Corte di Cassazione ordinanza n. 29760 depositata il 26 ottobre 2023
procedimento per l’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi
Rilevato che:
1. la dott.ssa M.G., dirigente medico titolare di incarico di alta specializzazione ex lett. c) del comma 1 dell’art. 27 del c.c.n.l., ricorreva in primo grado per ottenere il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale ascrivibile in capo all’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento per la mancata corresponsione della parte variabile dell’indennità di posizione aziendale in conseguenza dell’omessa adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni, con riferimento al periodo intercorrente tra il 01.04.2007 e il 31.12.2012;
2. l’ASP si costituiva in giudizio eccependo la prescrizione del diritto azionato e deducendo l’infondatezza in fatto e diritto delle domande del dirigente medico;
3. il Tribunale di Agrigento accoglieva la domanda risarcitoria;
4. la Corte d’appello di Palermo rigettava il gravame proposto dall’ASP Agrigento e confermava la statuizione di primo grado;
richiamava propri precedenti intervenuti in vicende analoghe e riteneva che:
– la mancata attivazione delle procedure di graduazione delle funzioni dirigenziali e pesatura degli incarichi (le quali condizionavano la corresponsione dell’indennità di posizione variabile), configurava un inadempimento di un obbligo contrattuale, come tale fonte di responsabilità ex art. 1218 cod. civ.;
– l’Azienda non aveva dimostrato, viceversa, che tale inerzia fosse stata determinata da impossibilità sopravvenuta;
– fino al 2013 non era stato adottato dall’Azienda alcun atto organizzativo al fine della graduazione delle funzioni e tale non poteva essere considerata la deliberazione n. 44/2011 con la quale erano stati solo recepiti gli incarichi dirigenziali già conferiti dalle assorbite ASL e anzi, con deliberazione n. 320/2013, era stato riconosciuto dall’Azienda che le procedure per la ‘pesatura’ degli incarichi non erano state completate;
– la lesione era pari al mancato guadagno per effetto della privazione di una parte del proprio trattamento economico intuitivamente derivata alla dirigente dalla persistente omissione del datore di lavoro;
– trattandosi di azione risarcitoria la stessa era soggetta al termine di prescrizione ordinario;
– corretta era la determinazione equitativa del danno effettuata dal Tribunale, danno con il quale si riparava alla lesione pari al mancato guadagno per effetto della privazione di una parte del trattamento economico e che era stato quantificato utilizzando quale parametro l’importo forfetizzato di cui alla delibera n. 320/2013;
– infondata era la tesi dell’Azienda circa l’avvenuta compensazione del danno attraverso l’erogazione dell’indennità di risultato in misura maggiore rispetto all’ordinario trattandosi di maggiori importi collegati a modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del tutto diverse;
5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’ASP affidandosi a tre motivi, cui il dirigente medico ha resistito con controricorso;
6. la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1. con il primo motivo l’ASP denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 115-116 cod. proc. civ. nonché dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. e/o all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. e/o all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.;
lamenta che il Giudice di appello non ha valutato correttamente le deliberazioni n. 397/2007 e n. 44/2011, già prodotte in primo grado, giammai oggetto di contestazione da parte del dirigente medico e costituenti elemento decisivo per il giudizio di secondo grado, con le quali l’ASP ha adempiuto all’obbligo di procedere alla configurazione della propria struttura organizzativa;
2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 22 e 24 del d.lgs. n. 165/2001, degli artt. 51, 52, 53, 54, 55 e 57 comma 4 del c.c.n.l. del 05.12.1996, degli artt. 26, 27, 35, 39 del c.c.n.l. 08.06.2000, dell’art. 24, comma 11, del c.c.n.l. 03.11.2005, nonché degli artt. 1362, 1363, 2697 cod. civ. e artt. 115-116 cod. proc. civ.. tutti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.:
lamenta l’erronea qualificazione della fattispecie come inadempimento contrattuale sul presupposto che la graduazione e pesatura degli incarichi aziendali attiene all’organizzazione discrezionale aziendale, con l’unico limite che il complessivo trattamento della retribuzione di posizione non può scendere al di sotto del trattamento previsto dalla contrattazione collettiva;
su tale presupposto, parte ricorrente evidenzia di aver effettuato una pesatura “pari a zero” e, pertanto, che non residuano somme da corrispondere al dirigente medico;
3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.;
censura la sentenza d’appello nella parte in cui liquida in via equitativa il danno ricavata per relationem dal disposto della delibera n. 320/2013, pur in assenza di certa quantificazione dello stesso da parte del dirigente medico;
4. i motivi, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati come da precedenti di questa Corte (Cass. 9 marzo 2023, n. 7110; Cass. 27 marzo 2023, n. 8663; Cass. 12 aprile 2023, n. 9724) che, sulla base della ricostruzione del quadro normativo e contrattuale, cui si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ. hanno affermato i seguenti principi:
a) in tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per l’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi, nel cui ambito la fase di consultazione sindacale, finalizzata anche a determinare l’ammontare delle risorse destinate al pagamento della quota variabile della retribuzione di posizione definita in sede aziendale e dipendente dalla graduazione delle funzioni, ha carattere endoprocedimentale; il mancato rispetto dei termini interni che ne scandiscono lo svolgimento, l’omessa conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto collettivo e le eventuali problematiche concernenti il fondo espressamente dedicato, ai sensi del medesimo contratto collettivo, alla quantificazione della menzionata quota variabile non fanno venir meno di per sé l’obbligo gravante sulla P.A. di attivare e concludere la procedura diretta all’adozione di tale provvedimento;
b) la violazione dell’obbligazione della P.A. di attivare e completare il procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi legittima il dirigente medico interessato a chiedere, non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione; a tal fine, il dirigente medico è tenuto solo ad allegare la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento della controparte; il datore di lavoro è gravato, invece, dell’onere della prova dei fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa o della dimostrazione che il proprio inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile;
c) il danno subito dal dirigente medico della sanità pubblica per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione, conseguente all’inadempimento della P.A. all’obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi a tal fine necessaria, può essere liquidato dal giudice anche in via equitativa; in proposito il dipendente deve allegare l’esistenza di tale danno e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, inteso in modo da ricomprendere nel detto risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità;
5. orbene, va innanzitutto rilevato, quanto ai rilievi con i quali si addebita alla Corte territoriale di aver erroneamente affermato che tali graduazione e pesatura non erano stati effettuati, che non risultano assolti dalla ricorrente gli oneri imposti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., mancando la trascrizione del contenuto della delibera n. 44/2011, di cui l’ASP assume l’erronea valutazione e interpretazione da parte del giudice d’appello, senza tuttavia indicare i criteri di ermeneutica contrattuale che la Corte territoriale avrebbe (in tesi) violato;
quest’ultima ha ritenuto, come evidenziato nello storico di lite, che «non si rinviene alcun provvedimento di graduazione delle funzioni nella deliberazione n. 44/2011 con cui la neoistituita ASP si era limitata a recepire, nel proprio nuovo assetto organizzativo, gli incarichi dirigenziali già conferiti dalle assorbite AUSL, per i quali non si era ancora effettuata la pesatura che, dunque, non poteva ritenersi implicitamente recepita»;
evocare, in altro passaggio argomentativo dell’ASP, un esonero da responsabilità per l’inadempimento pregresso al formale subentro di ASP all’AUSL significa (non senza contraddizione) smentire, da parte dell’Azienda ricorrente, che una pesatura delle funzioni fosse stata effettivamente fatta dalla disciolta AUSL con la citata delibera n. 397/2007 ed, oltretutto, anche eclissare la vicenda successoria intervenuta con le stesse AUSL ai sensi dell’art. 8 comma 2 legge reg. Sicilia n. 5/2009, con subentro delle ASP in tutti i rapporti attivi e passivi delle disciolte AUSL;
6. quanto al risarcimento del danno, nella specie, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado che, nel determinare il pregiudizio equitativamente, lo ha calcolato in misura pari “all’importo fissato dalla stessa ASP, indifferenziatamente e proprio per porre fine al persistente inadempimento per il ritardo nella graduazione delle funzioni, con delibera n. 320 del 21 gennaio 2013”;
si tratta di un percorso argomentativo del tutto logico e coerente con i precedenti di legittimità sopra menzionati (soprattutto, nel riferimento, rilevante ai fini del ragionamento presuntivo, alla somma già concessa dalla medesima P.A. con delibera n. 320 del 2013) e non contestabile nella presente sede, dovendo essere seguito l’indirizzo giurisprudenziale per il quale la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1529);
7. si evidenzia, da ultimo, che il capo della sentenza impugnata che ha escluso la fondatezza dell’eccezione, proposta dall’Azienda, di compensatio lucri cum damno (secondo e terzo cpv. pag. 9) non è stato oggetto di specifico motivo di ricorso, da formulare nel rispetto degli oneri formali imposti dall’art. 366 cod. proc. civ., sicché è preclusa alla Corte ogni statuizione al riguardo;
8. il ricorso deve, dunque, essere respinto;
9. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
10. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 1.800,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.