Corte di Cassazione ordinanza n. 28932 depositata il 18 ottobre 2023

IMU – accertamenti

RILEVATO CHE

M.M. propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 251/2015 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo, in rigetto del ricorso avverso avvisi di accertamento ICI 2006-2011 emessi dal Comune di Montefiascone;

il Comune resiste con controricorso

CONSIDERATO CHE

1.1. con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ, violazione dell’art. 31, comma 20, L. n. 289/2002 per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto la legittimità degli atti impositivi impugnati in mancanza della comunicazione, da parte del Comune, del cambio di destinazione d’uso dei terreni secondo le previsioni del P.R.G.;

1.2. la doglianza va disattesa;

1.3. come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 26169 del 16 ottobre 2019; conf. Cass. n. 14631 del 25/5/2023), in caso di omessa comunicazione dell’amministrazione comunale circa le variazioni apportate allo strumento urbanistico, ed il cambio di destinazione di un terreno, il contribuente è tenuto ugualmente a pagare non solo le imposte locali sulle aree edificabili, ma anche le sanzioni e gli interessi in quanto la mera previsione dello strumento urbanistico generale semplicemente adottato dal Comune fa sorgere l’obbligo di corrispondere l’Ici (e oggi l’IMU e la TASI) sull’area edificabile, circostanza non subordinata a nessuno specifico adempimento di comunicazione o di notifica, e la mancanza della comunicazione non esclude l’obbligo dichiarativo, previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10 (ma anche nell’IMU, D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 12 – ter; cfr. Cass. n. 15558/2009; n. 12308/2017);

2.1. con il secondo, il terzo ed il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., violazione degli artt. 817 cod. civ. e 2 D.Lgs. n. 504/1992 ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente escluso la sussistenza di un vincolo di pertinenzialità tra i terreni di proprietà del ricorrente e la casa di abitazione dello stesso, sebbene sui suddetti terreni si trovino un’autorimessa, una cantina, un pozzo, un forno, impianto elettrico ed idrico, la cisterna del gas, a servizio della suddetta abitazione, deducendo, inoltre, che la sola presenza di uliveti sui terreni in questione non fosse idonea ad escludere la pertinenzialità degli stessi rispetto all’abitazione principale;

2.2. ai sensi dell’art. 1 comma 2 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, «presupposto dell’imposta ICI è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili… siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati… »;

2.3. ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), «ai fini dell’imposta di cui all’art. 1 per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza…», lett. b) ««i fini dell’imposta di cui all’art. 1: per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi. »;

2.4. poiché un’area non è oggetto di ICI se è pertinenza di un fabbricato, ma è oggetto di ICI se è fabbricabile, bisogna stabilire quale sia il rapporto tra edificabilità e pertinenzialità del medesimo bene;

2.5. la giurisprudenza di questa Corte al riguardo si è orientata nel senso che il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a), fornendo, ai fini dell’imposta, la nozione di fabbricato ed escludendo l’autonoma tassabilità della relativa area pertinenziale, assoggettata al regime del bene principale, presuppone l’accezione di pertinenza di cui all’art. 817 c.c., rendendo irrilevante il regime di edificabilità che lo strumento urbanistico a quell’area attribuisca, di guisa che, quando nella medesima porzione immobiliare coesistano accessorietà ed edificabilità, l’effetto attrattivo che discende dal vincolo di asservimento rende ininfluente l’altra destinazione, siccome attinente a fini estranei al rapporto con la cosa principale considerata dalla norma tributaria (cfr. Cass. 25 marzo 2005, n. 6501, preceduta, nello stesso senso, dalle sentenze: 23 settembre 2004, n. 19161; 26 agosto 2004, n. 17035; 17 dicembre 2003, n. 19375);

2.6. si può aggiungere, a specificazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1 che, delle due norme estraibili dalle lett. a) e b), quella (lett. b) che prevede l’imponibilità ICI dell’area fabbricabile è la regola, rispetto alla quale si pone come speciale, o, se si vuole, derogatoria, la non imponibilità ICI dell’area pertinenziale, anche se, secondo la giurisprudenza di questa Corte, essa sia edificabile;

2.7. l’attribuzione della qualità di pertinenza fonda sul criterio fattuale e cioè sulla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio o ornamento di un’altra, secondo la relativa definizione contenuta nell’art. 817 c.c., al che consegue che, per qualificare come pertinenza di un fabbricato un’area edificabile, è necessario che intervenga un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo ius edificandi e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile ad libitum; così Cass. 25027/2009, nella cui motivazione, peraltro, si precisa che, come già chiarito in Cass. 19639/09, al contribuente che non abbia evidenziato nella denuncia l’esistenza di una pertinenza non è consentito contestare l’atto con cui l’area (asseritamente) pertinenziale viene tassata deducendo solo nel giudizio la sussistenza del vincolo di pertinenzialità; conformi, Cass. 22844/10 e Cass. 22128/10, nella quale ultima si precisa altresì che l’esclusione dell’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, si fonda sull’accertamento rigoroso dei presupposti di cui all’art. 817 c.c., desumibili da concreti segni esteriori dimostrativi della volontà del titolare, consistenti nel fatto oggettivo che il bene sia effettivamente posto, da parte del proprietario del fabbricato principale, a servizio (o ad ornamento) del fabbricato medesimo e che non sia possibile una diversa destinazione senza radicale trasformazione, poiché, altrimenti, sarebbe agevole per il proprietario al mero fine di godere dell’esenzione creare una destinazione pertinenziale che possa facilmente cessare senza determinare una radicale trasformazione dell’immobile stesso;

2.8. parimenti, è stato evidenziato, con ordinanza n. 11970 del 2018, che ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra il bene principale e quello accessorio è necessaria la presenza del requisito soggettivo dell’appartenenza di entrambi al medesimo soggetto, nonché del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare un’utilità a quello principale, e non al proprietario di esso, e l’accertamento in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi che caratterizzano il rapporto pertinenziale fra due immobili e consistenti nella volontaria e permanente destinazione di uno di essi al servizio dell’altro comporta un giudizio di fatto che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se espresso con motivazione adeguata ed immune da vizi logici;

2.9. fermo restando il criterio fattuale di destinazione concreta del bene, per qualificare come pertinenza di un fabbricato un’area edificabile è necessario, secondo questa Corte (cfr. Cass, n. 25127/2009), che intervenga un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo ius edificandi, e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile ad libitum;

2.10. sulla base di questo indirizzo, è dunque evidente come la Commissione tributaria regionale -all’esito del vaglio del quadro istruttorio- abbia ritenuto insussistente la natura pertinenziale dei terreni in questione, in quanto sprovvista di una reale e consolidata destinazione di asservimento, motivando come segue:«…dall’esame della produzione documentale del Comune di Montefiascone emerge chiaramente che trattasi di terreni coltivati ad uliveto, privi di manufatti e separati dall’abitazione principale da strada comunale»;

2.11. si tratta di un convincimento compiutamente argomentato e conforme a diritto;

2.12. le ulteriori censure formulate ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. sono inoltre inammissibili in virtù dell’art. 348 ter, quarto e quinto comma, cod. proc. civ., vertendosi in ipotesi di «doppia conforme» e non avendo il ricorrente assolto al proprio onere di allegare la «diversità» delle «ragioni di fatto» considerate dalla Commissione tributaria provinciale e dalla Commissione tributaria regionale (cfr. Cass. n. 5947 del 28/02/2023, Cass. n. 26774 del 22/12/2016), disposto che trova applicazione alle impugnazioni proposte dall’11 settembre 2012 e, dunque, anche nel caso di specie;

2.13 va infatti ribadito che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto;

3.1. con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione di norme di diritto (art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 504/1992) e lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente stimato il valore venale dei terreni mediante comparazione con atti di compravendita anteriori (2004/2008) alle annualità in oggetto e tra zone non omogenee;

3.2. la doglianza va parimenti disattesa;

3.3. la Commissione tributaria regionale, al riguardo, ha motivato come segue: «… l’amministrazione comunale ha determinato il valore dei terreni richiedendo apposita perizia di stima all’Agenzia del territorio la quale ha operato secondo il metodo sintetico comparativo e sulla base di appositi sopralluoghi»;

3.4. in diritto si osserva che in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della determinazione del valore imponibile, la misura del valore venale in comune commercio deve essere tassativamente ricavata dai parametri vincolanti previsti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992, che, per le aree fabbricabili, hanno riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche (cfr. Cass. nn. 11.445 del 2018, 12273 del 2017, 14.118 del 2017, 7297 del 2012);

3.5. le pronunce ora richiamate sono state rese in fattispecie in cui è stato preso come valore di riferimento il prezzo indicato in atti di compravendita antecedenti all’atto di accertamento, con conseguente infondatezza della censura di parte ricorrente;

3.6. è inammissibile l’ulteriore doglianza circa la mancanza di omogeneità tra le zone poste a riferimento della stima effettuata dal Comune, trattandosi di censure in fatto, come tali inammissibilmente avanzate in questa sede di legittimità (cfr. Cass. n. 6519 del 2019), anche in violazione del principio della cd. doppia conforme dianzi illustrato;

4. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;

5. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio in favore del Comune controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.