Corte di Cassazione, ordinanza n. 30427 depositata il 2 novembre 2023
licenziamento disciplinare – inadempimento non grave – sanzione conservativa prevista dal ccnl – necessità di tipizzazione
RILEVATO CHE
1.- L.R. era dipendente di E. spa con mansioni di ispettore di 1^ livello e con responsabilità dei punti vendita delle zone di Massa, Carrara, Lido di Camaiore, Pisa, La Spezia, Parma, Reggio Emilia e Viareggio.
A seguito di contestazione disciplinare del 18/09/2017, era stato licenziato per giusta causa in data 07/10/2017.
Adìto dal L.R., il Tribunale di Firenze, al termine della fase c.d. sommaria del rito introdotto dalla legge n. 92/2012, accoglieva l’impugnazione, ordinava la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condannava la società al pagamento dell’indennità risarcitoria, liquidata in dodici mensilità.
2.- All’esito dell’opposizione proposta dalla società, il Tribunale riteneva sussistenti alcuni degli inadempimenti contestati in via disciplinare, ma non così gravi da giustificare il licenziamento. Quindi dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la società a pagare all’ex dipendente l’indennità risarcitoria in misura pari a venti mensilità.
3.- Il reclamo principale del L.R., volto ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, e quello incidentale della società, volto ad ottenere il rigetto di ogni domanda dell’ex dipendente, venivano respinti dalla Corte d’Appello.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) la tesi del L.R. secondo cui il licenziamento era stato preceduto da una serie di incontri con il responsabile del personale, sig. T., che aveva cercato di indurlo alle dimissioni ovvero ad accettare un demansionamento, il tutto con minaccia di essere licenziato, non ha trovato conferma istruttoria; il T., sentito come informatore nella prima fase, ha riconosciuto che vi era stato un colloquio con il L.R., affermando che ciò era avvenuto perché vi era una generale insoddisfazione per il suo operato e che si era discusso della possibilità che egli tornasse a fare il capo reparto oppure accettasse una risoluzione consensuale del rapporto da stipulare in sede conciliativa;
b) quanto avvenuto, dunque, deve ricondursi alla normale dialettica all’interno del rapporto di lavoro, tanto più che il L.R. rivestiva un ruolo di responsabilità con uno spiccato elemento fiduciario;
c) anche con riguardo alle ferie, che il L.R. sostiene forzate e disposte per consentire la preparazione della contestazione disciplinare finalizzata al licenziamento, tanto che il suo sostituto Portello era rimasto a svolgere i compiti anche quando le ferie erano cessate, il Tribotti ha precisato che le ferie erano state disposte senza un termine finale, sicché la presenza del Portello era necessaria “per garantire il presidio”;
d) comunque la questione perde di rilievo, una volta che il L.R., nel giudizio di primo grado, ha rinunziato alla domanda di nullità del licenziamento;
e) con riguardo al merito, gli informatori sentiti in primo grado sono stati molti, tutti capi reparto pane nei negozi sottoposti al controllo del L.R.; alcuni hanno riferito che le procedure erano sempre rispettate, altri invece hanno dichiarato che talora tali procedure non venivano rispettate; le deposizioni di Pini e Portello sono quelle più sfavorevoli al L.R.; il fatto che il Pini abbia lavorato in La Spezia solo da giugno 2018, quindi dopo i fatti oggetto di contestazione disciplinare, non è rilevante, poiché questo informatore ha prestato servizio anche negli altri negozi che rientravano fra quelli sottoposti al controllo del L.R.;
f) sono stati quindi confermati non solo gli inadempimenti relativi alla formazione dei capi reparto pane, ma pure quelli inerenti ai controlli del livello di igiene, qualità e vendita, così come quelli relativi allo scarso rifornimento dei girelli;
g) tuttavia non sono stati dimostrati profili di danno in ipotesi derivati alla società;
h) dunque l’inadempimento vi è stato, ma non è stato “notevole” nei sensi dell’art. 2119 c.c., per cui la sentenza impugnata va confermata, laddove ha ritenuto applicabile l’art. 18, co. 5, L. n. 300/1970, tutela applicabile anche al profilo della sproporzione tra sanzione espulsiva adottata e fatti comunque ritenuti dimostrati.
4.- Avverso tale sentenza L.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- E. spa ha resistito con controricorso ed ha a sua volta proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
A) RICORSO INCIDENTALE.
Va esaminato prioritariamente il ricorso incidentale per evidenti ragioni di pregiudizialità logico-giuridica (se fosse accolto, resterebbe irrimediabilmente pregiudicato il ricorso principale, perché il licenziamento risulterebbe legittimo sotto ogni profilo).
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la società, ricorrente incidentale, lamenta l’omesso esame di vari fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, ossia le minacce e le offese rivolte dal L.R. al sottoposto Pini in data 16/08/2017, l’elevata posizione ricoperta dal Pini legata alla supervisione dei reparti di panetteria ed infine la lettera del 03/10/2016, con cui essa società aveva censurato analoghi comportamenti del L.R., richiamandolo ad allinearsi alle aspettative aziendali.
Il motivo è inammissibile.
Per definizione, il “fatto” previsto dall’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., di cui il ricorrente è abilitato a censurare l’omesso esame, deve essere “decisivo” e, per essere tale, deve essere uno soltanto. La pluralità dei fatti addotti, invece, dimostra in re ipsa l’insussistenza del requisito della decisività e, quindi, l’inammissibilità del motivo.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la società lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2119 c.c., 3 L. n. 604/1966 e 18 L. n. 300/1970, per avere la Corte territoriale omesso di valutare gli inadempimenti del lavoratore, accertati alla luce delle concrete mansioni di natura fiduciaria affidate al L.R., tenuto conto del suo livello di inquadramento, ossia nel più alto livello della categoria impiegatizia.
Il motivo è inammissibile: sotto la veste della violazione di norme di diritto, la ricorrente sollecita una diversa valutazione delle circostanze di fatto, che è invece attività riservata al giudice del merito.
A questo riguardo, la Corte territoriale ha dato adeguata motivazione del suo convincimento, da un lato evidenziando che “non si può quindi certo ritenere che tali inadempimenti siano stati privi di rilevanza disciplinare”, dall’altro sottolineando che “neppure è emerso con certezza che tali violazioni siano state compiute in modo ampio e generalizzato, così come non sono stati dimostrati profili di danno che ne siano derivati alla società E.” (v. sentenza impugnata, p. 7). In tal modo, pur dando atto dell’inquadramento posseduto dal L.R., la Corte territoriale ha mostrato di ritenere quel profilo non decisivo, nell’ambito di quell’apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto insindacabile in sede di legittimità, qualora – come nella specie – adeguatamente motivato.
B) RICORSO PRINCIPALE.
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 18, co. 4, L. n. 300/1970, 225 ccnl commercio, 1362 e 1363 c.c., per avere la Corte territoriale omesso di rilevare che la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 si applica anche al caso in cui il fatto sia previsto dal ccnl come punibile con una sanzione conservativa e per avere omesso di rilevare che “l’esecuzione negligente del lavoro” è punita con la sanzione della multa, oppure con quella della sospensione ma solo in caso di recidiva per la terza volta nell’anno solare.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, relativo all’applicabilità della sanzione conservativa prevista dal contratto collettivo.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunziare sulla domanda, da lui formulata sia pure in subordine, volta a verificare se i fatti, laddove accertati, fossero previsti dal ccnl come punibili con sanzioni conservative.
I tre motivi – da esaminare congiuntamente per la loro connessione – sono in parte inammissibili, in parte infondati.
In primo luogo è inammissibile il motivo relativo all’asserita violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., per evidente difetto di specificità, non avendo il ricorrente indicato in concreto quale canone ermeneutico sarebbe stato violato e in quale punto della motivazione articolata dai giudici d’appello tale violazione si sarebbe manifestata.
Per il resto i motivi sono infondati.
Come si evince dall’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale, le condotte oggetto di contestazione disciplinare sono state tutte in termini di “mancata esecuzione” di determinati e specifici compiti propri dell’istruttore responsabile di punti vendita (mancata consegna e mancata spiegazione della nuova ricetta degli articoli “lingue rustiche” e “lingue”, che avrebbero richiesto l’utilizzo di apposita carta da forno, invece non utilizzata; mancato controllo sul confezionamento dell’articolo “pizza romana” in modo diverso da quello previsto per garantirne la tracciabilità, che risultava in tal modo alterata; mancata gestione del rifornimento dei girelli con focaccine, focacce e lingue in reparti che si presentavano di conseguenza costantemente vuoti durante la stagione estiva; mancata effettuazione della nuova check-list di reparto e mancata informazione ai responsabili del reparto pane e dolci in merito a costi della manodopera, dati delle vendite, conti economici del reparto; mancata indicazione ai reparti di effettuare gli annunci, tramite l’interfono, relativi al pane caldo appena sfornato).
Queste sono vere e proprie condotte omissive, violative di precisi obblighi giuridici positivi, ossia di fare. Pertanto integrano non una “esecuzione negligente”, bensì la “mancata esecuzione” di prestazioni lavorative. Ne deriva che tali condotte – nei limiti di quanto risultato dimostrato secondo il convincimento dei giudici di merito – non possono in alcun modo essere sussunte nell’ambito applicativo dell’art. 225 ccnl invocato.
Insufficiente, infine, è il rinvio – contenuto nell’art. 225 ccnl – all’art. 220, co. 1, ccnl, che contiene una generica (ed ovvia) previsione di “osservare nel modo più scrupoloso i doveri d’ufficio”, come tale inidonea a configurare quella tipizzazione della fattispecie disciplinare punita con sanzione conservativa, presupposta invece dall’art. 18, co. 4, L. n. 300 cit.
Attesa la reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale e compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
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