CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 31540 depositata il 13 novembre 2023

Lavoro – Impiegata di concetto – Cessione di ramo d’azienda – Soppressione del posto di lavoro – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Richiesta dello “smart working” – Natura discriminatoria del licenziamento – Insussistenza dell’impossibilità del repechage – Tutela reale e risarcitoria – Accoglimento – è stato ritenuto ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione pur dopo la pronunzia dell’ordinanza conclusiva della fase c.d. sommaria

Rilevato che

1.- M.E. aveva lavorato alle dipendenze di M.V. spa dall’01/09/2007 come impiegata di concetto di 6^ livello ccnl dipendenti da imprese di assicurazione e poi, in virtù di cessione di ramo d’azienda, con il medesimo inquadramento alle dipendenze di A.S.I. scpa dal 10/12/2014 fino al 13/10/2017, data in cui era stata licenziata per giustificato motivo oggettivo consistente nella soppressione del suo posto di lavoro di assistente-segretaria presso la sede di Roma.

Deduceva che a novembre 2016 aveva chiesto ed ottenuto di lavorare da casa due giorni a settimana in “smart working” per poter assistere la madre malata ed anche per motivi di salute propri.

Aggiungeva che in data 28/08/2017 le era stata proposta la cessione del contratto di lavoro alla società A. – A.M.A.V. e D., facente parte dello stesso gruppo A., ma con riconversione delle mansioni come “advisor smart center” previ quattro mesi di formazione “on the job”.

Precisava di aver rifiutato tale proposta sia perché altre colleghe con identica mansione di executive assistant erano state riassegnate in ruoli identici, sia per il contenuto demansionante dei nuovi compiti, consistenti in operatore di call center diretto da team leader inquadrato nel 6^ livello.

Nella procedura ex art. 7 L. n. 604/1966 la società aveva altresì precisato che il nuovo posto offerto implicava la riduzione dell’orario di lavoro (e della retribuzione) a 30 ore settimanali.

Quindi impugnava il licenziamento, assumendone la natura discriminatoria per essere stato intimato in ragione della sua richiesta dello “smart working” ed in ogni caso in quanto privo del motivo addotto, sia perché la riorganizzazione non era ostativa alla sua ricollocazione con identiche mansioni, come era avvenuto per le altre assistenti, destinate a supporto di altrettanti executive managers, sia perché a ridosso del suo licenziamento la società aveva pubblicato un “job posting” per addetto recruiting nello stesso ufficio – al quale ella aveva aderito ma senza ricevere risposta – ed infine aveva assunto nuova dipendente nell’ufficio risorse umane.

2.- All’esito della fase a cognizione sommaria, il Tribunale dichiarava illegittimo il licenziamento, dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la società a pagare un’indennità risarcitoria pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

3.- Proposta opposizione dalla M., per ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro una volta accertata la mancata prova dell’impossibilità del repechage, o, in subordine, la rideterminazione dell’indennità risarcitoria nella misura massima, proposta opposizione 
incidentale anche dalla società, il Tribunale accoglieva quest’ultima e rigettava tutte le domande della M., che condannava altresì alla restituzione di quanto percepito in esecuzione dell’ordinanza opposta.

4.- In parziale accoglimento del reclamo della M. la Corte d’Appello, con la sentenza in epigrafe, dichiarava illegittimo il licenziamento, dichiarava risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento, confermava la condanna della società al pagamento dell’indennità risarcitoria liquidata in venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari alla complessiva somma lorda di euro 90.400,33.

Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:

a) con il c.d. rito Fornero il giudizio di primo grado è bifasico, sicché su ciò che non è stato oggetto di opposizione non si forma alcun giudicato (Cass. n. 21720/2018);

b) pertanto è irrilevante il fatto – di cui si duole la M. – che il Tribunale nella fase a cognizione piena abbia riesaminato la vicenda dell’offerta di ricollocazione della lavoratrice presso altra società del gruppo mediante cessione del contratto di lavoro, già ritenuta nella prima fase sommaria inidonea a dimostrare l’assolvimento dell’obbligo di repechage, senza che sul punto la società avesse proposto opposizione;

c) ciononostante questo Collegio condivide integralmente la motivazione espressa al riguardo al Tribunale nella fase sommaria, che va pertanto richiamata;

d) in particolare, in mancanza di allegazione di un centro unico di imputazione di interessi, la società non poteva assolvere al predetto obbligo offrendo un posto di lavoro in altra società del gruppo;

e) inoltre, il fatto che, nel corso della procedura di conciliazione, la società abbia assunto la lavoratrice Normanno in funzioni amministrative e subito dopo il licenziamento della M. abbia convertito a tempo indeterminato il rapporto di lavoro con la Ferrario conclama che la ricorrente ben avrebbe potuto essere ricollocata in mansioni amministrative più coerenti con il suo bagaglio professionale e nella stessa società;

f) ne consegue che, accertata l’illegittimità del recesso datoriale, va dichiarata la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro e la società va condannata a pagare l’indennità risarcitoria pari a venti mensilità, tenuto conto dell’anzianità della lavoratrice (oltre 10 anni), del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti;

g) va invece disattesa la richiesta di tutela c.d. reale;

h) infatti, essa è applicabile ai sensi dell’art. 18, co. 7, L. n. 300/1970 laddove risulti “manifesta l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”, mentre la tutela solo risarcitoria consegue “nelle altre ipotesi in cui” il giudice “accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo”;

i) seguendo gli insegnamenti di Cass. n. 7167/2019, la fattispecie ricorre solo in presenza di una condotta datoriale obiettivamente e palesemente artificiosa;

j) nel caso in esame, invece, è pacifico che il posto di lavoro della M. (assistente personale di A. e poi, in aggiunta, di Z.) sia venuto meno, poiché entrambi i manager di cui la M. era assistente personale hanno risolto consensualmente il loro rapporto di lavoro e le loro funzioni sono state soppresse, come ritenuto dal Tribunale nella fase c.d. sommaria;

k) dunque il motivo addotto a giustificazione del licenziamento è sussistente e comunque non può dirsi pretestuoso solo perché la società si è limitata ad offrire come alternativa la cessione del contratto di lavoro a un terzo, con mansioni inferiori.

5.- Avverso tale sentenza M.E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

6.- A. I.S. scpa ha resistito con controricorso ed ha proposto a sua volta ricorso incidentale, affidato a cinque motivi.

7.- M.E. ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.

8.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Considerato che

Per un evidente ordine logico-giuridico, va esaminato dapprima il ricorso incidentale, perché l’eventuale suo accoglimento renderebbe superfluo l’esame di quello principale.

A) RICORSO INCIDENTALE

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 3 L. n. 604/1966, 2103, commi 1, 2 e 5, 1175 e 1375 c.c. per essere la Corte territoriale caduta in contraddizione, laddove ha ritenuto da un lato non provata l’impossibilità di utile reimpiego della M., dall’altro che sarebbe sufficiente a tal fine il rifiuto del lavoratore a un demansionamento e che la lavoratrice, durante le trattative avviate nella fase di comunicazione del licenziamento ex art. 7 L. n. 604/1966, aveva lasciato intendere l’assenza di interesse a ricoprire quelle posizioni lavorative.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale è partita da esatte premesse teoriche. Nell’esaminare poi il caso concreto ha evidenziato che l’unica offerta avanzata dalla società aveva riguardato mansioni inferiori e relative ad un ruolo alle dipendenze di altra società, sia pure appartenente al medesimo gruppo. E ha ritenuto – condividendo sul punto il convincimento del Tribunale che ha emanato l’ordinanza della fase sommaria – tale offerta assolutamente insufficiente e inidonea, per il principale e dirimente motivo di riguardare la ricollocazione presso un terzo piuttosto che presso di sé.

Tanto basta a far ritenere insussistente l’impossibilità del repechage, senza che l’eventuale ambivalente comportamento tenuto dalla M. nel corso della procedura ex art. 7 L. n. 604/1966 possa giustificare la mancata offerta di altre soluzioni lavorative all’interno della medesima società.

L’oggetto del sindacato giurisdizionale, infatti, è rappresentato dall’impossibilità della ricollocazione, ossia dall’adempimento dell’obbligo del datore di lavoro di offrire altre soluzioni lavorative prima di procedere al licenziamento, che si pone come extrema ratio. Se quell’obbligo è rimasto inadempiuto, la conseguenza è l’illegittimità del licenziamento.

In tale prospettiva è irrilevante l’ambivalente comportamento della M., consistita – all’esito dell’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito – in una iniziale disponibilità seguita da un rifiuto.

Tale irrilevanza è dovuta al fatto che quel comportamento della lavoratrice comunque riguardava un’offerta lavorativa inidonea ad integrare un legittimo repechage. Quindi anche il rifiuto – “secco” oppure preceduto da una iniziale disponibilità – di quell’offerta diviene irrilevante ai fini della giustificazione del licenziamento. In tanto il rifiuto assume rilevanza, in quanto attenga ad un’offerta lavorativa idonea a rappresentare una legittima ricollocazione del lavoratore alternativa al licenziamento. Ciò non è stato nel caso concreto.

2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 3 L. n. 604/1966, 2103, co. 5, c.c., 132, n. 4), c.p.c. per avere la Corte territoriale da un lato riconosciuto che non vi è un divieto per il datore di lavoro di proporre al lavoratore in esubero altra utile collocazione in una diversa azienda ad essa collegata funzionalmente ed economicamente, dall’altro ha però ritenuto che tale offerta sarebbe “altra” rispetto all’assolvimento dell’onere di repechage, senza darne adeguata motivazione.

Lamenta infine che la Corte territoriale avrebbe trascurato la funzione dell’obbligo di repechage, che è quella di garantire l’occupazione al lavoratore, non l’invarianza della controparte datoriale.

Il motivo è infondato.

L’obbligo di repechage riguarda la sfera giuridico-patrimoniale del datore di lavoro che ha intenzione di intimare il licenziamento e quindi va assolto in primo luogo con riguardo alla sua organizzazione. Nel caso di specie la Corte territoriale ha accertato in fatto che almeno due posizioni lavorative esistevano nell’ambito dell’organizzazione della società datrice di lavoro e pertanto avrebbero dovuto essere offerte alla M.. Trattasi di rilievo dirimente, che esclude dunque la necessità di motivare l’insufficienza dell’offerta lavorativa mediante cessione del contratto di lavoro ad un terzo.

Peraltro, la cessione del contratto di lavoro è a struttura trilaterale, sicché per essere valida e indurre il lavoratore ad accettare (o a rifiutare ma in tal caso a rendere giustificato il licenziamento) quell’offerta dovrebbe provenire anche dal cessionario, altrimenti il lavoratore “cedendo” non avrebbe alcuna certezza dell’eventuale futura accettazione del datore di lavoro cessionario.
Anche sotto tale profilo, dunque, non vi era alcun ulteriore onere di motivazione da parte della Corte d’Appello, in quanto questo punto poteva dirsi implicitamente assorbito nella valutazione dell’insufficienza dell’offerta.

3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 3 L. n. 604/1966, 41 Cost., 30, co. 1, L. n. 183/2010 per avere la Corte territoriale ritenuto erroneamente esistente e disponibile altra utile posizione all’interno dell’azienda.

Il motivo è inammissibile, in quanto volto a sollecitare a questa Corte una rivisitazione delle risultanze istruttorie circa i posti disponibili, che è un’attività riservata ai giudici del merito.

4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 3 L. n. 604/1966, 1, 19, co. 5, 24 d.lgs. n. 81/2015, 16, 18 e 32 d.lgs. n. 151/2001, nonché 2119 c.c. per avere la Corte territoriale omesso di rilevare che rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a termine sono due fattispecie ben distinte e che il repechage è stato affermato in relazione ad un posto per il quale l’assunzione era avvenuta a tempo determinato.

Il motivo è inammissibile, perché non pertinente rispetto alla complessiva motivazione espressa dalla Corte d’Appello (v. supra sub e), secondo cui nella valutazione dell’inadempimento dell’obbligo di repechage rileva anche e soprattutto l’avvenuta trasformazione del rapporto di lavoro a termine in uno a tempo indeterminato della F. per lo svolgimento di mansioni amministrative coerenti con il bagaglio professionale della M..

5.- Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e/o falsa applicazione” della legge n. 604/1966, degli artt. 18, co. 5, L. n. 300/1970 e 30, co. 3, L. n. 183/2010 per avere la Corte territoriale liquidato in misura eccessiva l’indennità risarcitoria, pari a venti mensilità.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale (v. infra).

B) RICORSO PRINCIPALE

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la M. lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 18, commi 4 e 7, L. n. 300/1970, per avere la Corte territoriale rigettato la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro.

In particolare lamenta che i Giudici di appello abbiano ritenuto che il “fatto”, la cui manifesta insussistenza dà luogo alla tutela c.d. reale, sia solo quello identificabile con la motivazione del recesso esplicitata dal datore di lavoro, sicché non sarebbe rilevante la manifesta insussistenza della violazione dell’obbligo di repechage. Si duole dell’erroneità in diritto di tale assunto ed invoca precedenti di questa Corte (Cass. n. 10435/2018; Cass. n. 32159/2018; Cass. n. 7167/2019), secondo cui tale “manifesta insussistenza” va intesa con riferimento ad entrambi i presupposti di legittimità del recesso, una volta posto che nella nozione di giustificato motivo oggettivo rientra sia l’esigenza tecnica, organizzativa o produttiva, sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.

Conclude pertanto che anche la manifesta insussistenza dell’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore dà luogo alla tutela reintegratoria.

Il motivo è fondato.

Come ha ricordato la stessa Corte d’appello, richiamando sul punto l’ordinanza del Tribunale a conclusione della fase c.d. sommaria, la stessa società ha allegato e documentato di aver assunto a tempo determinato tale Normanno come “addetto EVP” e tale Ferrario a tempo determinato, rapporto poi convertito a tempo indeterminato a dicembre 2017. E pur trattandosi di mansioni inferiori, nondimeno nella nuova formulazione dell’art. 2103 c.c. la società avrebbe dovuto offrirle dapprima alla M. e solo in caso di suo rifiuto avrebbe potuto licenziarla.

Dunque il “fatto” risulta insussistente, in quanto tale già all’esito della difesa della società, quindi senza bisogno di istruttoria sul punto. E va ribadito che nella nozione di “fatto” vi rientra anche l’impossibilità del repechage (Cass. n. 10435/2018; Cass. n. 32159/2018; Cass. n. 29102/2019).

Ai fini della tutela reintegratoria non occorre che l’insussistenza del fatto sia altresì “manifesta”, condizione questa che è stata espunta dall’art. 18, co. 7, L. n. 300/1970 a seguito della sentenza di accoglimento n. 125/2022 della Corte Costituzionale, applicabile ai rapporti non ancora esauriti come quello in esame.

Inoltre, al lavoratore spetta in tal caso la tutela reintegratoria senza alcun potere discrezionale del giudice circa l’eventuale onerosità della predetta misura, potere che è stato espunto dalla medesima norma a seguito della sentenza di accoglimento n. 59/2021 della Corte Costituzionale (Cass. ord. n. 16975/2022), applicabile ai rapporti non ancora esauriti come quello in esame.

2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., la ricorrente principale lamenta la violazione degli artt. 2909 c.c., 329 c.p.c. e 1, co. 49 ss., L. n. 92/2012, per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che il punto dell’ordinanza della fase c.d. sommaria, relativo alla valutazione della non pretestuosità del licenziamento, in quanto non oggetto di opposizione, sarebbe stato da considerare ormai pacifico.

Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha premesso (v. supra sub a) che con il c.d. rito Fornero il giudizio di primo grado è bifasico, sicché su ciò che non è stato oggetto di opposizione non si forma alcun giudicato. Ed ha esattamente richiamato un precedente di legittimità (Cass. n. 21720/2018). 
Nello stesso senso, questa Corte ha ulteriormente precisato che “nel rito c.d. Fornero, in caso di soccombenza reciproca nella fase sommaria e di opposizione di una sola delle parti, l’altra parte può riproporre nella fase a cognizione piena, con la memoria difensiva, le domande e le eccezioni non accolte, anche dopo la scadenza del termine per presentare autonoma opposizione e senza necessità di formulare una domanda riconvenzionale con relativa istanza di fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c., atteso che l’opposizione non ha natura impugnatoria, ma produce la riespansione del giudizio, chiamando il giudice di primo grado ad esaminare l’oggetto dell’originaria impugnativa di licenziamento nella pienezza della cognizione integrale” (Cass. n. 30443/2018).

E proprio per tale ragione è stato ritenuto ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione pur dopo la pronunzia dell’ordinanza conclusiva della fase c.d. sommaria, atteso che tale pronunzia è suscettibile di essere rivista nel giudizio di opposizione “a prescindere da una censura della parte interessata” (Cass. sez. un. ord. n. 33362/2022).

Sulla base di questa esatta premessa, dunque, i giudici del reclamo hanno poi valutato le linee difensive delle parti ed hanno esattamente ritenuto che fosse pacifica l’avvenuta soppressione del posto di lavoro prima occupato dalla M. (assistente personale di A. e poi, in aggiunta, di Z.), poiché entrambi i manager di cui la M. era assistente personale avevano risolto consensualmente il loro rapporto di lavoro e le loro funzioni erano state soppresse. Sul punto hanno condiviso l’accertamento compiuto dal Tribunale nella fase c.d. sommaria.

Ne consegue che il motivo non è pertinente rispetto al decisum e alla motivazione utilizzata dai giudici d’appello per pervenire ad escludere – sia pure implicitamente, ma di certo univocamente – la natura ritorsiva del licenziamento. Trattasi, infatti, di motivazione di merito e non di rito, ossia non fondata su un asserito giudicato, in realtà non utilizzato dalla Corte territoriale per giustificare il proprio convincimento.

3.- La sentenza d’appello va dunque cassata in relazione al motivo accolto del ricorso principale; il giudice di rinvio dovrà accordare tutta la tutela prevista dall’art. 18, co. 7, L. n. 300/1970, nonché regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo;

rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, in relazione al motivo accolto per la decisione di merito e per la regolazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.