Corte di Cassazione ordinanza n. 32449 depositata il 3 novembre 2022
accertamento induttivo – composizione del campione statistico per determinazione della percentuale di ricarico
Rilevato che:
1. la S.H. S.r.l. (“SH”) ricorre, con un unico motivo, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Lombardia, indicata in epigrafe, che — in controversia concernente l’impugnazione di quattro avvisi di accertamento che recuperano a tassazione Ires, Irap, Iva, per gli anni 2013, 2014, 2015, 2016, maggiori redditi non dichiarati, ricostruiti con metodo induttivo sulla base del cd. mark up medio di società operanti nel medesimo settore merceologico — in accoglimento dell’appello dell’ufficio, ha riformato la sentenza (n. 209/01/2019) della Commissione tributaria provinciale di Como, che, invece, aveva accolto (con riferimento alle riprese oggetto di questo giudizio) i ricorsi (riuniti) della società;
2. per la C.T.R., l’accertamento induttivo del reddito della contribuente era giustificato dall’omessa istituzione delle scritture di magazzino (art. 14, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), mentre la società, tenuta a fornire la prova contraria rispetto agli elementi (risultanti anche da presunzioni semplici) addotti dall’Amministrazione finanziaria a sostegno della pretesa erariale, (cfr. pag. 7 della sentenza) «anziché produrre una documentata ricostruzione (seppur a posteriori) delle movimentazioni di magazzino, si è limitata a generiche osservazioni, in merito ai campioni delle società scelte dall’Ufficio per la ricostruzione del mark up medio (MUTC – Mark up on Total Cost)»;
Considerato che:
1. con l’unico motivo di ricorso [«1) Omesso esame circa un fatto storico decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 comma 1 5 del c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che non ha esaminato una precisa circostanza, e cioè che la C.A. S.p.a., presa a paragone (con altre società, quali la M. S.r.l., la E.B. S.r.l. e la D. S.p.a.) per il calcolo del mark up (percentuale di ricarico) non operava nel medesimo settore merceologico della contribuente, come si poteva evincere dai cataloghi delle due imprese, depositati nel giudizio di merito, visto che una singola cerniera per porte C.A. arrivava a costare fino a cento volte una cerniera per mobili S.H.. E questo dato materiale, secondo la prospettazione della ricorrente, sarebbe stato decisivo in quanto l’eliminazione della C.A. S.p.a. dal novero degli enti commerciali utilizzati per la ricostruzione induttiva del reddito della comparente avrebbe annullato la maggiore base imponibile della contribuente, i cui ricavi erano in linea con i risultati economici delle altre tre società, ad essa omogenee, assunte come termine di confronto;
1.1 il motivo è fondato;
1.2 fin da Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, si è andato consolidando il principio di diritto per cui il novellato art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ., nella specie applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
1.3 detto che nel nostro caso non si contesta la legittimità della ricostruzione induttiva del reddito a causa della mancata tenuta, da parte della contribuente, delle scritture ausiliarie di magazzino di cui all’art. 14, comma 1, lett. d), t.u.i.r., è il caso di rammentare la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 29/03/2021, n. 8698) per la quale «In tema di accertamento del reddito di impresa, la verifica dei maggiori ricavi non dichiarati dall’impresa commerciale, pur dovendo in linea di massima essere condotta attraverso la determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto fondata su un campione di merci rappresentativo e adeguato per qualità e quantità rispetto al fatturato complessivo, può essere svolta in via induttiva ex 39, d.P.R. n. 600 del 1973, sulla base di dati o notizie conosciute dall’Amministrazione finanziaria, allorché vi sia omessa o irregolare tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino, non potendosi in tal caso procedere alla corretta analisi del contenuto dell’inventario e dunque alla ricostruzione analitica dei ricavi di esercizio»;
1.4 svolta questa premessa, tornando al motivo di ricorso, la C.T.R. non ha esaminato un fatto decisivo che la contribuente aveva allegato per contrastare gli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento induttivo. Ed infatti, come suaccennato, la società aveva dedotto che C.A. (a differenza delle altre imprese assunte dall’ufficio a campione) non potesse essere presa in considerazione per il calcolo della media del margine di ricarico (cd. mark up), a causa della diversa categorie di beni prodotti (nel senso che C.A. produce cerniere per porte mentre S.H. produce cerniere per mobili) dalle aziende a confronto e delle conseguenti rispettive differenti percentuali di ricarico;
1.5 quest’aspetto istruttorio non è stato approfondito dal giudice tributario di appello che — tra l’altro equivocando sulla parola “Media” che, negli accertamenti, non indicava una delle imprese utilizzate dall’A.F. come termine di raffronto, ma (appunto) la media del margine di ricarico (mark up) di imprese operanti nel medesimo settore merceologico — ha affermato in termini perentori che la contribuente, senza vincere gli elementi presuntivi che sorreggevano l’accertamento induttivo, aveva genericamente contestato il campione di società scelte dall’ufficio per la ricostruzione del mark up medio (cd. MUTC);
2. in conclusione, in accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza deve essere cassata, con rinvio al giudice a quo, che, prima di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, riesaminerà i fatti di causa attenendosi al seguente principio di diritto: «In tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi dell’art. 39, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, giustificato, a titolo di esempio (come nella specie), dall’omessa istituzione o dall’irregolare tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino, ai fini della ricostruzione presuntiva dei ricavi non dichiarati, l’Amministrazione finanziaria può fare riferimento al margine di ricarico (cd. mark up) di altre imprese assunte a campione, sempreché si tratti di imprese omogenee e perciò paragonabili, per specifico settore merceologico, a quella sottoposta a verifica, salva la possibilità di quest’ultima di fornire la prova contraria, che deve essere presa in considerazione dal giudice tributario di merito»;
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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