Corte di Cassazione, ordinanza n. 30914 depositata il 19 ottobre 2022
motivo nuovo – ACCERTAMENTO, REDDITO PARTECIPAZIONE
Rilevato che:
1. F.A., quale socio al 50 per cento, insieme con Teresa Scognamiglio, della Società P.C.E. S.r.l., impugnò l’avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini I.r.p.e.f., per il 2005, il reddito di partecipazione alla società, anch’essa destinataria di accertamento (fondata su metodo induttivo), del pari opposto, conseguente all’omessa presentazione della dichiarazione per la medesima annualità;
2. la Commissione tributaria provinciale di Napoli, riuniti i ricorsi della società e dei soci, li rigettò con sentenza (n. 540/46/12) che è stata riformata dalla Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Campania che, con la pronuncia indicata in epigrafe, ha accolto l’appello del contribuente sulla considerazione che, nella specie, non ricorressero i presupposti per la ricostruzione del reddito della società e di conseguenza dei soci con metodo induttivo, poiché all’assenza della dichiarazione fiscale sopperivano, per così dire, le dichiarazioni dei redditi per gli anni 2004 e 2006, le relative scritture contabili (depositate presso il R.I.), e la comunicazione annuale I.v.a. per il 2005, quali atti che, se esaminati dagli accertatori, avrebbero consentito di riscontrare la veridicità della perdita esposta in bilancio (nel 2005), che notoriamente è il punto di partenza per determinare l’imponibile;
3. l’ufficio ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza di appello; il contribuente non si è costituito;
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso [«1. Violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4 c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha accolto l’appello sulla base di un motivo, quale l’erroneo utilizzo degli studi di settore, proposto per la prima volta nel giudizio di gravame, in quanto, in primo grado, il contribuente aveva fatto valere, da un lato, l’errata indicazione, nell’avviso di accertamento, del codice di attività, dall’altro, che, in assenza della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria aveva omesso di evincere il reddito presunto dai dati di bilancio;
2. con il secondo motivo [«2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1 lett. a) nonché 39, 2° comma lett. d) e 41, 1° e 2° comma, del dpr 600/73 nonché dell’art. 55, 1° comma, del dpr 633/72, e 2697 e 2727 c.c. in relazione agli artt. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha annullato l’accertamento senza considerare che, in assenza della dichiarazione, è consentito ricostruire il reddito, con metodo induttivo, sulla base di presunzioni “supersemplici”, dovendosi anche considerare altri indici valorizzati dall’ufficio, a cominciare dall’antieconomicità della gestione attestata dall’incidenza del costo del personale, senza trascurare che la percentuale di ricarico del 50 per cento era stata desunta dalle dichiarazioni di società operanti nel medesimo settore e nella stessa regione;
3. con il terzo motivo [«3. Violazione dell’art. 2 d.lvo 546/92, 277 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha annullato l’accertamento, senza rideterminare l’imposta dovuta, come sarebbe stato necessario per la natura del processo tributario, riconducibile a un giudizio di “impugnazione-merito” e non di “impugnazione-annullamento”;
4. con il quarto motivo [«4. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30 l. n. 724/1994 e succ. modificazioni ed integrazioni (art. 1 l. n. 296/2006), nonché dell’articolo 2697 c.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha trascutato che, trattandosi di accertamento relativo a società di capitali a ristretta base, è giustificata la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale, per giurisprudenza costante, non vìola il divieto delle presunzioni di secondo grado;
5. il primo motivo non è fondato;
5.1. va dato seguito alla giurisprudenza della Corte (cfr. ex aliis Cass. 16/09/2021, n. 25038), la quale, pronunciando sull’accertamento nei confronti della Società P.C.E. S.r.l. e dei suoi soci, con riferimento, a titolo di esempio, al ricorso per cassazione dell’Agenzia avverso la sentenza della C.T.R. della Campania, n. 8201/01/2014, che aveva accolto l’appello di F.S., in relazione al medesimo motivo di ricorso, ha in maniera condivisibile affermato che «Per costante giurisprudenza di questa Corte, si ha domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della causa petendi quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (Cass., Sez. V, 23 luglio 2020, n. 15730; Cass., Sez. V, 16 febbraio 2012, n. 2201). La novità della domanda o motivo nuovo in appello scaturisce, pertanto, dalla introduzione in grado di appello di un fatto storico diverso da quello allegato in primo grado (Cass., Sez. III, 15 settembre 2020, n. 19186). Nella specie, risulta dallo stesso ricorso che la società contribuente avesse dedotto sin dal primo grado di giudizio «che il codice attività riportato sulla dichiarazione dei redditi […] è 45.21.1 e quindi diverso dal 45.25.0 indicato nell’accertamento notificato» [n.d.r.: identica doglianza è formulata dal socio F.A. nel ricorso introduttivo, trascritto nell’autosufficiente ricorso per cassazione dell’Ufficio], circostanza di fatto sulla base della quale è stata fondata la motivazione del giudice di appello, ove ha rilevato che l’accertamento è fondato su uno studio di settore «riferito ad un errato codice di attività». Né risulta dalla sentenza impugnata che la motivazione della decisione sia incentrata sulla corretta applicazione dello studio di settore, come anche sulla dedotta insussistenza di gravi incongruenze tra reddito dichiarato e reddito risultante dallo studio di settore applicato»;
6. il secondo motivo è fondato;
6.1. anche in relazione a tale censura va richiamata Cass. 25038/2021, secondo cui «È accertato dalla sentenza impugnata che vi è stata [n.d.r. identico periodo è contenuto a pag. 3 della sentenza qui impugnata] «mancata presentazione della dichiarazione annuale dei redditi per l’anno 2005» oggetto di accertamento. Dispone al riguardo l’art. 41 d.P.R. n. 600/1973 che, in caso di accertamento di ufficio (art. 41, primo comma) «l’ufficio determina il reddito complessivo (…) sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al terzo comma dell’art. 38 e di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze della dichiarazione, se presentata, e dalle eventuali scritture contabili del contribuente ancorché regolarmente tenute». Secondo una costante giurisprudenza di questa Corte, in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, il potere di accertamento di ufficio dell’amministrazione finanziaria ex art. 41 d.P.R. n. 600/1973 prescinde dalla metodologia di cui all’art. 39 d.P.R. cit. (in tema di accertamento induttivo), potendo l’Ufficio ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, la cui allegazione comporta l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, purché siano determinati, ancorché induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, tenuto conto delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti (Cass., Sez. V, 4 febbraio 2021, n. 2581; Cass., Sez. V, 16 luglio 2020, n. 15167; Cass., Sez. V, 20 gennaio 2017, n. 1506). Nel qual caso l’Ufficio può fare ricorso a qualsiasi elemento probatorio, spettando al contribuente la prova contraria dell’esistenza di elementi contrari tesi a provare che il reddito (risultante dalla somma algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio (Cass., Sez. VI, 15 giugno 2017, n. 14930). Ne consegue che l’Ufficio può prescindere, non solo (in generale) dall’allegazione di prove dotate di pregnanza indiziaria, ma anche (nello specifico) dalla comparazione del reddito accertato rispetto alle risultanze delle scritture contabili. Nella specie, l’Ufficio ha addotto quali elementi presuntivi l’antieconomicità della gestione, l’esistenza di plusvalenze derivanti dalla gestione di un immobile, l’esistenza dell’elemento certo costituito dal costo del lavoro ai fini dell’applicazione della percentuale di ricarico risultante dagli indici parametrici per le imprese operanti localmente nello stesso settore, rispetto ai quali spettava alla società contribuente provare l’insussistenza del reddito prodotto nella misura accertata. La sentenza impugnata, nella parte in cui ha accertato che tali circostanze non giustificassero il ricorso all’accertamento induttivo, non ha fatto buon governo di tali principî, per cui va cassata con rinvio, dovendo il giudice del rinvio accertare l’assolvimento dell’onere della prova da parte del contribuente»;
7. il terzo motivo è fondato;
7.1. è il caso di ribadire nuovamente le considerazioni svolte da Cass. 25038/2021, secondo cui, per la giurisprudenza della Corte, «il giudizio tributario non si connota come un giudizio di impugnazione-annullamento, bensì come un giudizio di impugnazione-merito, finalizzato non soltanto a eliminare l’atto impugnato, ma a determinare nel merito la pretesa impositiva, sostitutiva dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria, entro i limiti posti, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente (Cass., Sez. V, 20 ottobre 2011, n. 21759). Nel qual caso, ove il giudice del merito rilevi l’invalidità di un avviso di accertamento per vizi di merito, deve procedere all’accertamento nel merito della pretesa e ricondurla alla corretta misura (Cass., Sez. V, 10 settembre 2020, n. 18777; Cass., Sez. V, 23 dicembre 2020, 23 dicembre 2020, n. 29364; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27560; Cass., Sez. V, 28 giugno 2016, n. 13294; Cass., Sez. V, 12 novembre 2014, n. 24092). La sentenza impugnata, nella parte in cui ha fatto discendere l’annullamento dell’atto impositivo per ragioni attinenti al merito della pretesa impositiva, senza procedere alla rideterminazione del reddito accertato, non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principî»;
8. il quarto motivo è assorbito (cfr. Cass. 16/09/2021, n. 25038);
9. in conclusione, accolti il secondo e il terzo motivo, assorbito il quarto motivo e rigettato il primo motivo, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio al giudice a quo, anche per le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il secondo e il terzo motivo, dichiara assorbito il quarto motivo, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.