunciato i seguenti principi di diritto:

In tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per l’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi, nel cui ambito la fase di consultazione sindacale, finalizzata anche a determinare l’ammontare delle risorse destinate al pagamento della quota variabile della retribuzione di posizione definita in sede aziendale e dipendente dalla graduazione delle funzioni, ha carattere endoprocedimentale; il mancato rispetto dei termini interni che ne scandiscono lo svolgimento, l’omessa conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto collettivo e le eventuali problematiche concernenti il fondo espressamente dedicato, ai sensi del medesimo contratto collettivo, alla quantificazione della menzionata quota variabile non fanno venir meno di per sé l’obbligo gravante sulla P.A. di attivare e concludere la procedura diretta all’adozione di tale provvedimento”;

La violazione dell’obbligazione della P.A. di attivare e completare il procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi legittima il dirigente medico interessato a chiedere non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione. A tal fine, il dirigente medico è tenuto solo ad allegare la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento della controparte; il datore di lavoro è gravato, invece, dell’onere della prova dei fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa o della dimostrazione che il proprio inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile”;

 “Il danno subito dal dirigente medico della sanità pubblica per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione, conseguente all’inadempimento della P.A. all’obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi a tal fine necessaria, può essere liquidato dal giudice anche in via equitativa; in proposito il dipendente deve allegare l’esistenza di tale danno e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, inteso in modo da ricomprendere nel detto risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità”.

 Quanto alla misura, in una fattispecie analoga questa Corte ha evidenziato che il richiamo a quanto poi riconosciuto in valori mensili, dal 21.1.2013 in poi può costituire idoneo parametro di liquidazione, in quanto la delibera assunta dalla ASL afferisce alla medesima graduazione di funzioni; il giudizio equitativo è dunque sorretto da una razionalità intrinseca che non consente di ravvisare nella sentenza impugnata un qualsivoglia vizio di legittimità (Cass. n. 9040/2023).

 7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, R.B. denuncia la violazione del D.M. n.55/2014, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.

 Lamenta che la Corte territoriale, avendo liquidato l’importo di € 1618,00 per compensi del primo grado di giudizio in accoglimento dell’appello incidentale, non ha tenuto conto dei valori minimi previsti dall’art. 4 del D.M. n. 55/2014.

 Deduce che applicando i valori minimi e tenendo conto del valore della causa, i compensi ammontano per il primo grado a complessivi € 2789,00, importo superiore rispetto a quello di € 2000,00 ( in realtà € 1.618,00) liquidato; rimarca che la liquidazione del compenso per la fase istruttoria è prevista anche per le attività contemplate dall’art. 4, comma 5, lett.c) del D.M. n. 55/2014, e dunque anche per la predisposizione ed il deposito di note difensive.

 10. Il ricorso incidentale è fondato.

 Questa Corte ha chiarito che il D.M. n. 55/2014 e s.m.i. non prevede alcun compenso per una specifica fase istruttoria, ma un compenso unitario per la fase di trattazione, che comprende anche l’eventuale attività istruttoria; detto compenso spetta pertanto al procuratore della parte vittoriosa anche a prescindere dall’effettivo svolgimento, nel corso del grado del singolo giudizio di merito, di attività a contenuto istruttorio, essendo sufficiente la semplice trattazione della causa (Cass. n. 8561/2023).

 Si è, inoltre, precisato che riguardo alla fase istruttoria o di trattazione la riduzione va operata sottraendo il 70% all’importo del parametro medio, dovendo così interpretarsi il disposto dell’art. 4 del D.M. n. 55/2014 (Cass. n. 16652/2019; Cass. n. 38059/2022), mentre riguardo alle altre fasi i valori medi vanno ridotti della metà.

 Applicando tali criteri e considerato che la causa si colloca nello scaglione tra € 5.200,00 ed € 26.000,00, in quanto il valore della medesima è di € 11.216,00, per il giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 4 del D.M. n. 55/2014, le tariffe minime per la fase di studio, per la fase introduttiva, per la fase di trattazione e per la fase decisionale sono rispettivamente pari ad € 867,50, ad € 370,00, ad € 334,80 e ad € 770,00.

 La liquidazione delle spese contenuta nella sentenza impugnata è dunque inferiore a detti minimi, né risulta alcuna motivazione in ordine alla non riconoscibilità, nel caso concreto, di alcuni compensi stabiliti dal D.M. n. 55/2014 in relazione alle singole fasi processuali.

 11. In conclusione va rigettato il ricorso principale e va accolto il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito limitatamente al ricorso accolto; le spese del giudizio di primo grado vanno liquidate in complessivi € 2343,00.

 12. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 13. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente principale, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e, decidendo nel merito limitatamente al ricorso accolto, liquida le spese del giudizio di primo grado in complessivi € 2343,00 oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge;

condanna l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 1.800,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge;

 Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’Azienda, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.