CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 31661 depositata il 14 novembre 2023
Lavoro – Diritto al pagamento lavoro straordinario diurno – Obbligo manutenzione dispositivo di protezione individuale – Contestazione valori stipendiali esposti nei conteggi – Buste paga – Inammissibilità
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Trieste rigettava l’appello che la F.V.G.S. s.p.a. aveva proposto, nei confronti di M.M., contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 146/2019 in data 24.6.2019; sentenza che aveva respinto l’opposizione proposta da detta società al decreto ingiuntivo emesso in favore del suddetto lavoratore. Tale decreto era stato chiesto e ottenuto dal lavoratore in base a precedente sentenza del medesimo Tribunale (poi parzialmente riformata da sentenza n. 272/2018 della suddetta Corte d’appello) quanto al suo diritto al pagamento di un’ora di lavoro straordinario diurno per ogni settimana di lavoro dal 20 marzo 2007 al 6 aprile 2017, quale forma di risarcimento del danno, in via equitativa, per l’inadempimento della datrice di lavoro all’obbligo di manutenzione del dispositivo di protezione individuale (tuta ad alta visibilità utilizzata dai lavoratori, al cui lavaggio essi avevano provveduto), nonché, circa il quantum, in base ai prospetti paga e ai conteggi del dovuto, prodotti dall’istante. La Corte territoriale aveva, altresì, condannato la società appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali, come liquidate, dando atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, oltre agli altri motivi d’appello, respingeva anche il secondo motivo, a mezzo del quale F.V.G.S. s.p.a. aveva lamentato che il giudice di primo grado non avesse verificato la corrispondenza fra la retribuzione dell’ora di lavoro straordinario utilizzata nei conteggi allegati dal ricorrente in sede monitoria e quella prevista dal C.C.N.L.; e neppure se i valori inseriti nei suddetti conteggi fossero stati effettivamente ricavati dalle buste paga.
3. Avverso tale sentenza la F.V.G.S. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
4. Il lavoratore intimato è rimasto tale.
5. La ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, la F.V.G.S. s.p.a. denuncia ex art. 360, n. 3, c.p.c. la “Violazione o falsa applicazione degli artt. 414, 416, 420 e 437 c.p.c.”, per avere ritenuto nuovo il motivo d’appello con il quale la società ha contestato i valori stipendiali esposti nei conteggi.
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata aveva errato nel ritenere che la contestazione dei valori esposti nel conteggio, mossa sotto il profilo della corrispondenza con quelli contrattuali, fosse stata avanzata in prime cure con riguardo ai dati desunti dal C.C.N.L. e non a quelli riportati nelle buste paga.
2. Tale censura è inammissibile. Tanto in continuità rispetto a quello che questa Corte ha ritenuto nell’ord. 26.9.2023, n. 27406, la quale, in relazione a fattispecie analoga, se non sovrapponibile, a quella che ci occupa, ha giudicato inammissibile pressoché identico motivo di ricorso per cassazione di F.V.G.S. s.p.a. proposto nei confronti di altro lavoratore avverso sentenza della medesima Corte d’appello di Trieste, motivata in modo simile a quella attualmente gravata.
3. Anche detto motivo, infatti, muove dall’erroneo presupposto che la Corte territoriale abbia giudicato inammissibile il secondo motivo dell’appello proposto dalla società.
Come ben risulta dal testo dell’impugnata sentenza, la Corte distrettuale si è invece pronunciata nel merito di tale secondo motivo d’appello.
4. Più nello specifico, la Corte ha anzitutto ritenuto che il primo accertamento che l’appellante lamentava non operato dal Tribunale (ossia, quello circa la corrispondenza fra la retribuzione dell’ora di lavoro straordinario utilizzata nei conteggi allegati dai ricorrenti in sede monitoria e quella prevista dal C.C.N.L.) “era (ed è) palesemente inutile”, spiegando perché (cfr. pagg. 5-6 della sua sentenza).
Si è, poi, diffusamente espressa anche sul secondo profilo in cui si articolava lo stesso motivo d’appello, ossia quello in cui ci si doleva che il giudice di primo grado non avesse verificato “se i valori inseriti nei suddetti conteggi siano stati effettivamente ricavati dalle buste paga” (cfr. pagg. 5-6 dell’impugnata sentenza).
5. L’assunto della ricorrente, che il suo secondo motivo d’appello sarebbe stato giudicato inammissibile, parrebbe basarsi sul dato che la Corte d’appello aveva osservato che: “Quanto all’altro accertamento – ovvero quello riguardante la corrispondenza tra la retribuzione utilizzata per i conteggi e quella inserita nelle buste paga – è sufficiente osservare che in primo grado la società opponente non ha sollevato alcun dubbio su questo specifico punto e quindi il Tribunale ha correttamente seguito la regola secondo cui sono oggetto di prova, e di verifica da parte del Giudice, solo i fatti (costitutivi) controversi e cioè quelli allegati da una parte e contestati dall’altra (Cassazione Sez. U, Sentenza n. 11353 del 17/06/2004); né rileva la contestazione sollevata da F.V.G.S. s.p.a. in appello, dovendo questa essere considerata tardiva”.
6. Ma anche quest’ultimo rilievo di tardività non si è tradotto in una declaratoria d’inammissibilità del secondo motivo d’appello nella sua interezza.
Del resto, nota il Collegio che la ricorrente non considera che la Corte distrettuale, nel respingere il primo motivo d’appello della società, aveva dato conto che quest’ultima sosteneva “che il Giudice di primo grado non ha tenuto conto del fatto che le buste paga utilizzate dal lavoratore per il proprio conteggio sono state emesse in anticipo rispetto alla fine di ciascun mese, …” (v. pag. 3 della sua sentenza), e che il lavoratore nel calcolo del dovuto proposto sin dalla fase monitoria aveva “scomputato dal numero di giorni retribuiti in ciascun mese il numero di assenze verificatesi nel mese stesso (dati questi ultimo risultanti dalle buste paga e non specificamente contestati dall’opponente)” (v. tra la pag. 4 e la pag. 5 della stessa sentenza). Ed anche da tali rilievi della Corte di merito si trae conferma che la datrice di lavoro non avesse in precedenza contestato che “i valori inseriti nei suddetti conteggi siano stati effettivamente ricavati dalle buste paga”, avendo svolto differenti contestazioni circa la correttezza del metodo di calcolo adottato dal lavoratore, che la Corte stessa ha esaminato e respinto (cfr. in extenso pagg. 3-5 dell’impugnata sentenza).
7. Nell’ambito dell’unico motivo di ricorso, l’impugnante si duole altresì del fatto che “la corte territoriale ha rigettato anche le contestazioni relative alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali” (cfr. pagg. 10-11 del ricorso).
Pure questa parte della censura, però, si appalesa inammissibile in una duplice chiave.
In primo luogo, la critica che muove la ricorrente a questo capo della sentenza di secondo grado (cfr. pagg. 6-7 della stessa) all’evidenza nulla ha a che vedere con le norme (tutte processuali) di cui la stessa lamenta la violazione; norme che in alcun modo riguardano il profilo, di diritto sostanziale, degli accessori del credito vantato e della loro decorrenza.
In secondo luogo, la censura in parte qua, ancora una volta, si basa in ogni caso su una considerazione quanto meno incompleta della motivazione resa dalla Corte territoriale, la quale, tra l’altro, muovendo dal rilievo che si trattasse di
credito non retributivo, ma risarcitorio, aveva considerato che “il fatto che gli accessori non siano stati computati dalla scadenza dei singoli stipendi mensili non è quindi, di per sé, un errore (e del resto la società opponente non ha spiegato in alcun modo per quale ragione dovrebbe essere considerato tale)”.
8. Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
9. Nulla dev’essere disposto quanto alle spese di questo giudizio di cassazione, in difetto di costituzione dell’intimato; ma la ricorrente è tenuta al raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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