CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 32543 depositata il 23 novembre 2023
Lavoro – Cessione del ramo di azienda – Incentivo all’esodo – Incompatibilità dello status di pensionato con la richiesta risarcitoria – Sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica – Diritto dell’ente previdenziale alla ripetizione delle somme erogate – Rigetto
Fatti di causa
La Corte di appello di Napoli con la sentenza n.1064/21 aveva rigettato l’appello proposto da T.I. spa avverso la decisione con cui il tribunale locale aveva altresì rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo n.1375/2018 emesso in favore di D.M. in ragione della precedente sentenza n.2293/2013, (confermata in appello), con cui era dichiarata illegittima la cessione di ramo di azienda stipulata tra T.I. spa e T.I. spa, con condanna della cedente al ripristino del rapporto di lavoro con il D.. Attesa la mancata ottemperanza della società al comando giudiziale di effettivo ripristino, il lavoratore aveva richiesto il pagamento della retribuzione (maggio 2018) e azionato il decreto ingiuntivo, confermato dal giudice di appello.
La corte d’appello aveva ritenuto inaccoglibile l’eccezione formulata dalla società circa l’avvenuto pensionamento del lavoratore dal marzo 2017, trattandosi di circostanza nuova dedotta per la prima volta in appello, ed aveva altresì disatteso l’ulteriore motivo di gravame inerente la risoluzione del rapporto di lavoro con la cessionaria anche con l’accettazione di una somma a titolo di incentivo all’esodo. Tale ultima circostanza, relativa al rapporto di fatto intrattenuto con la società ex cessionaria, non aveva rilievo sul rapporto di lavoro con la T. spa, ripristinato dalla sentenza del 2013.
Avverso detta decisione la T. spa proponeva ricorso affidato ad un solo motivo cui resisteva con controricorso D.M..
Ragioni della decisione
1)- Con unico motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 22 co.1 lett.c) l.n.153/69 e art. 10 co.6 d.lgs n. 503/92, per la parte in cui la sentenza ha ritenuto nuova la circostanza dell’avvenuto pensionamento del lavoratore. A riguardo si deduce la non tardività della eccezione anche richiamando i poteri di cui all’art. 437 c.p.c., non esercitati dalla corte di appello.
La doglianza, proseguendo nel suo sviluppo, si incentra essenzialmente sulla questione relativa alla incompatibilità dello status di pensionato con la richiesta risarcitoria legata al rapporto di lavoro con la società T.. In particolare assume lo status di quiescenza quale causa estintiva di ogni pretesa risarcitoria.
Il motivo, pur partendo dalla statuizione della corte di merito circa la novità della questione, in realtà non spende argomenti in contrasto con detta decisione, solo richiamando i poteri istruttori d’ufficio del giudice. Si tratta, pertanto di censura priva di sufficiente specificazione rispetto ad una statuizione che, richiamando principi consolidati del Giudice di legittimità (Cass. n. 2529/2018), correttamente individua, nella circostanza del pensionamento, un novum, che incorre nel divieto sancito dall’art. 345 c.p.c. per il giudizio d’appello, avente ad oggetto non soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma altresì le contestazioni in punto di fatto non esplicate in primo grado (in termini anche Cass. n. 9211/2022).
Deve peraltro rilevarsi che, comunque, questa Corte ha in più occasioni chiarito che il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell’incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale, determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica, ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro; né il risarcimento del danno spettante ex art. 18, st.lav. può essere diminuito degli importi che il lavoratore abbia ricevuto a titolo di pensione, in quanto può considerarsi compensativo del danno arrecatogli dal licenziamento (quale “aliunde perceptum”) non qualsiasi reddito percepito, bensì solo quello conseguito attraverso l’impiego della medesima capacità lavorativa (in tal senso Cass.n. 16136/2018).
Come questa Corte ha avuto modo di precisare, soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resti unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi; tale circostanza ricorre esclusivamente quando sussistono i presupposti di cui all’art. 2112 cod. civ. che, in deroga all’art. 1406 cod. civ., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto; da ciò consegue l’unicità del rapporto lavorativo.
In caso contrario, ovvero in caso di illegittimità della cessione, le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa (Cass. n. 29092/2019); il rapporto col cessionario è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere con il cedente, sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale.
Con riguardo poi al conseguimento della pensione di anzianità, deve ribadirsi che tale circostanza non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell’incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale (determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica o il diritto dell’ente previdenziale alla ripetizione delle somme erogate), ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro; invero, il diritto a pensione discende dai verificarsi dei requisiti di età e di contribuzione stabiliti dalla legge e non si pone di per sé come causa di risoluzione del rapporto di lavoro, sicché le utilità economiche, che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae, dipendono da fatti giuridici estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all’operatività della regola della compensatio lucri cum damno (in termini Cass. n. 28824/2022 nonchè Cass. n. 8949/2020 e giurisprudenza ivi richiamata).
In conclusione, per le esposte ragioni, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono il principio di soccombenza.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 5.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Con distrazione al procuratore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.